mercredi 24 février 2016

ANCHE  QUESTA  È  AMERICA ©
(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)
LA VOCE DEL PADRONE           
       Albano, un portoghese vecchio amico di Giuseppe, è molto fiero del suo nome che, a suo dire, gli calza anche a pennello. Tanto per cominciare gli calza a pennello perché, nella sua vita di operaio, non c’è stato mattino che “l’alba” non l’abbia trovato già sveglio. In secondo luogo ne è fiero anche per il fatto che lo porta una delle più rappresentative voci della musica leggera italiana. Avendo toccato questo tasto musicale, Albano, che da giovane è stato per alcuni anni in Italia, si ricorda spesso di quegli antichi dischi con sopra un grammofono e, accovacciato lì a fianco, il più fedele amico dell’uomo che sembrava ascoltarne il suono. Correvano i tempi, infatti, della rinomata casa discografica “La voce del Padrone”.
       Albano e Giuseppe, tempo addietro, hanno lavorato svariati anni per la stessa ditta. In appresso si sono persi di vista, rimanendo amici…nel pensiero. Adesso, però, per un fortuito quanto piacevole caso della vita, si trovano a essere addirittura vicini di casa. E ne rispolverano di ricordi e se ne raccontano di fatterelli vissuti insieme, ora che si sono ritrovati e sono tornati ad essere quei grandi amici di una volta. Come fanno a dimenticare quel particolare episodio di manifattura accaduto in quei giorni in cui si erano appena conosciuti? Giuseppe era vecchio del posto, mentre Albano vi lavorava solo da qualche settimana. E, a dire il vero, l’ambiente gli piaceva pure perché era favorevolmente rimasto impressionato dalla spensieratezza e dall’allegria che regnava in quel luogo. Quel venerdì lì, poi, l’armonia sprizzava da tutti i pori anche perché il fine settimana era alle porte! “Approfittiamone! Approfittiamone adesso: mò che torna il padrone ce la fa finire lui la pacchia!” disse un operaio, quasi invitando alla riflessione o richiamando gli amici all’ordine dovuto. Potevano essere le due e mezza circa allorché una voce, che Albano sentiva per la prima volta, tramite intercome convocava il manager in ufficio. Nell’udirla ammutolirono tutti. E, guardandosi l’un l’altro in faccia, sembravano chiedersi: “Ma non doveva tornare la settimana prossima?”. “Hai visto cosa è capace di farti la voce del padrone? -disse Giuseppe ad Albano che era rimasto sorpreso da quell’improvviso cambiamento di atmosfera- Aspetta solo che arrivi qui di persona e…vedrai l’aria tremare!”. Non trascorse nemmeno una mezz’oretta che dal reparto vicino arrivarono voci di persone che si aggirava per la manifattura. Meno male che la fabbrica aveva diversi locali e il padrone una voce poderosa: nell’udirla, infatti, parecchi topi che in sua assenza si erano preso il lusso di ballare ritornarono ipso facto nei propri ranghi…a dare l’impressione di essere quei bravi operai della messe che rendono possibile il buon raccolto! Una volta giunti nel reparto dei nostri amici, il manager andava rendendo conto al padrone di quello che succedeva, man mano che questi chiedeva spiegazioni a riguardo di questo o di quello. L’unico nuovo del posto era Albano. Il datore di lavoro, avvicinandosi, si fermò per qualche attimo a osservarlo; dopo di che, pollice recto in segno di approvazione: “Very good, very good!” esclamò e passò oltre.

       Che motivo avevano, quegli operai lì, a lamentarsi della sua severità? Non faceva altro che badare ai propri interessi e non aveva tutti i torti a difendere i suoi diritti. A essere sinceri, se avesse visto i suoi “topi ballare”, non avrebbe avuto ragione a tirar fuori le unghia? E poi, diciamoci la verità, non sono “mazze e panelli a fare i figli belli”? Ci siamo mai resi conto che, se un proprietario di azienda mantiene il pugno fermo sul suo vascello industriale, pure il suo equipaggio può sbarcare il lunario con minori grattacapi? Ecco, un operaio entra in fabbrica, fa le sue otto ore e se ne torna a casa libero e spensierato. Ma chi deve approntargli il lavoro pure per l’indomani, può dormire ugualmente a sette cuscini? Dopo avere spezzato tutte queste lance in favore della parte patronale, Albano osservò: “Vedi Giuseppe, abitualmente diciamo di essere noi operai a lavorare per i nostri padroni; invece mi sa che sono loro a lavorare per noi!”. “E sì, mio caro Albano, forse dovremmo rispettarla di più la voce del padrone. È simbolo garante di pane e lavoro. È custode fedele di successo e benessere…per chi comanda e per chi deve ubbidire!”, rispose Giuseppe a conclusione di una di quelle tante chiacchierata che riportava loro il passato alla mente.

lundi 8 février 2016

ANCHE  QUESTA  È  AMERICA ©
(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore
LA CARITÀ  PELOSA  
       Correvano i tempi in cui Giuseppe dimorava nella cittadina di San Leonardo, allorché questa era scherzosamente chiamata la città di quelli che si grattavano la testa. Abbiamo detto “grattavano”, cioè all’imperfetto, perché…valli a toccare oggi quelli lì! La casa in cui stava in affitto si trovava sul lato sud di una stradina a forma di ferro di cavallo. Quelli che la abitavano si conoscevano tutti e tra loro sussistevano anche ottimi rapporti di amicizia…pettegolezzi e dicerie di comari a parte! Il loro tenore di vita ti faceva sembrare di stare in Italia: in uno di quei tipici vicoletti di paese. Seduti dinanzi alle case si chiacchierava, ci si prendeva il caffè e si trascorrevano liete serate sotto le stelle. Tra la famiglia di Giuseppe e quella di un dirimpettaio, poi, si era venuta a creare una tale relazione che, più che amici, sembravano parenti. “Ah Pè, -gli faceva a volte l’amico di fronte- vieni qui con Angela che ci facciamo una partita a carte!”. E, specialmente nei week-end invernali, se ne facevano di cenette e di partite a carte insieme. Spesso vi prendeva parte pure Raffaele, un cognato del vicino. Raffaele era sì una brava persona, ma pure uno di quelli che anche quando parlano devono sempre “far carte” loro. In compenso, però, sapeva farsi ascoltare e parlava con buona favella e tanta umanità. Giuseppe cominciò a considerarlo una persona corretta da quando raccontò di quella lontana volta che era rimasto senza lavoro, e nemmeno a farlo apposta, proprio quando aveva appena comprato la sua prima casetta. “Voi non sapete -diceva fra l’altro- che pena demoralizzante per me, vedere mia moglie andarsene ogni mattina al lavoro e io dovermene restare lì in casa perché non mi era possibile trovare nemmeno una mezza giobba dove guadagnare qualcosa!”. E sottolineava pure che, se fosse stato lui un datore di lavoro, sarebbe stato molto generoso con la povera gente.
       In appresso Giuseppe cambiò casa, i suoi amici non li frequentò più tanto spesso come prima e il loro parente, se ebbe modo di rivederlo, fu solo per motivi di festa o per ragioni di lutto. Un tempo il nostro Peppe, quando lavorava come capospedizioniere in una grande fabbrica di Montreal, fece amicizia con un certo Johny, un loro abituale fornitore. Parla oggi e parla domani, un bel giorno questo benedetto Johny non si fece scappare il nome del suo socio in affari? “Fammi sentire un po’, -chiese subito Giuseppe nell’udire quel nome- questo tuo socio Ralph non è, per caso, uno alto, robusto, dalla buona parlantina e che risponde al cognome di Tal dei Tali?”. “Ma sì, è lui. -rispose l’altro- Perché lo conosci?”. “Se lo conosco?! –confermò Giuseppe- Ce ne siamo fatte di partite a carte insieme. Salutamelo e dagli una forte stretta di mano da parte mia!”. Ma tu guarda solo come è piccolo il mondo e come vanno a finire certe cose della vita. Ricordandosi di quel suo vecchio amico, Giuseppe si compiacque per lui soprattutto per il successo che aveva fatto. Era così bravo, sensibile, generoso che la soddisfazione di essere divenuto uomo d’affari se la meritava davvero; meglio a lui, che era un amico, quella fortuna anziché a un altro. E poi, aveva così sofferto, appena arrivato dall’Italia, il poveretto!
       Col passar del tempo la manifattura dove lavorava Giuseppe chiuse i battenti e fu la sua volta di trovarsi in mezzo a una strada…si fa per dire perché in quale famiglia di emigranti, dopo tanti anni di America, non c’è di che poter vivere discretamente? E poi, mica non li aveva pagati pure lui i contributi alla cassa integrazione! Non ne valeva, quindi, la pena sfruttare un po’ anche il governo? Lo facevano tanti quasi per abitudine! In ogni modo a quale italiano di buona volontà piace restarsene a casa senza far niente? Perciò, la domanda alla cassa integrazione la fece sì, ma subito si mise in cerca di un altro lavoro. Intanto, gira di qua e gira di là, forse per l’età o forse per scalogna, vedeva chiudersi le porte prima ancora che gli venissero aperte. Fu la moglie Angela ad aprire uno spiraglio di luce nella confusione dei suoi pensieri. “Perché non vai a trovare i tuoi amici Johny e Ralph?” gli disse un giorno che lo vide particolarmente abbattuto. Ehi, ma come aveva fatto a non pensarci prima? Ci andò e appena Ralph se lo vide davanti lo abbracciò forte forte, gli diede un paio di amichevoli manate sulla spalla e disse: “Eh sì, mio caro Peppe, è stato un duro colpo anche per noi la chiusura della vostra fabbrica. Il tuo padrone era uno dei nostri migliori clienti!”. E Johny, che si era recato pure lui a salutarlo, aggiunse: “Per quello che è successo a voi, la nostra produzione è diminuita di un quarto e forse più!”. Finiti i convenevoli di rito, il nostro subito fece presente che si era recato da loro perché era in cerca di lavoro. “Ma senza dubbio, vai a fare l’applicazione in ufficio e vedremo cosa potremo fare per te!”, gli disse Ralph con fare entusiasta e promettente. “Ma si , vai vai pure. -soggiunse Johny- La nostra segretaria è Laura; tu la conosci: ha lavorato pure da voi!”. E fu appunto Laura, dopo essersi salutati da buoni e vecchi amici, a riempire la sua domanda d’impiego. “Ecco, -disse dopo avergli fatto firmare il formulario- la tua richiesta la metto qui, sopra sopra: in assoluta priorità. Se c’è qualcosa, sarò proprio io a chiamarti!”. Nell’andarsene, tra il sorpreso e il deluso, Giuseppe pensò: “Ma, se mi conoscono, perché sono ricorsi a tutte queste formalità? Non me la potevano dare subito una risposta?”. Passarono parecchie settimane e di chiamate non se ne sentì neanche l’eco. Un altro lavoro lo trovò ugualmente e il trio dei vecchi amici ritornò nel dimenticatoio.

       Tempo dopo, andando con sua moglie per degli acquisti alle Galleries d’Anjou, incontrarono gli amici della famosa strada a ferro di cavallo? “Un tipo veramente generoso, il tuo caro cognato Raffaele. -si sfogò con l’amico, mentre le mogli parlavano d’altro- Ero senza lavoro; sono andato da lui e mi ha fatto…fesso e contento!”. “E a chi lo dici, mio caro Peppe? -confermò l’altro, continuando ironicamente- Quello ormai è diventato un pezzo grosso. Non hai notato che adesso si fa chiamare Ralph, all’inglese? È diventato grande pure di nome. Capisci, mio caro don Peppino?”. E a don Peppino non restò che fare, purtroppo, un’amara considerazione: “È proprio vero che il sazio non crede al digiuno, A questo punto, però, è meglio essere poveri e rispettare il prossimo, anziché avere il portafoglio pieno e voltare le spalle agli amici!”.