samedi 9 avril 2016


ANCHE  QUESTA  È  AMERICA ©

(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)

LA CALUNNIA  

       Correvano i tempi in cui Giuseppe attaccava a lavorare alle sei in punto del mattino: immaginate voi a che ora doveva alzarsi. Fortuna che, data l’ora mattutina, con una mezz’oretta ce la faceva a recarsi in fabbrica! Nel reparto di cui era responsabile c’era pure il turno dalle quattro a mezzanotte ed era sua mansione ritirare il lavoro fatto la sera precedente e approntare quello da farsi  dalle operatrici del giorno. Era d’obbligo, quindi, trovarsi lì di buon’ora perché quelle alle sette precise già stavano con i piedi sui pedali delle overlock e non volevano perdere neanche un minuto: lavoravano a cottimo e ogni attimo perso voleva dire qualche soldino in meno sulla busta paga. Cosicché quando arrivavano i “signori delle otto” lui già aveva sulle spalle due ore di lavoro a tamburo battente. Ma, siccome tutto è relativo, sentite questa. Un mattino, verso le otto meno un quarto, se ne arrivò uno ancora sbadigliando e gli occhi pieni di sonno. Giuseppe, indaffarato com’era, non fece caso a salutarlo. “Ehi, -gli fece quello bonariamente- non si dice più buon giorno alla gente la mattina presto?”. Ditemi di grazia, se per quello alle otto era mattina presto, cos’era per Giuseppe alle sei? Una di quelle vere mattine presto, parcheggiando la macchina come d’abitudine, scorse poco lontano alcune delle sue operatrici in preda al panico perché i mariti di due di loro stavano litigando animosamente. Fortunatamente il passaggio di una volante calmò gli animi bollenti ed evitò loro di venire alle mani. Il come e il perché di quella mattutina rissa eccovela spiegata il più brevemente possibile. Due di quelle nobildonne, giorni prima, una parola tira l’altra, vennero alle corte arrivando a darsi, naturalmente, pure l’appellativo di “buone donne”. L’eco di quei poco graditi complimenti giunse all’orecchio dei rispettivi mariti che, non trovando di meglio, scesero in piazza per la resa dei conti.

(Prima di arrivare alla calunnia del titolo, comunque, bisogna premettere qualcos’altro. L’industria tessile in cui il nostro lavorava prima, a causa di una sottoscrizione maggioritaria degli operai in favore di un sindacato, chiuse le porte. Per Giuseppe detta chiusura cadde come una manna dal cielo; infatti trovò  lavoro  dove accadde il fatto della calunnia, appunto,  ma dove aveva avuto pure la fortuna di entrare a far parte dei “signori delle otto”. E non è tutto perché in occasione delle feste natalizie ebbe un’altra piacevole sorpresa. Nel periodo festivo, pur non avendo settimane complete, le paghe risultarono uguali a quelle di ogni altra settimana regolare. Pensando a qualche errore, andò a chiedere spiegazioni e si sentì rispondere: “Tu sei pagato a settimana e devi essere pagato pure per i giorni che siamo chiusi per motivi di festa. Perché dove stavi prima ti tagliavano la paga?”. E in effetti era proprio così: lo avevano fatto fesso, dove stava prima! Ma lasciamo da parte simili quisquilie e cerchiamo di arrivare alla calunnia.)

Intanto in questa nuova fabbrica si trovava fin troppo bene e anche con le sue dipendenti sussistava un clima di ottima intesa e di sincera simpatia. Anzi, alcune di esse le aveva fatte venire lui stesso lì allorché aveva chiuso i battenti l’altra manifattura di calze. Ma in generale era ben voluto e stimato da tutte per il suo fare equo e imparziale: da non dimenticare che anche lì le sue donne lavoravano a cottimo! Eppure ci fu qualcosa che venne a turbare quel raro equilibrio di reciproca simpatia e buona collaborazione. Un mattino, ancor prima di arrivare nel suo reparto, avvertì uno strano brusìo e una certa agitazione in mezzo alle sue operatrici: appena varcata la soglia, però, tornò tutto improvvisamente alla normalità. Fingendo a sua volta di non aver udito niente, salutò come sua abitudine senza distinzione di lingua o di razza: “Buon giorno, Bon jour, Good morning, Kalìmera” e si diresse al suo tavolino. Intanto quella della macchina in fondo a tutte, con l’indice della mano destra sulla bocca, gli fece capire di starsi zitto; poi, roteandolo ripetutamente, gli diede a intendere che gli avrebbe spiegato tutto più tardi. In attesa di quel “più tandi” se ne andò nel reparto tessitura a prendere il lavoro da distribuire durante la giornata. Tornando col carrello pieno incontrò il manager con cui, dopo il “buon giorno” di rito, continuò il cammino insieme. E insieme avvertirono il brusìo sospetto di poco prima. “Ma che hanno stamattina le tue operaie?”, chiese il manager a Giuseppe che rispose: “Boh, anche poc’anzi ho notato una specie di trambusto; ma poi si sono calmate. Vattelappesca cosa passa loro per la testa!”. Cosa passava loro per la testa glie lo fece sapere la donna del dito sulla bocca. Chiamandolo con la scusa della macchina che non andava bene, gli lasciò scivolare un bigliettino tra le mani. Giuseppe non finì nemmeno di leggerlo che subito corse a farlo vedere in direzione. “Ecco svelato il mistero del putiferio di stamattina! Sono proprio io il diretto interessato: leggi qui!”, disse porgendo il bigliettino al suo capo e poi continuò: “Una di quelle streghe ha calunniato quella befana della seconda macchina di avere avuto un figlio da me!”. E tutto impaurito e sconcertato raccontò il fattaccio dei mariti gelosi avvenuto alcuni anni prima dinanzi alla vecchia fabbrica. E, quasi per dare una prova convincente della sua innocenza, concluse: “Mia moglie la conosci anche tu: ti pare possibile che avrei cambiato l’occhio per la coda?”.

       Prima della chiusura dell’azienda il manager si premurò di rassicurarlo: “Ho chiamato a casa della tua “amante” e il marito in persona mi ha confermato  di esserne già al corrente e che sono tutte calunnie mosse alla moglie per gelosia. Perciò torna a casa e dormi a sette cuscini…ché nessuno ti impedirà campare cent’anni e più!”.