jeudi 24 décembre 2020

 

In natalizia covidianità

      Eccoci finalmente a Natale ed anche stanotte nascerà il Salvatore; quest’anno, intanto, siamo anche animati dalla speranza che il Divino Bambinello, scendendo dal cielo, ammanti la terra nella tranquillità di un futuro più sereno. Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà. A quegli uomini, cioè, che almeno in questo periodo di pandemia hanno voglia di collaborare coscienziosamente per il benessere di tutti e su tutta la terra. Già da inizio novembre abbiamo cominciato a chiederci a come sarà il Natale 2020. Ebbene sarà esattamente così come ce lo siamo e ce lo stiamo ancora preparando tutti noi che lo festeggeremo anche questo 25 dicembre di questo fatidico ventesimo anno, primo "quarto", del terzo millennio!

       Circa un anno fa, quando il covid venne a nascodersi in mezzo a noi, vennero a formarsi tre distinte piattaforme sociali per combatterlo o perlomeno renderlo il meno aggressivo possibile. Fu la medicina in primis a fargli da scudo e a tenerlo a bada in modo encomiabile ed eroico nonché in maniera esemplare e scientificamente adatta allo scopo. Luminari di tutto il mondo diagnosticarono all’unanimità la stessa linea di difesa e si trovarono pure tutti d’accordo nel dettare leggi sul da farsi: una mascherina di protezione, un frequente lavarsi le mani, uno stretto distanziamento sociale; e già da allora vaticinarono pure, e sempre di comune accordo, un eventuale vaccino la cui lavorazione è puntualmente in via di sviluppo anche se, a scorno dell’iniziale solidarietà collaborativa, ogni Paese adesso è in corsa alla ricerca di quello proprio;  nello stesso tempo si sentenziò pure di doversi adeguare a delle nuove abitudini di vita perché più nulla in futuro sarà come prima per noialtri comuni mortali che dobbiamo, obtorto collo, farcene una ragione!

       Tutto sommato in questo trascorso anno di pandemia, a trovarsi tra l’incudine e il martello forse sono stati proprio i governanti. Si sono improvvisamente trovati tra le mani una scomoda patata bollente, se non addirittura una bella gatta da pelare. Hanno dovuto imporre le norme sanitarie suggerite dalla medicina e hanno dovuto cercare, nello stesso tempo, di venire incontro alle più disparate esigenze delle attività sociali: lavoro, economia, sport, cultura, spettacolo, divertimento, educazione, insegnamento e chi più ne ha più ne metta. E, come sempre accade in emergenze del genere, se accontenti questo scontenti quell’altro e, come fai fai, ti verrà puntato a prescindere l’indice contro! Ditemi quello che volete ma, dando uno sguardo intorno al mondo, soprattutto in quei Paesi che si spacciano per democratici, mi sa che qui in Canada possiamo ritenerci di buon esempio in questa ancora dilagante covidianità. Ciò premesso, tutti i governi hanno messo i necessari paletti di protezione per affrontare la seconda ondata ed ora stanno prendendo anche le richieste misure per farci trascorrere un sereno Natale, onde evitare una malaugurata terza ondata. Intanto, quali sono le nostre reazioni popolari faccia a faccia a queste loro non facili prese di posizione…a sfondo natalizio?

       Si disse che il covid era giunto su terra per richiamare l’uomo ad una più saggia normalità di vita; se ben ricordo anch’io sottolineai, in un mio primo scritto a riguardo, che questo piccolo atomo terrestre era giunto a ritenersi un padreterno in terra. Ora che è quasi giunto Natale sembra che suddetto pentimento non sia a più di dovere e che, almeno per queste festività più suggestive dell’anno, un po’ di più gioia e di più godimento ce lo meritiamo proprio, anche se il nostro nemico è sempre lì in agguato. Cosa ci costa, allora, accettare  di buon grado le norme suggerite  ed  approfittare dell’atmosfera natalizia sia per adattarci alle necessità covidiane e sia per finalmente assuefarci ad una più conveniente normalità? Sono proprio necessari i numerosi assembramenti e le abbondanti tavolate per accogliere il Bambinello e per dare il benvenuto al Nuovo Anno? Quante volte in passato ci siamo rimprovetrati di dare più importanza ai festeggiamenti materiali, anziché prendere in considerazione pure i valori spirituali di queste sante feste? Ed allora rimettiamoci la mano sulla coscienza e cerchiamo di non lamentarci troppo della presenza del virus in mezzo a noi: tutto sommato ci sta porgendo l’occasione di trascorrere un sereno Natale nella gioia della famiglia e nel calore del focolare domestico come ai nostalgici tempi di quando "si stava meglio quando si stava peggio".

       D’altra parte resta fermo un punto: più nulla in futuro sarà più come prima perché con il covid 19 dobbiamo imparare a conviverci! E questo, come in ogni altra cosa che richiede una giusta capacità di adattamento, chi ha la saggezza di farlo lo sta già facendo; chi, invece, non ha il giusto senno per farlo, non vi si abituerà mai…anzi continuerà a parlarne a vanvera senza accorgersi di seminare panico e di stressarsi senza motivo; in questo sopraggiunto clima di convivenza non trascuriamo, dunque, di mettere in agenda il rispetto delle norme, di noi stessi e soprattutto degli altri…se vogliamo realmente avere la meglio sul virus e "regalarci" quella meritata rinascita del tutto andrà bene!

vendredi 4 décembre 2020

 

Sul podio della covidianità

      Una seconda ondata del coronavirus era stata data per scontata, anche se non con assoluta certezza. E già dai primi dell'autunno la ricaduta si è affacciata in vari Paesi andando a prendere di mira anche i giovani: è venuto a fare una carezza pure sulle spalle della promettente età verde!

       Ma cerchiamo di fare una messa a punto su quello che si è verificato, per quanto riguarda il comportamento umano, tra la prima e la seconda fase del covid 19. Intanto va sottolineato che la medicina, ben supportata da precedenti esperienze analoghe e dai passi da gigante fatti dalla scienza, ha saputo controbatere efficientemente gli attacchi del morbo, pur non avendo ancora trovato un vaccino adatto a debellarlo compleltamente. Cosa questa quasi illusoria perché l’unico rimedio a certi mali sta nella convivenza con essi o nella speranza di una eventuale riproduzione di anticorpi. Ciò premesso mi permetto di paragonare questa devastante covidianità ad una gara agonistica e mettere sui tre gradini del podio i protagonisti delle rispettive medaglie. Quello più alto spetta a medici e paramedici che si sono prodigati anima e corpo a soccorrere i contagiati anche a costo della loro stessa vita; ad essi, dunque il meritato onore della medaglia d’oro e il caloroso applauso della nostra riconoscenza!

       Dal canto suo, a quanto pare, pure la fascia generazionale adulta e senile ha fatto la sua parte per non ingolfare il traffico delle vite verso l’aldilà. Un po’ perché prudentemente consigliata dai figli, un po’ per ubbidienza alle  nuove misure di sicurezza, un po’ anche per paura di essere veramente abbracciati da sorella morte…noi anzianotti e gente matura siamo stati, più o meno, di buon’esempio nella gestione di questo increscioso tempo buio; e possiamo essere orgogliosi di aver saputo rinviare a più tardi il giorno della nostra comparsa alle porte del paradiso. E, come avrete ben capito, il secondo posto del podio mi va di assegnarlo proprio alla categoria di queste brave persone: la medaglia d’argento, quindi, sul petto della saggezza che ha tenuto la situazione sotto controllo con calma e riflessione.

       Immagino che siate curiosi di sapere chi ho messo sul terzo gradino del podio; ebbene la medaglia di bronzo l’ho appesa al collo della spensieratezza giovanile. Cari giovani, sin dall’affacciarsi su terra del coronavirus siete stati gli angeli custodi di nonni e genitori più soggetti all’attacco del morbo. Ricordate la spesa fatta per loro e lasciata sull’uscio di casa? E quei saluti di affetto lanciati dalla strada attraverso vistosi baci volanti? Siete stati veramente stupendi nel prendervi cura dei vostri vecchietti con diligente premura e filiale affetto! Ma non sarà che la vostra asintomaticità vi abbia fatto rischiare troppo? Con l’arrivo dell’autunno, infatti, la pronosticata seconda andata si è realmente verificata ed ha preso di mira anche voialtri giovanotti che, a torto o a ragione, vi eravate illusi di essere quasi dei privilegiati. Non sarà che il vostro entusiasmo vi abbia fatto sottovalutare i parametri della situazione? Dovunque nel mondo si è notata una certa trascuranza da parte vostra sulla messa in tratica delle necessarie misure di sicurezza; dovunque nel mondo l’euforia del divertimento e del raggrupparsi insieme vi ha portati a negligere il distanziamento sociale e l’uso della mascherina. Non sarà stato questo vostro modo di comportarvi tanto  impulsivo da rasentare quasi l’incoscienza? Non sarà, infatti, proprio questa vostra leggerezza ad aver appesantito lo scorrere di questo sfortunato 2020?

       Visto che ci risiamo, speriamo bene e torniamo a sognare di nuovo il sereno arcobaleno del «tutto andrà bene»!

lundi 16 novembre 2020

 

In danzante covidianità

          Uno dei settori più frustrati dalla pandemia è quello dello spettacolo e della cultura; purtroppo proprio quelli che hanno a che vedere con il sacrosanto riposo settimanale, nonché per un giusto nutrimento mentale. Fortunatamente in «campo sportivo» c’è stata una certa ripresa delle manifestazioni anche se, per precauzioni antivirus, a porte chiuse. Intanto sembra che la maggiore problematica adesso sia legata alle «piste da ballo»: discoteche e danze sociali…giovani da una parte ed anziani dall’altra. Sono questi i luoghi ancora più soggetti a rischio e ancora maggiormente penalizzati…purtroppo!

        Punto fermo della covidianità è stato, sin dall’inizio, l’isolamento e il distanziamento sociale; questo è l’antidoto e non ci sono se e non ci sono ma che tengano: se si vuol sopravvivere bisogna evitare i contatti stretti e tenersi lontani il più possibile, a parte tutte le altre sante regole di igiene personale e pubblica. Poiché centri d’age d’or e discoteche comportano assembramenti di una certa portata, gestire queste attività e conciliare detti punti in contrasto è risultato difficile ed ha richiesto un compromesso di saggia dose di buon senso civico non indifferente. Difatti, come fa l’uomo, questo animale socievole, a tenersi alla larga dai suoi simili e non concedersi il godimento di sani svaghi ricreativi e di relax? Come fa la nostra terza età a privarsi di quegli incontri «ballerini» che ripagano sacrifici e rinunzie in una vita intera? È una vera tortura a cui si è cercato di sfuggire anche sfidando i divieti di circostanza o facendo finta che il covid fosse già qualcosa del passato. Non me ne vogliano neanche i giovani, ma sembra proprio questo l’attuale andazzo pure degli amanti della discoteca.

       Ciò premesso, cari voi negli anni verdi e cari voi dai capelli d’argento, mi permetto di farvi presente che nella filosofia scolastica l’uomo è definito come «animalis rationalis». Non pensate che sia appunto questo il caso di saper fare uso di questa umana facoltà razionale? C’erano buone speranze di una ripresa; ma sembra che siano state distrutte dal comportamento impulsivo cui ho appena accennato. La prevista seconda ondata, infatti, si è verificata e, guarda caso, ha preso di mira pure i giovani che sembravano aver quasi dimenticata la presenza in mezzo a noi del covid. Fortunatamente in questa ricaduta la medicina è pronta all’assalto e sa cosa fare; ma noi umani cosa abbiamo appreso dalla lezione del coronavirus? Se non vogliamo veramente cadere nel baratro, cerchiamo di uniformarci alle nuove norme che il governo ha dovuto imporci a partire dal colorato mese di ottobre, cercando, una tantum e almeno quando è nel nostro interesse, di agire da «animalis rationalis»! 

 

lundi 2 novembre 2020

 

Eduardo Rodà: con penna e pennello in mano

        Ho conosciuto Eduardo Rodà sui banchi di scuola del PICAI e subito si stabilì tra noi un buon rapporto di amicizia che continua ancora adesso. Ciò che mi colpì maggiormente della sua personalità fu il suo senso di appartenenza e il suo vivere l’italianità con innata convinzione e con sincera spontaneità; virtù, queste, che trasmetteva anche a studenti e colleghi. Conoscendolo bene posso dire con certezza che ha dato un contributo non indifferente alla trasparena della nostra italianità, non solo come pittore, ma anche come insegnante nonché uomo di cultura. Mente aperta e lungimirante parlava volentieri di allargare gli orizzonti dell’insegnamento del sabato mattina per farlo divenire materia scolastica nelle scuole publiche. Ed in effetti nella East Hill di Rivière des Prairies fu appunto lui e sua cugina Giovanna Giordano a creare i presupposti, lavorando intensamente sul terreno ed a tutti i livelli di intervento e coinvolgendo tutti i responsabili, affinché si realizzasse l’integrazione dell’italiano in detto istituto scolastico. Senza calcolare gli anni in cui è stato presente come insegnante anche sui banchi del PELO. Culturalmente parlando mi va di dire che è ben ferrato anche come critico letterario; avendogli fatto leggere alcuni miei racconti di manifattura, sapete cosa mi disse a lettura terminata? Che il mio stile letterario «non si allontana mica tanto dal verismo del Verga». 

        Ma intanto eccovi alcuni suoi cenni di vita. Suo padre Domenico giunge a Montreal nel freddo inverno del 1952 da Condé nel nord della Francia e nel 1953 lo raggiunge pure la moglie Carmela che, nel frattempo ha sposato per procura; dal loro matrimonio nasce il nostro Eduardo nel 1954 e poi suo fratello Francesco Antonio di tre anni e mezzo più piccolo di lui. Intanto ad inizio anni 60 la famiglia ritorna, a bordo dell’Andrea Doria, in Italia per stabilirsi a Motta SanGiovanni dove Eduardo trascorre un’infanzia spensierata e muove i primi passi verso l’arte: nel liceo artistico di Reggio Calabria dove si trovano tutt’ora i Bronzi di Riace! È proprio di questo periodo il suo primo quadro su tela che vede la luce nel giorno del suo compleanno, il 5 gennaio 1971. Ed è anche in quello stesso anno che si trasferiscono in Val D’Aosta; Eduardo continua i suoi studi a Torino e si appassiona pure alla letteratura, tanto è vero che scieglie appunto l’italiano come materia di esame sia per il diploma di maturità che per l’iscrizione all’Accademia Albertina sotto la guida dello scultore Sandro Cerchi. Mette fine ai suoi studi discutendo due tesi di laurea: una sull’arte paleolitica in Francia e una sull’artista olandese Piet Mondrian. Da questi suoi anni scolastici scaturiscono le prime mostre: 1974, 1977, 1980 allorché diventa membro fondatore dell’Opera 80 di Torino.

        Intanto, sempre in quel 1980 assieme al fratello, si concede una vacanza a Montreal presso uno zio qui residente. La vacanza, comunque, si prolunga ed offre ad Eduardo la fortuna di conoscere Domenica, una ragazza calabrese nata a Toronto da genitori di Pentedattilo. Nel 1981 convolano a nozze, partono per l’Italia e in appresso ritornano a Montreal dove mettono su casa e studio artistico. Anche Domenica termina i suoi studi divenendo museologa; la famiglia prende una giusta stabilità e due stupende figlie, Nina e Marta Valentina, vengono ad arricchire e ad allietare la loro unione. Anche i contatti con la Madre Patria rimangono vivi e frequenti; e questo sia dal punto di vista affettivo e familiare che dal punto di vista artistico che si concretizza attraverso mostre ed esposizioni varie anche oltre oceano. Interessanti e notevoli, d’altra parte, pure le sue mostre attraverso il Quebec e, naturalmente nella stessa Montreal come testimoniano quelle presso la Gallerie Bernard alla cui guida ci fu anche il suo amico Gianguido Fucito. A questo punto penso che non sia affatto fuori luogo dare dei numeri: 52 mostre personali e di gruppo; 2 fiere internazionali d’arte contemporanea; e ben 152 articoli, è proprio il caso di dire, fatti ad arte e mestiere, rilasciati a svariati veicoli di informazione sia cartacea che virtuale. A tale proposito vi cito alcuni dei suoi impegni e collaborazioni in tal senso. Bloger del sito «erexpcolor»; collaboratore di «XXI secolo»; fondatore e presidente dell’AELOQ; membro fondatore del gruppo teatrale P. P. Pasolini di Montreal; membro fondatore dell’Opera 80 di Torino ed altri ancora. La sua arte possiamo definirla astratta, geometrica ed attuale; un’arte che è sempre rimasta geometrica e materica; un’arte, sotto quest’ultimo aspetto, espressamente italiana che si arricchisce di echi e di spunti alquanto vicini al Caravaggio e a Leonardo. I suoi lavori riflettono, con semplicità stilizzata, l’immaginario geometrico proiettato dagli strumenti della tecnologia elettronica che popolano il nostro universo contemporaneo. Le sue pitture non sono viste più nella loro «globalità-unicità», ma eseguite su più tele che si possono mettere in parallelo al nastro di un film dove la visuale si sposta assieme alla cinepresa; un procedimento che si sviluppa nel tempo in maniera lineare e successiva.

        Eduardo Rodà, un italiano convinto, un insegnante d’avanguardia, un artista geniale ed originale, una di quelle persone speciali che, una volta conosciute, non si dimenticano più! 

samedi 24 octobre 2020

Numero speciale in occasione della XX settimana della lingua italiana nel mondo 

Il PICAI e l’italiano a Montreal   

          Come ogni cosa sulla faccia della terra, anche gli Enti socio-comunitari, con il passare del tempo, dovrebbero adeguarsi alle esigenze della società. Ciò premesso, appena giunsi a Montreal nel 1967 per due anni insegnai italiano ai figli degli emigranti nelle scuole del sabato mattina. Dette scuole vennero istituite nel 1950 da Mons. Andrea Maria Cimichella e gestite, a quei tempi, dalle parrocchie italiane della nostra metropoli canadese. Allora sì che bisognava parlare di insegnamento a livello di emigrazione: avevamo ancora la valigia di cartone appesa al chiodo in un accorato angolo di garage! Purtroppo, per motivi di lavoro, dovetti interrompere sia pure temporaneamente, quell’interessante insegnamento del sabato mattina.

          In appresso l’ho ripreso di nuovo, per circa una trentina di anni ancora, nel 1983 per conto del PICAI che, fondato nel 1972, si avvicendava alle parrocchie italiane nella gestione dell’insegnamento della lingua e cultura italiana. A questo punto devo dirvi che, tornando sui banchi di scuola, mi trovai subito immerso in una nuova ideologia didatica completamente diversa da quella sperimentata anni prima. Innanzi tutto venni a conoscenza dell’esistenza del PELO grazie al quale tanti dei miei colleghi del sabato anche durante il giorno diffondevano la cultura italiana nelle scuole francofone ed anglofone. In secondo luogo, specialmente nell’ora pedagogica di fine mese, restai piacevolmente sorpreso da quel nuovo spirito didattico e da quei nuovi ideali di insegnamento che venivano cullati dalle menti e dal cuore di quei miei nuovi amici del sabato all’italiana. Nello specifico sentivo parlare della loro ferma volontà di dare una nuova impronta ed un orizzonte più vasto a quel limitato insegnamento di solo tre ore a settimana. E li sentivo parlare anche dell’italiano come lingua di cultura e come materia scolastica da integrare nelle scuole pubbliche. E, tira e molla e per merito soprattutto dell’intraprendenza e della buona volontà di vari insegnanti, ormai non più di prime emigrazioni, detto insegnamento oggi giorno è già attivo in svariate scuole publiche sia della commissione scolastica francese che di quella inglese. Ho sempre insegnato nella Leonardo da Vinci in Rivière des Prairies e sono fiero di affermare che in una di queste scuole, precisamnente nella East Hill, furono due miei colleghi della da Vinci a creare i presupposti e a coinvolgere tutti i responsabili affinché si realizzasse l’integrazione dell’italiano in detto istituto scolastico. È ormai da vari annetti che non insegno più e, di conseguenza, sono all’oscuro di eventuali altri sviluppi a ché l’italiano diventi lingua di cultura. Comunque, detto per inciso, l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo; intanto anche Montreal e il Canada fanno parte del mondo; ergo dunque…intelligenti pauca! Con somma soddisfazione ho sentito parlare della fondazione del CESDA: un Ente che si avvale anche del supporto della Società Dante Alighieri di Montreal e che si prefigge come lusinghiero e nobile scopo proprio  l’inserimento della lingua italiana nelle scuole publiche. Una nuova formula, quindi, per continuare in maniera più consistente quelle idee già promosse ed avanzate in precedenza da alcuni membri del PICAI. Il CESDA è nato in seguito all’integrazione dell’italiano nella Marie Clarac: mi auguro  che l’operato dell’Ente abbia dato altri buoni frutti e che possa vedere realizzato al massimo ogni suo sogno.

Ho introdotto questa mia dissertazione con un eventuale aggiornamento di Enti ed Organismi comunitari alle varie richieste dei corsi e ricorsi storici, senza contare che molti di questi sodalizi hanno nei loro obiettivi un passaggio di testimone del nostro retaggio alle future generazioni. Questi leader della nostra italianità non potrebbero prendere in considerazione anche questo nostro problema linguistico come una esigenza attuale cui dare una risposta? Questi leader della nostra italianità non potrebbero darsi una buona stretta di mano e, vis unita fortior, bussare alle porte dei nostri molteplici imprenditori affinché si impegnino a sovvenzionare un giusto futuro al nostro idioma e a che questo da insegnamento di emigrazione diventi lingua di cultura: sia come materia di insegnamento nelle scuole publiche e sia, perché no, attraverso la fondazione di una scuola etnica privata?

          Ben spesso si è messo in ividenza questo neo linguistico del PICAI; ma quando si cammina insieme, soprattutto in terra emigrante, non sarebbe più fruttuoso darsi una mano per rendere il cammino più agevole e piacevole? Come ho appena accennato, varie altre Istituzioni nostrane avrebbero potuto accompagnarlo a portare avanti la nostra lingua in una maniera migliore. Quindi, tanto per concludere, mi permetto di chiedermi se non sia il caso di farsi un buon esame di coscienza ed esortare eventuali altri responsabili con un perentorio “sotto a chi tocca?”…affinché il “dolce sì che suona” possa continuare a farlo in una tonalità sempre più melodiosa!

dimanche 18 octobre 2020

 

GENTE NOSTRA: in silenziosa italianità

       Adesso che di televisione in lingua italiana possiamo scialarcela per 24 ore al giorno, posso farvi una domanda? Cosa ne pensate, oggi giorno, delle allora: Tele domenica, Telegente e in seguito Tele Italia? Cosa ricordate di quelle poche ore settimanali che raggruppavano i nostri nuclei familiari tenendoli uniti alla Madre Patria? Vi vengono ancora in mente Gli emigranti oppure Figli miei vita mia: quelle stupende mezz’ore in cui né si sentiva un alito di respiro, né si staccavano gli occhi dal televisore? Col pensiero ritorno spesso a quei bei tempi ed uno dei volti che si affaccia di frequente allo specchietto retrovisivo del passato è quello della simpatica e brava Alda Viero. Fu, difatti, annunciatrice e animatrice di Telegente; e fu conduttrice, in Tele Italia, della rubrica «Viaggiando per il mondo», nonché annunciatrice per la lettura di notiziari internazionali, nazionali, locali e comunitari.

        Alda Venditti Vieri, nata in Italia a Campobasso nel Molise, è giunta a Montreal all’età di 13 anni a bordo della Saturnia ed è madre di due stupendi figli: Paolo e Stefano. Ha conseguito, presso l’istituto Jean Louis Audet, il diploma di arte drammatica e quello di gestione in turismo. Ed infatti per ben 42 anni è stata operatrice turistica in qualità di direttrice presso la Mediterranea e la Kosmos e come co-proprietaria dell’agenzia di viaggi Viernar, ed in appresso è stata agente di viaggi anche nella Extravaganzia. A parte questo, da convinta italiana, é stata presente nella nostra comunità come sostenitrice di varie attività, nonché come volontaria laddove il caso lo richiedeva. Abito in Rivière des Prairies e sono parrocchiano della Maria Ausiliatrice; allorché, ad inizio anni 70, padre Romano Venturelli fondò la parrocchia, in mancanza di una chiesa, la messa domenicale veniva celebrata nella casa di Renzo ed Alda Viero. Sempre come volontaria ha prestato servizio nell’italianissimo ospedale Santa Cabrini e in altri centri ospedalieri; nel 1958 rappresentò l’Italia al carnevale di Quebec city e nel 1974 scese anche in politica per il partito Liberale del Quebec; senza dimenticare che, segretaria dell’AIAC, ancora oggi si occupa di persone con problemi familiari ed economici.

        Noialtri, gente emigrata in Canada, come semplice popolo non avremmo mai potuto dare quei passi che abbiamo dato per affermare i nostri valori ed il nostro retaggio qui in Nord America se non fossimo stati guidati da Enti ed Organismi comunitari che hanno aperto le nostre menti e indirizzato i nostri cuori verso i giusti orizzonti di un colloquio interculturale con tutti gli altri gruppi etnici del vasto Canada. Eccovene alcuni di quelli che hanno visto anche la presenza di Alda  come attiva collaboratrice. Socia della Casa d’Italia, mansioni varie nel Congresso degli Italo Canadesi, cariche varie nella Federazione delle Associazioni Molisane del Quebec, vice presidente dell’Ordine Figli d’Italia, vice presidente del Comites e tante altre ancora.

        Di svaghi e divertimenti, oggigiorno, ne abbiamo a iosa ed abbiamo pure più tempo per praticarli e maggiori dispobilità di appuntali nell’agenda dei nostri hobby e relax. Su nel tempo però, quando eravamo ancora quegli operai di manifattura con sulle spalle il peso della casetta in Canada, che sfizi ci permettevamo per alleggerire un tantino la fatica delle nostre giornate lavorative? A mettere un po’ di contentezza nei nostri animi, nei week end di allora, ci pensavano i gruppi teatrali di Ermanno La Riccia, Mara Rantucci e Augusto Tomasini. Ma lo sapevate che alle Maschere e alla Ribalta, dove il Tomasini ricopriva il ruolo di regista, è saldamente legato pure il nome di Alda Viero assieme a quello di Corrado Mastropasqua? Difatti di entrambi i gruppi ne fu co-fondatrice e convincente attrice. E per mettere una ciliegina su questa sua torta artistica vi faccio presente che fu pure membro del consiglio di amministrazione del teatro Centour e che ha doppiato anche voci in lingua francese per filmati e documentari e che è stata finanche attrice di fotoromanzi ed autrice di molteplici commedie. Senza dimenticare che è stata organizzatrice di spettacoli teatrali e folcloristici nella parrocchia della Difesa e collaboratrice nell’organizzazione di carri allegorici per la Saint-Jean Baptiste.

        Emigrando in terra canadese uno dei nostri principali sogni è stato quello di trapiantare le nostre radici in queste zolle lontane e di trasmettere le nostre tradizioni, la nostra cultura e la nostra lingua alle future generazioni. Naturalmente anche per quel che concerne l’insegnamento del nostro dolce idioma la nostra Alda ha dato il suo valido appoggio in tal senso: sia per promuovere l’italiano come lingua di insegnamento e sia per educare lo spirito di appartenenza del nostri figli nati in Canada. Ed eccola, allora, insegnare italiano nel collegio Marie Victorin, ed eccola pure sui banchi di scuola del PICAI sin dalla nascita di tale Ente nel 1972: anno in cui le scuole del sabato mattina, fortemente volute e fondate da Mons. Andrea Maria Cimichella nel 1950, passavano dalla gestione delle parrocchie italiane a qualla del suddetto Ente; e per inciso vi ricordo che ha insegnato anche francese ad adulti e nuovi immigrati. A questo punto vorrei sottolinearvi pure la sua verve di scrittrice; ha pubblicato infatti due volumi di poesie: «E poi domani» e «Fiori di campo»; inoltre ha collaborato sull’Insieme con la rubrica «Spigolature poetiche»; ed infine, membro dell’associazione autori compositori del Canada, ha composto numerosi testi di canzoni.

        Dalla mitica Telegente alla moderna Rai International e alla nuovissima ICI television ne è passato di tempo e ce ne sono stati di scambi e di arricchimenti interculturali che hanno trasformato l’aspetto socio-comunitario di questa nostra terra adottiva. A ramificarvi quelle della nostra terra nativa, come si è ben visto da questo breve profilo, un ruolo non indifferente lo ha svolto pure la nostra dinamica Alda Viero. A mio avviso si è implicata in tutto questo in maniera semplice e spontanea, in modo quasi silenzioso, ma costante ed incisivo;  un compito che ha svolto senza voglia di applausi, ma per convinto spirito di italianità. Non ha chiesto nulla in cambio di questo suo impegno quasi missionario in terra canadese…eppure, la nostra cara Patria lontana, una remunerazione virtuale di alta stima glie l’ha data: nell’anno 2012 l’allora presidente Giorgio Napolitano le conferiva il titolo Cavaliere al merito della Repubblica Italiana!

dimanche 4 octobre 2020

 

GENTE NOSTRA

numero speciale dedicato ad un’amica singolare

          Uno dei vantaggi del resto a casa, complice il covid 19, per me è stato quello di aver fatto una simpatica amicizia che mi ha dato l’opportunità di arricchire la mia produzione letteraria e di dare un senso alla solitudine che era venuta improvvisamente a farci compagnia. Ricorrendo il suo compleanno proprio il 4 ottobre, festa di San Francesco, primo poeta in volgare, ho pensato bene di dedicarle questo numero speciale della mia raccolta di «gente nostra»

          Causa cateratta all’occhio destro, tempo fa, mi sono trovato con esso completamente al buio per un giorno e una notte. Svegliandomi, come di solito verso le sette del mattino, influenzati dalla poco lieta circostanza i miei ricordi hanno portato la mia mente, gli occhi chiusi, indietro nel tempo a quando, giovane studente, leggevo Salgari e romanzi di corsari e pirati; soprattutto i capitani di questi, occhio bendato o braccio con mano ad uncino, avevano il privilegio di un’intelligenza particolarmente sviluppata proprio per compensare dette menomazioni fisiche. In quel dormiveglia mi sono ricordato pure di un certo Nino Salvaneschi autore della trilogia: Saper credere, Saper amare e Saper sperare; in uno di questi suoi scritti ameni dice: «Non ho mai visto così bene come quando sono diventato cieco!». Sempre in questo stesso dormiveglia sbircio il recente arricchimento della mia produzione letteraria e mi salta in mente di renderne merito a chi ne è stata, la sia pure involontaria, artefice.

       Ringraziando Iddio i miei occhi sono ancora buoni ed avendo pure entrambo le mani non devo ricorrere a nessun amanuense per mettere nero su bianco. Ed allora prendo subito in mano la mia penna per l’italianità onde porgere il mio grazie di cuore a Lidia Russo della CFMB ed al suo «Flash, la cultura a portata di mano» del mercoledì pomeriggio. Quando vari anni fa, attraverso i microfoni della nostra radio del cuore, la sua voce cominciò a risuonare nelle nostre case aveva il semplice compito di leggere il giornale radio: ben poca cosa per poter essere conosciuta in tutto il suo largo spessore! Le notizie, infatti, sono quelle che sono e nessuno le può cambiare a suo piacimento; le notizie si prendono dall’Ansa, dalle telescriventi o da qualche altro marchingegno della tecnica moderna e vanno lette così come sono: non puoi metterci niente di tuo! Le cose, intanto buon per lei, sono radicalmente cambiate allorché ha cominciato ad illuminare i nostri focolari domestici con i suoi «flash» settimanali. Un mio professore di latino, quando voleva elogiare qualche studente particolarmente dotato soleva dire: «Però, è culturalmente ben ferrato il giovanotto!». Se avesse avuto pure Lidia tra i suoi alunni avrebbe detto questo ed altro ancora.

       Il suo angolo radiofonico lo ha definito «la cultura a portata di mano»; ed allora cosa fa? Prende la cultura, la fa scendere dal suo piedestallo e la porta nei salotti delle nostre case per tenerci compagnia ed intrattenere anche noi con pensieri, idee, concetti e suggerimenti di un certo livello. Qui, a differenza del notiziario ci può mettere veramente tanto di suo ed ognuno può quasi toccare con mano la sua preparazione culturale che spazia attraverso le più svariate discipline ed i più disparati campi conoscitivi: musica, arte, teatro, letteratura, scienza, spettacolo e chi più ne ha più ne metta. E come introduce nel titolo questa cultura a portata di mano? La introduce con la parola flash: un fascio di luce che illumina e mette in primo piano tutta la sua eccezionale stoffa di persona intelligente e colta. Flash, la cultura a portata di mano: l’appuntamento del mercoledì dell’uomo dotto ed erudito, nonché di quello semplice e di tutti i giorni. Flash, la cultura a portata di mano: la mezz’oretta del mercoledì che rende Lidia una persona beneamata e benvoluta da tutta quella brava gente che si sente orgogliosa e fiera di sentirsi italiana.

       Flash, la cultura a portata di mano: grazie Lidia per nutrire intellettualmente le nostre menti e per riscaldare i nostri cuori con i raggi luminosi della tua singolare saggezza e del tuo entusiastico impegno…in lingua italiana e non solo. E naturalmente, il più caro augurio di buon compleanno! 

P.S. Un sentito grazie ed un caro augurio a lei anche da parte di Lucia e Filippo Salvatore, Maria Massimo, Lilla Omobono e Pedro D’Amico, i poeti a cui lei dà spazio nella sua rubrica settimanale.

dimanche 27 septembre 2020

 

 

In orante covidianità 

      Causa virus i luoghi di culto sono stati tra i primi a chiudere le porte e tra gli ultimi a riaprirle; tutto questo ci ha portati a tenerci in contatto con l’Alto in modo, è veramente il caso di dirlo, completamente «virtuale».

       È stato solo qualche mese fa che anch’io, al richiamo delle sue campane, mi sono recato nella Maria Ausiliatrice per il mio primo ingresso post-covid in chiesa: per il momento preferisco andare a messa a quella meno affollata delle cinque pomeridiane. Precluse da cordoncini colorati, in molte file di banchi è vietato sedersi per la nuova moda del distanziamento sociale; nonostante questo la presenza in chiesa, al pari del peso sulla luna, è ancora la metà della metà: cosa ti prende, mia cara gente? Hai paura del contagio anche nella casa di Dio? Suvvia, coraggio: penso che il Signore, almeno la Sua dimora, la tenga ben disinfettata!  Entro, prendo posto e, mascherina al volto come tutti gli oranti, mi guardo intorno. In alto, su due mensole ai lati del presbiterio, la Madonna da un lato e dall’altro san Giuseppe: la mamma e il papà di Gesù; tutt’intorno alla vasta navata, sui mosaici delle vetrate, i fatti salienti del passaggio del Cristo in terra; alla sinistra di chi guarda un vistoso crocifisso, ma lo sguardo viene immediatamente attratto dal Risorto illuminato dai potenti raggi di un sole radioso! Le braccia protese agli astanti il Figlio prediletto sembra dire: «Io sono la via, la verità e la vita».

       Ma cosa ha fatto l’umanità da duemila e rotti anni a questa parte? Quali momenti e quali azioni del figlio dell’uomo ha preso ad esempio per rendersi meritevole del regno promesso? Per comodo o per convenienza si è menata subito per la scorciatoia; ha scartato le rinunce ed i sacrifici e si è messa orgogliosamente sul cammino che porta alla gloria; ha scansato le ombre e si è immersa nella luce; senza passare dal Golgota ha scalato repentinamente il Tabor non considerando che tale corsa  poteva costarle cara: ha fissato lo splendore, ma l’improvviso bagliore l’ha accecata! La vista abbagliata ha perso il controllo delle sue cose e non ha più saputo gestire i tempi del suo operato; è caduta in confusione e, dinanzi alle provette del suo laboratorio, invece di schiacciare il bottone della vita ha digitato quello della morte, dando la colpa al covid per le tenebre che sono venute ad oscurare il cielo sul suo capo.

       Nella Maria Ausiliatrice, dopo l’ite missa est, non si esce più dall’entrata pricipale, ma bisogna farlo da quelle laterali che danno nel parcheggio; seguendo le frecce per l’uscita sulla sinistra bisogna passare sotto il crocifisso e attraversare la cappella delle mamme coi bambini: non sarà che per diventare buona, l’umanità, debba pentirsi e ritornare bambina?

 Ma non dimentichiamo che l’umanità non è un termine astratto: l’umanità siamo ognuno di noi!   

samedi 19 septembre 2020

 

In lavorativa covidianità      

        Scongiuri di rito ed amuleti di buona fortuna alla mano onde evitare un’eventuale seconda ondata del covid 19, sembra quasi che le lancette dell’orologio stiano pian pianino riprendendo il loro quotidiano ticchettìo intorno al mondo. Intanto bene o male già ci siamo quasi adattati a quelle nuove modalità di vita che il virus ci va imponendo; ed infatti sono già parecchie le nuove normalità a cui ci stiamo assuefacendo per camminare sottobraccio alla covidianità.

       Naturalmente uno scossone di vasta portata lo sta subendo di certo il settore lavorativo: manuale, di concetto o digitale che sia. Le fabbriche ancora non si riprendono, il mondo dello spettacolo è ridotto al minimo e in tutti gli altri settori o ci si arrangia o si arranga. Comunque in nessun posto di lavoro il buon giorno del mattino, il saluto della chiusura, le pause caffè o la sosta pranzo sono come quelli, lieti e spensierati, dell’anti covid. Si fa di tutto per rimettersi in sesto, ma l’umore collaborativo e il contatto fisico di una volta sembrano quasi essere stati messi sotto gamba dal lavoro a distanza. Si lavora per la stessa impresa, ma non ci si può guardare in faccia, non ci si può scambiare sguardi di complice sostegno né, tantomeno, sentirsi uniti dalla soddisfazione di collaborare tutti insieme lì, presenti in loco. In poche parole va sempre più prendendo piede il telelavoro, che prima della pandemia era appannaggio di pochi eletti privilegiati. Ma quello che è più preoccupante è come gestire in sanitaria sicurezza quei lavori prettamente manuali che, magari, richiedono anche una collaborazione gomito a gomito. Il virus si è già messo alle spalle la prima metà di questo sconcertante 2020 e intanto l’uomo si chiede ancora che ne sarà del nostro immediato domani ed anche di quello più lontano: che scia lascerà nel futuro questo drammatico presente? C’è all’ordine del giorno una nuova normalità, una diversa maniera di agire a cui adattarsi per poter sopravvivere: saprà, l’uomo, travare la giusta via per continuare il cammino? È preparato ad affrontare questo differente modus vivendi?

       Ma vogliamo ritornare per un momento indietro nel tempo? Anche in passato ci sono stati dei momenti che ci hanno dato delle preoccupazioni economiche. Ricordo, negli anni 70, lo sbarco in fabbriche ed aziende di robot e mezzi computerizzati: erano macchinari che potevano rimpiazzare la manodopera di più lavoratori e, quindi, avevano la capacità di aumentare gli introiti diminuendo le paghe e di mettere, di conseguenza, gente sul lastrico! E quale gente finiva sul lastrico? Le vecchie manovalanze che, sebbene esperte e competenti, non erano pertanto in grado di familiarizzare con i nuovi congegni della tecnica moderna. Intanto, col tempo, quegli allarmi di allora si sono andati man mano attutendo ed ognuno si è automaticamente assuefatto a quel nuovo fare che, ormai oggi giorno, è anch’esso invecchiato. In quel frangente ebbi a scrivere in qualche mio componimento che, forse, l’uomo «per suo danno il suo progresso impasta» ed in un altro punto che «avvantaggiando il futuro dell’umanità, spesso il progresso rovina il presente dell’uomo». Cabala o non cabala, corsi e ricorsi storici che dir si voglia, mi sembra che si tenta spesso di assestare l’economia mondiale favorendo le fulve chiome giovanili e quelle dorate delle genti mature a scapito di quelle argentate della canizie senile. Non è giunta anche al vostro orecchio la teoria del ringiovanimento della specie umana per ristabilire un giusto equilibrio nell’economia sociale?

        A tale proposito un bel bravo a te, uomo: quanto sei grande! Dopo essere riuscito a creare la vita in vitro, adesso vai anche rimproverando Iddio per aver messo troppa gente sulla faccia della terra!

samedi 5 septembre 2020

GENTE NOSTRA: dal telecomando al voto

La programmazione di Rai International e il voto per gli italiani in Canada, fino a qualche decennio fa, erano due sogni da vera utopia; oggi giorno, intanto, sono due realtà da fiore all’occhiello per tutti noialtri italo-canadesi e non solo. Ormai ci rechiamo alle urne quando il dovere ci chiama ed accendiamo la televisione in lingua italiana come se niente fosse, o meglio come se fossero due prerogative che ci spettano di diritto. Intanto abbiamo dimenticato le battaglie campali che furono affrontate e sostenute affinché divenissero un fatto compiuto. Essendo stato appunto Giovanni Rapanà l’unico paladino, anche se a guerra finita sono stati in tanti a salire sul podio della vittoria, ad avere innalzato la bandiera di questa schietta e «patriottica» italianità, mi fa piacere aggiungere anche il suo profilo nella mia raccolta di «gente nostra».

       Giovanni nasce a Calatone in provincia di Lecce, nel Salento, il 6 novembre del 1957 e, per quel che riguarda il suo curiculum scolastico, frequentò l’università di Genova presso la facoltà di Economia e Commercio. Mentre per la sua carriera professionale nel 1978 entrò al servizio della Marina, sempre nella città di Genova, col grado si sergente: esperienza di vita che lui stesso definisce «una straordinaria esperienza umana, nonché fisica e psicologica»; se posso dire anche la mia, sin da quando l’ho visto per la prima volta il suo naturale portamento mi ha subito dato l’impressione di un graduato militare. Ha solo ventidue anni quando inizia a prestare servizio in una imporante istituzione bancaria che sarà per lui una formazione di base in materia di economia e gli darà la possibilità di spostarsi spesso e di conoscere meglio il suo Paese. Si affaccia per la prima volta in America nel 1986, per una breve visita, dietro invito di una sua conoscenza ed è subito amore a prima vista con New York e con il Quebec innevato. Intanto il Canada è sempre stato «il sogno della sua infanzia dove vivere in piena libertà in una piccola capanna dinanzi ad un immenso lago»; vi ritorna dopo tre anni e si stabilisce definitivamente a Montreal dove apre una modesta importazione di vestiti…che, purtroppo gli andrà male. Ma, essendo uno che «guarda sempre il lato positivo delle cose», non si abbatte anche perché «il ricominciare non gli fa paura».

        Ingrana una nuova marcia, riprende il cammino e si mette al servizio dei valori socio-comunitari della sua etnia. E questo percorso gli darà soddisfazioni morali e riconoscimenti onorifici come Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e Grande Ufficiale della Solidarietà Italiana. Intanto le scuole pubbliche del Quebec sono testimoni della sua professione di insegnante e l’italianissimo ospedale Santa Cabrini ha usufruito delle sue capacità amministrative. Ma è come più volte presidente del COMITES e come Vice-Segretario generale del CGIE (Consiglio Generale degli Italiani all’Estero) che non si è mai risparmiato di scendere in campo a difesa dei valori e dei diritti dei suoi connazionali in terra canadese. È grazie all’impegno preso in mome di questi due Enti che è divenuto «popolare» ed è entrato nel cuore della gente nostra: quella semplice, schietta e sincera di tutti i giorni! È  da svariati anni, ormai, che serve la comunità in veste di consigliere municipale in quel di Rivière des Prairies-Point aux Tremble, la mia municipalità e, quindi, vi prego di credermi quando affermo che il suo interesse per il quartiere e per i suoi cittadini fa parte integrante del suo pane quotidiano!

       L’attuale senatrice Francesca Alderisi, allorché animatrice di Sportello Italia, intervistò l’allora ministro per gli italiani nel mondo Mirko Tremaglia che, a proposito di noialtri emigranti disse: «Me ne sono per sempre innamorato; ed essere innamorato vuol dire sicuramente fare una battaglia fino all’ultimo giorno della propria vita». E la battaglia di cui parlava il Tremaglia era il voto per gli italiani all’estero che senza di lui forse sarebbe ancora un sogno. Intanto bisognava stabilire contatti e trattative pure nelle giuste sedi dei governi canadese e provinciale; ed a fare da ponte tra l’Italia e il Canada a tale riguardo c’è pure il nostro Rapanà. Difatti è appunto a lui che l’allora ministro Pierre Pettigrew, il 24 novembre 2005, annuncia la decisione del governo federale di consentire agli italiani in Canada il diritto di voto alle elezioni politiche in Italia; ed infatti proprio nell’anno successivo lo stesso Tremaglia annunciava che «gli italiani che risiedono in Canada potranno votare ed essere votati nelle prossime consultazioni politiche del 2006 per il parlamento italiano».

       Ormai, telecomando alla mano, è divenuta una giornaliera abitudine sintonizzare la tv sui programmi in lingua italiana 24 ore su 24. Poiché sto parlando di Giovanni, mi fa piacere rendergli onore nel sottolineare i passi che dovette fare e le porte a cui dovette bussare e le tante firme che dovette raccogliere prima di riuscire a farci ottenere questo singolare privilegio. Bisognava convincere la CRTC che «al pari degli altri gruppi etnici del Canada, anche gli italiani hanno il diritto di esigere una programmazione televisiva nella loro lingua». Appunto con in mente quest’altro sogno da far divenire realtà, lottò a spada tratta finanche per cambiare ed addirittura per far creare nuove leggi che ci consentissero di tenerci in contatto con la nostra terra di origine attraverso le moderne vie satellitari. A parte questo, ho conosciuto Giovanni Rapanà sui banchi di scuola del PICAI e quindi non posso non mettere in risalto il suo entusiasmo per l’insegnamento dell’italiano sia nelle scuole del sabato mattina che in quelle pubbliche: se oggi esiste il CESDA è perché è stato proprio lui a fondarlo e consegnarlo alla comunità italiana onde evitare conflitti di interesse col Comites e con il Cgie. Cos’è il CESDA? È il più recente ente comunitario che si prefigge di integrare l’insegnamento della nostra lingua nel maggior numero di scuole pubbliche possibile! Il CESDA quindi è lo stesso avvenire linguistico dei nostri figli; è, di conseguenza, il rilancio della nostra cultura nel futuro: grazie Giovanni per quest‘altro tuo stupendo pensiero proiettato nel nostro domani!         

vendredi 28 août 2020

In interrogativa covidianità

            Una delle tante cose che ci chiediamo in questo periodo di pandemia è questa: «Cosa ricorderanno i nostri figli, una volta grandi, di questo scombussolamento covidiano?». Vi rispondo subito con un’altra domanda: «Cosa ricordiamo noi, attuali nonnini, di quei catastrofici scombussolamenti causati dalle due guerre mondiali?». Di bombardamenti e di coprifuoco non ricordo niente anche perché, forse, vivevo in un piccolo paesino di provincia; ma di soldati, soprattutto americani, me ne ricordo eccome ed anche molto bene. Mio zio era proprietario di un mulino ad acqua e quindi si affacciavano spesso da quelle parti per scroccare qualche pranzo. Personalmente ricordo che, quando sentivo il motore delle loro jeep, subito scappavo ai bordi della strada e loro mi gettavano scatolette di corn-beef o blocchetti di cioccolata; e ricordo pure che all’asilo infantile ci davano la «farinallatte» bianca e appiccicosa alle labbra: tutto sommato…quasi dei cari ricordi! Noi, piccoli di allora, la guerra non l’abbiamo vissuta direttamente sulla nostra pelle, ma le conseguenze di quelle «nuove abitudini», da essa provocate e a cui dovevamo adattarci, ci hanno spinto sin qui in quest’America lontana: in un Nuovo Mondo!

          Ed allora oggi giorno, in questa nuova covidiana realtà, cosa stanno vivendo i nostri figli? Di cosa ci sentono continuamente parlottare? Immagino che quest’obbligatorio uso della mascherina sarà di certo il ricordo più simpatico e caratteristico che si porteranno dietro con più affetto e nostalgia. Ricordo che quand’ero piccolo io, appena entrati in classe, i maestri come prima cosa ispezionavano le nostre mani e soprattutto le unghie per accertarsi che fossero pulite. E ricordo pure che nei luoghi pubblici e nelle strade passavano sistematicamente degli impiegati comunali per una disinfettazione a base del famoso DDT (diclorodifeniltricloroetano), popolarmente detto «u flit». E voi volete che i nostri figli non si ricordino di questo accurato lavarsi spesso le mani e di questa scrupolosa pratica dell’igiene personale? E scommetto che anch’essi tutte queste cose,  che oggi vivono con gli occhi dell’innocenza, domani, forse, le rivedranno come in un alone di nostalgico sogno! Naturalmente nel nastro della loro memoria resteranno pure le tante «chiacchiere» dette e ridette, scritte e riscritte, lette e rilette virtualmente on line o sentite attraverso radio, televisione ed altri mezzi moderni di comunicazione…chacchiere dei soliti sapientoni di occasione che, anziché allontanare il contagio, diffondono panico e confusione. Tanto per non andare troppo per le lunghe, un’ultima domanda me la faccio io personalmente che mi chiedo cosa penseranno i nostri figli, una volta grandi, degli abituali litigi e polemiche tra virologi e politici ed anche tra virologi e virologi nonché tra politici e politici per cercare di dare una giusta soluzione a questo benedetto covid 19. Non sarà che, soffocati da tanto fumo e niente arrosto, non se ne vadano a cercar fortuna sulla luna o su di un altro pianeta? Appena spuntato, il coronavirus dall’est, tutto il globo si è dato la mano per un esemplare girotondo di pace e di benessere; ma già sembra che ognuno abbia dimenticato questo saggio proposito e che, anche in tema di pandemia «passata la festa, gabbato lo santo». Ah scusate, visto che sto parlando dei nostri figli, c’è ancora un altro interrogativo che mi pongo. Possibile che non si trovi un giusto compromesso e non si  opti per un comune accordo almeno per questo già iniziato rientro a scuola, facendo in modo che almeno una volta l’opposizione non intralci il partito al potere? È mai possibile che col virus ancora in giro, e quindi ancora a tu per tu con la morte in faccia, non si sappia prendere una decisione giusta ed unanime nemmeno quando sono in gioco gli albori stessi della vita?

          Riuscirà, qualche sciagura naturale o qualche sventura umana, a rendere l’uomo più buono? Non penso perché, se così fosse, ci sarebbe riuscita a farlo la peste di Atene che, guarda caso, spazzò via, con buona parte della sua famiglia, anche il grande Pericle, colui che aveva portato all’apogeo la Grecia del quinto secolo avanti Cristo. Penso che l’uomo resterà in eterno o figlio di Caino o figlio di Abele…che piova o che splenda il sole: per diventare buono dovrebbe «sapersi» fare un buon esame di coscienza!

samedi 15 août 2020

In riflessiva covidianità

          La vita continua, bisogna andare avanti e ci si deve adattare a convivere col nemico. Alcuni giorni fa, dopo vari mesi che siamo rimasti su, al terzo piano del nostro condominio, mia figlia per telefono quasi quasi ci ha imposto: “Domani fatevi trovare pronti per le undici che ce ne andiamo alla spiaggia!”; “Ahò, ma che sei matta? Alla spiaggia col virus che sta in giro?!”. “E che c’è di male -risponde mia moglie- vuol dire che prenderemo le debite precauzioni!”. Difatti a lei basta che le dai l’occasione di stare come lucertola al sole e te la sei fatta amica per la pelle. E perciò io, un pò per accontentarle e un pò per non sembrare all’antica, acconsento ed un bel giovedì ce ne andiamo in quel di Ste Adèle.

            Intanto, però, che ordine, e che disciplina, e che reciproco rispetto e senso civico in quella paziente coda alla biglietteria; che debito distanziamento, mascherine al volto o sventolanti al gomito mentre un vistoso cartello fa notare che la sosta in spiaggia non può durare più di tre ore; bah, omai ci siamo e chi si accontenta gode. Proprio di rimpetto all’entrata c’è un piccolo spazio, un pò distante dall’acqua, con tavolino, qualche comoda sedia e degli alberi che ti danno ombra. Lì comunque non c’è limite di tempo e vi ci accampiamo immediatamente; deponiamo le vettovaglie sul tavolo, apriamo le nostre sedie sotto un albero e vi restiamo in santa pace quasi fino al tramonto. Le sedie, guarda caso, sono due nere e una rossa: ancora una volta i colori della  mia squadra del cuore, quella che in campo sportivo sembra aver preso la stessa piega del suo ex presidente in politica! Intanto in quel piccolo fazzoletto d’erba ci godiamo appieno la nostra prima, conscia o inconscia che sia, postcovidiana escursione fuori porta tra il verde degli alberi e il profumo della rigogliosa natura intorno ad un suggestivo laghetto quasi incantato. A tratti Andiamo nell’acqua, a volte ci aggiriamo tra i gruppetti, ben separati l’uno dall’altro, dei bagnanti e, naturalmente, mascherina obbligatoria al volto, si fa anche una capatina al bagno. Che pulizia su quella spiaggetta, che igiene in quelle toilette; ma come mai prima del coronavirus non si aveva tanto senso civico, tanta collaborazione, tanta comprensione, tanta accortezza per gli altri, tanta voglia di essere più prossimi, più vicini gli uni agli altri, essere quelli che ognuno dovrebbe essere: uomini e basta? Mi sa mi sa che questo covid 19 ci abbia messo proprio la testa a posto; mi sa che forse mi sono sbagliato anch’io nel definirlo un poco di buono sin dalla mia prima lettera che gli ho scritto. Qui mi sa che bisogna rivalutare il suo affacciarsi su terra e rimettere in discussione tutto il suo operato in mezzo a noi, poveri comuni mortali; d’ora in poi mi sa che devo onorarmi di chiamarlo il nostro caro nemico…diversamente amico!

            Come ho già detto, in quel piccolo paradiso per un giorno si giunse al tramonto e si decise di consumare una pizza lì stesso per non perdere tempo a preparare la cena al ritorno a casa. Ed ecco pure al ristorante il covidiano rispetto delle igieniche sante regole: disinfettarsi le mani prima di entrare, mascherina al volto se ti alzi dal tavolo a te riservato, seguire la direzione delle frecce se ti sposti o esci dal locale…grazie virus per questi esemplari comportamenti a cui ci stai abituando! Comunque, mani lavate o mani pulite che fossero, non ci fu pizza per nessuno quella sera, in quanto mia figlia optò per le farfalle alla bolognese e mia moglie scelse tagliatelle alla vegetariana per il semplice fatto che il mio occhio, appena aperto il menu, si posò sul termine “all’arrabbiata”; mi ricordai dello scrittore inquieto Ugo Foscolo e fui tentato di ordinare delle buone penne all’arrabbiata…per l’appunto!

Diversamente amico           

Grazie perché:

mi hai fatto sentire l’uomo che sono,

hai saputo umiliare il mio orgoglio,

mi hai fatto tendere la mano al prossimo,

hai messo a nudo la mia nullità,

mi hai insegnato a vivere da essere umano.

Tutto questo grazie a te,

coronavirus,

mio caro diversamente amico!

Grazie perché:

mi hai suggerito di amare la terra,

mi hai consigliato di rispettare il creato,

mi hai intimato di curare la natura,

mi hai ordinato di obbedire alle sue leggi,

mi hai fatto capire di non essere il suo padrone.

Tutto questo grazie a te,

coronavirus,

mio caro diversamente amico!

Adesso fa sì:

che la mia memoria non dimentichi la tua lezione,

che la mia mente si ricordi a lungo dei tuoi disastri,

che il mio cuore si rifaccia bambino,

che la mia coscienza si muova a contrizione,

che il mio operato si illumini di saggezza.

Tutto questo

ancora in attesa del sereno,

coronavirus,

mio caro diversamente amico!