samedi 24 octobre 2020

Numero speciale in occasione della XX settimana della lingua italiana nel mondo 

Il PICAI e l’italiano a Montreal   

          Come ogni cosa sulla faccia della terra, anche gli Enti socio-comunitari, con il passare del tempo, dovrebbero adeguarsi alle esigenze della società. Ciò premesso, appena giunsi a Montreal nel 1967 per due anni insegnai italiano ai figli degli emigranti nelle scuole del sabato mattina. Dette scuole vennero istituite nel 1950 da Mons. Andrea Maria Cimichella e gestite, a quei tempi, dalle parrocchie italiane della nostra metropoli canadese. Allora sì che bisognava parlare di insegnamento a livello di emigrazione: avevamo ancora la valigia di cartone appesa al chiodo in un accorato angolo di garage! Purtroppo, per motivi di lavoro, dovetti interrompere sia pure temporaneamente, quell’interessante insegnamento del sabato mattina.

          In appresso l’ho ripreso di nuovo, per circa una trentina di anni ancora, nel 1983 per conto del PICAI che, fondato nel 1972, si avvicendava alle parrocchie italiane nella gestione dell’insegnamento della lingua e cultura italiana. A questo punto devo dirvi che, tornando sui banchi di scuola, mi trovai subito immerso in una nuova ideologia didatica completamente diversa da quella sperimentata anni prima. Innanzi tutto venni a conoscenza dell’esistenza del PELO grazie al quale tanti dei miei colleghi del sabato anche durante il giorno diffondevano la cultura italiana nelle scuole francofone ed anglofone. In secondo luogo, specialmente nell’ora pedagogica di fine mese, restai piacevolmente sorpreso da quel nuovo spirito didattico e da quei nuovi ideali di insegnamento che venivano cullati dalle menti e dal cuore di quei miei nuovi amici del sabato all’italiana. Nello specifico sentivo parlare della loro ferma volontà di dare una nuova impronta ed un orizzonte più vasto a quel limitato insegnamento di solo tre ore a settimana. E li sentivo parlare anche dell’italiano come lingua di cultura e come materia scolastica da integrare nelle scuole pubbliche. E, tira e molla e per merito soprattutto dell’intraprendenza e della buona volontà di vari insegnanti, ormai non più di prime emigrazioni, detto insegnamento oggi giorno è già attivo in svariate scuole publiche sia della commissione scolastica francese che di quella inglese. Ho sempre insegnato nella Leonardo da Vinci in Rivière des Prairies e sono fiero di affermare che in una di queste scuole, precisamnente nella East Hill, furono due miei colleghi della da Vinci a creare i presupposti e a coinvolgere tutti i responsabili affinché si realizzasse l’integrazione dell’italiano in detto istituto scolastico. È ormai da vari annetti che non insegno più e, di conseguenza, sono all’oscuro di eventuali altri sviluppi a ché l’italiano diventi lingua di cultura. Comunque, detto per inciso, l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo; intanto anche Montreal e il Canada fanno parte del mondo; ergo dunque…intelligenti pauca! Con somma soddisfazione ho sentito parlare della fondazione del CESDA: un Ente che si avvale anche del supporto della Società Dante Alighieri di Montreal e che si prefigge come lusinghiero e nobile scopo proprio  l’inserimento della lingua italiana nelle scuole publiche. Una nuova formula, quindi, per continuare in maniera più consistente quelle idee già promosse ed avanzate in precedenza da alcuni membri del PICAI. Il CESDA è nato in seguito all’integrazione dell’italiano nella Marie Clarac: mi auguro  che l’operato dell’Ente abbia dato altri buoni frutti e che possa vedere realizzato al massimo ogni suo sogno.

Ho introdotto questa mia dissertazione con un eventuale aggiornamento di Enti ed Organismi comunitari alle varie richieste dei corsi e ricorsi storici, senza contare che molti di questi sodalizi hanno nei loro obiettivi un passaggio di testimone del nostro retaggio alle future generazioni. Questi leader della nostra italianità non potrebbero prendere in considerazione anche questo nostro problema linguistico come una esigenza attuale cui dare una risposta? Questi leader della nostra italianità non potrebbero darsi una buona stretta di mano e, vis unita fortior, bussare alle porte dei nostri molteplici imprenditori affinché si impegnino a sovvenzionare un giusto futuro al nostro idioma e a che questo da insegnamento di emigrazione diventi lingua di cultura: sia come materia di insegnamento nelle scuole publiche e sia, perché no, attraverso la fondazione di una scuola etnica privata?

          Ben spesso si è messo in ividenza questo neo linguistico del PICAI; ma quando si cammina insieme, soprattutto in terra emigrante, non sarebbe più fruttuoso darsi una mano per rendere il cammino più agevole e piacevole? Come ho appena accennato, varie altre Istituzioni nostrane avrebbero potuto accompagnarlo a portare avanti la nostra lingua in una maniera migliore. Quindi, tanto per concludere, mi permetto di chiedermi se non sia il caso di farsi un buon esame di coscienza ed esortare eventuali altri responsabili con un perentorio “sotto a chi tocca?”…affinché il “dolce sì che suona” possa continuare a farlo in una tonalità sempre più melodiosa!