ANCHE QUESTA È AMERICA ©
(I racconti di
Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)
LA GAVETTA (parte prima)
Correvano i tempi in cui
Giuseppe era appena giunto a Montreal dall’Italia: in sul finir degli anni
sessanta. Quella sera che suo cugino Antonio l’invitò a cena a casa
sua non aveva ancora trovato un impiego. Dopo aver parlato del più e del meno e
del come stavano i parenti laggiù al paese, la conversazione non potè non
cadere sull’argomento lavoro. “Perché non lo porti nella tua sciorpa?”, suggerì
Antonio alla moglie. “Ma cos’è sta sciorpa?”, chiese Giuseppe nell’udire quella
parola. “Oh niente, -rispose Rosaria, la moglie di Antonio- qui le chiamiamo
così le fabbriche dove lavoriamo. Ti abituerai anche tu a questa parlata, non
preoccuparti!”. E Antonio riprese: “Se ti va, fatti trovare pronto domani
mattina alle sette e mezza. Passeremo a prenderti e lei ti farà parlare col suo
foremam, cioè con quello che comanda tutti gli operai. È italiano ed è un pezzo
di pane!”. E così l’indomani Giuseppe si trovò per la prima volta in una
“sciorpa” montrealese a tu per tu con quel famoso lavoro che nobilita l’uomo.
Gli bastò aver messo piede lì dentro per sorprendersi a pensare tra sé e sé:
“Ma dove mi hanno portato? Ma chi me l’ha fatto fare a venire qui?”.
L’assordante rumore di macchine tessili, l’odore untuoso che impregnava tutta
l’aria non aiutavano di certo a farlo sentire a suo agio. Il lavoro lì dentro
era continuato e in quel momento gli operai stavano effettuando il cambio
turno. Quella gente che, alternandosi al posto di guardia, si salutava tutta
felice e sorridente doveva trovarsi bene in quella manifattura per essere tanto
contenta ed entusiasta. Questo particolare incoraggiò non poco Giuseppe che
intanto già stava ricevendo le debite informazioni da quel “pezzo di pane di
foreman italiano”, un certo Michele che però chiamavano Mike. Furono proprio i suoi modi garbati e
signorili che lo convinsero a restare: provare non gli costava niente;
l’avrebbe presa dopo una decisione definitiva!
Fu messo assieme a un tessitore esperto che gli avrebbe spiegato tutto
ad arte e mestiere. A dire il vero il da farsi non era complicato: richiedeva
solo molta attenzione e tanta sveltezza; dovevano tenere sotto controllo una
trentina di machine disposte su due file parallele. In quella selva di fili
bianchi e in quel saltellare di aghi che tessevano calze a non finire…addio
monti se non ti sbrigavi! Non gli fu difficile apprendere e ambientarsi anche
perché gli operai avevano tutti un carattere gioviale e spassoso; perciò riuscì
a familiarizzare con essi in men che non si dica. Erano per lo più italiani e
greci: una faccia una razza, come dicevano loro, ragion per cui fraternizzare
era d’obbligo se si voleva alleggerire la pesantezza del lavoro e alleviarne la
fatica! E così, pensa e ripensa, fu dell’avviso che quel calzeificio poteva
fare al suo caso; anche se quel dover passare la scopa a fine giornata, e lo
faceva guardandosi furtivamente intorno per la vergogna, proprio non si confaceva
alle sue costumanze ancora all’italiana; ditemi di grazia, dove si era mai
vista, in Italia, una persona studiata con la scopa in mano? A parte questo, la
prima settimana passò abbastanza in fretta e si giunse così al sabato
pomeriggio. Stava già per andarsene quando Mike, avvicinandosi, gli disse:
“Complimenti amico. Hai appreso abbastanza in fretta e puoi anche lavorare da
solo. Lunedì vieni nel pomeriggio: cominci col turno della sera!”. Preso lì su
due piedi si trovò subito a dire di sì senza pensare alle conseguenze di quel
suo assenso. Come avrebbe fatto,
intanto, a seguire i corsi serali d’inglese se doveva recarsi al suo posto di
lavoro? Perciò abbandonando baracca e burattini, il lunedì
seguente non si presentò più in fabbrica, senza dare spigazioni a nessuno. “Sei
stato uno scemo; -gli disse la moglie di
Antonio quando venne a saperlo- se glie lo dicevi ti avrebbe lasciato di giorno
e forse ti avrebbe dato pure l’aumento!”.
(continua)