lundi 23 novembre 2015

ANCHE  QUESTA  È  AMERICA ©
(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)
SUI PASSI DEL PROGRESSO               
Correvano i tempi in cui la tecnologia computerizzata andava prendendo possesso, a passi sempre più incalzanti, anche di fabbriche e manifatture e di aziende e ditte; insomma, anche dell’intero mondo del lavoro. Di frutta al mercato, infatti, chi prima ne porta prima ne vende.
Fischiettando l’ultimo motivo ascoltato alla radio entrò pure quel mattino in fabbrica, ma non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello che quella sarebbe stata anche l’ultima volta che ne varcava la soglia. Mentre si dirigeva verso la sala mensa per deporvi il cestino della colazione, andava salutando con ampi gesti della mano i vari gruppetti di operai che, qua e là per la manifattura, aspettavano chiacchierando la campana delle otto.
“Ha finito di fare il gradasso! -sussurrò l’addetto alle pulizie ad un compagno di lavoro dopo che Giuseppe si era allontanato- Oggi lo mettono sulla macchina automatica. Staremo a vedere come se la cava il nostro esperto!”. “E tu che ne sai!”, “Cosa vuoi dire con questo?” chiesero alcuni del gruppo sorpresi e incuriositi. “Oggi ve ne accorgerete. -ribatté lo scopino- Non è forse vero che certi intrighi di palazzo, oltre al re, può conoscerli pure lo stalliere?”.
      Si vociferava già da tempo, infatti, di una macchina robot che avrebbe svolto il lavoro di almeno due o tre persone con un rendimento, sia qualitativo che quantitativo, di gran lunga superiore. Il tanto decantato aggeggio computerizzato era arrivato solo da qualche mese ed era già pronto a dare frutti e a ridurre manodopera, a tutto vantaggio e profitto dell’azienda naturalmente.
In quell’ultimo mese lo sfondo unico di ogni ragionamento era stato solo la capacità del nuovo macchinario di produrre molto, bene, con minori spese e poco personale. È appunto in rapporto a quest’ultima nota dolente che è bene ricordare perché Giuseppe era stato soprannominato “il gradasso”. Lavorava lì da più di trent’anni, era uno dei più anziani, si era dedicato sempre con impegno ed efficienza all’espletamento delle sue mansioni; per le sue ottime competenze avrebbe potuto occupare addirittura il posto di caporeparto, ma non gli era mai andato a genio avere delle responsabilità sulle spalle: aveva sempre preferito restare un semplice operaio senza grattacapi per la testa. Adesso che, a causa di quel nuovo macchinario, qualche licenziamento di certo ci sarebbe stato, chi avrebbe potuto toccare proprio lui con all’attivo  quell’ineccepibile curriculum professionale?
      Scoccarono le otto e la campana suonò e ognuno si recò al suo “posto di combattimento” come erano soliti chiamare, forse per alleggerire un tantino la pesantezza della fatica giornaliera, le loro postazioni di lavoro. Anche il nostro fece automaticamente la stessa cosa ma, giunto al suo posto, non vi trovò sessuna “arma da combattimento”. Era lì ad attenderlo, invece, il suo diretto superiore che, dopo il rituale buongiorno gli disse: “E  adesso, signor Giuseppe, vieni con me. Ho una giobba speciale oggi per te!”. Il “gradasso”, intuendo tutto già dall’antifona, cominciò a sudare freddo mentre un brivido gli attraversava tutto il corpo. Come avrebbe fatto a manovrare quel marchingegno della tecnica avanzata? Intanto la sua maggiore preoccupazione era la figuraccia che avrebbe fatto con i suoi compagni di lavoro. Eh sì, il millantare in precedenza le sue virtù professionali non era stato altro che un fare i conti senza dell’oste; allorché lo faceva non poteva mai immaginare che sarebbe stato proprio lui il prescelto alla digitazione di quel nuovo gioiello delle umane invenzioni. Inghiottendo amaro, simulando una certa padronanza di sè, ma internamente teso, si mise a disposizione del givinetto imperbe che gli avrebbe fatto da istruttore fino a quando non sarebbe stato in grado di operare autonomamente. Ascoltava attentamente, eseguiva gli ordini, si affannava a fare del suo meglio, ostentava spigliatezza e sicurezza…ma si vedeva da lontano un miglio che quell’aggeggio tutto pieno di bottoncini e luci era un qualcosa di superiore alle sue pur più che brillanti capacità lavorative: era un nuovo sistema di lavoro che poco si confaceva alle sue vecchie conoscenze di operaio comune. Fingendo di non notare le espressioni ironiche e i sorrisetti sarcastici dei “cattivelli” che avevano bene intuito il suo stato d’animo, riuscì a portare ugualmente a termine quella lunga e sempre più demoralizzante giornata.
      L’indomani, allorché non lo si vide rientrare in fabbrica, solo qualche fidato sapeva che la casetta pagata e un buon gruzzoletto in banca gli avevano suggerito, da ottimi garanti, di tirare avanti in un modo più libero e spensierato, senza padroni e lontano da robot. Intanto nessuno lo aveva messo fuori; era stata una sua, pur se sofferta, libera scelta. La diplomazia aziendale, infatti, affidandogli quel delicato compito non aveva fatto altro che rispettare ogni suo diritto di anzianità e di competenza. Erano state le esigenze innovatrici della scienza a mettere in testa a Giuseppe il pensierino della prepensione.
Era stata l’impellenza della computerizzazione a fargli capire che a un certo punto si deve pure far largo ai giovani. Perciò nessuno gli aveva fatto il torto di metterlo alla porta: era stato l’inesorabile cammino del progresso  di cui nessuno si rende conto che, pur avvantaggiando il domani dell’umanità, a volte purtroppo rovina l’oggi dell’uomo!

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