jeudi 23 juillet 2015


ANCHE  QUESTA  È  AMERICA ©

(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)           

LA CHIAVE NON APRE PIÙ

      “Statti accorto a quello lí!”, suggerì un giorno Giuseppe a un nuovo arrivato: un giovanotto alle prime esperienze lavorative. E quegli rispose: “Mi ha detto che devo chiedere tutto a lui perché è lui che comanda qui dentro!”. “Lui qui non comanda proprio un bel niente! -precisò Giuseppe- Mette solo il bastone fra le ruote alla gente, lui. È il caporeparto quello che comanda qui!”. A dire il vero, Jean-Claude, il vicecapo francese, era puntato a dito da tutti per il suo fare strafottente e la sua gelosia nei confronti del caporeparto stesso: cullava in cuore il desiderio di fargli le scarpe e di prenderne il posto. Ragion per cui si appigliava ad ogni minima scusa per screditarlo e metterlo in cattiva luce. Ma, a quante macchinazioni immaginabili e possibili avesse fatto ricorso,  non sarebbe mai riuscito nel suo intento perché se quello, il suo capo, aveva quell’incarico era perché ne era all’altezza e di “bossacchiotti” come lui se ne metteva una ventina nella manica! Spiegava il da farsi con calma, lasciava lavorare in tranquillità, dava il tempo di fare le cose, era sempre gentile e garbato con tutti. Jean-Claude, al contrario, era lontano un miglio da quel civismo e da quella classe. Lui la gente la considerava come stracci da piedi, guardava tutti con cipiglio e con fare sospettoso come se ogni cosa fosse sbagliata, ti stava sempre addosso e la giornata, con quel peso sulle spalle, sembrava non passare mai. Guai poi se realmente trovava qualcosa che non andava! “Cosa fai? -ti apostrofava subito ad alta voce- Fermati? Chi ti ha insegnato a lavorare così?”. E andava a riferire al suo “rivale”, quasi per dargli a intendere che anche lui era in grado di dirigere il reparto ad arte e mestiere. E, se non fosse stato per il buon senso e la diplomazia del capo, di battibecchi e litigi ne avrebbe creati a non finire il vice. Con quel passo poco andante si tirò innanzi per parecchio e parecchio tempo. Si vociferò pure che a Claude fossero state fatte svariate lavatine di capo, ma lui o fingeva di essere sordo o veramente ci era. Le lagnanze dei giornalieri, le lamentele dei manovali, la conferma a riguardo delle maestranze fecero sì che l’alta direzione della ditta prendesse quella saggia decisione che, in appresso, si rivelò utile per la tranquillità di ognuno e vantaggiosa per il buon rendimento della fabbrica stessa.

      In quella manifattura i “preposti con la chiave”, cioè i responsabili che avevano un ufficio tutto loro chiuso a chiave, allorché il provvedimento doveva essere preso, venivano messi alla porta in maniera originale e caratteristica, in modo silenzioso ed esplicativo, con fare forse cinico ma esemplare. Un metodo un pò crudele, ma che ben si confaceva, e ben gli stette, al carattere spregevole di Jean-Claude. Ecco la dinamica dell’operazione “sfratto”. Anche quel lunedì mattina allorché entrò si diresse, senza minimamente sospettare che lo faceva per l’ultima volta, verso il suo “gabinetto privato”…come gli operai avevano preso l’abitudine di chiamare il suo studiolo. Gli uffici dei supervisori erano situati lungo un corridoio che fiancheggiava il reparto assemblaggio. Appena il nostro malcapitato l’imboccò per recarsi nel suo uffico, l’ultimo in fondo in fondo al corridoio, subito gli operai corsero ad appostarsi all’angolo per assistere alla sua reazione nel tentativo di aprire la porta. Lo sapevano tutti, tranne lui naturalmente, che la serratura era stata cambiata e che la chiave non l’avrebbe aperta: era quella l’insolita procedura con cui si rendeva noto all’interessato che non era più lui il proprietario di quel locale. Praticamente si cercava, silenziosamente, di dirgli: “Passa per l’ufficio principale, dove ti attende…la liquidazione!”. Giunto davanti alla porta già con la chiave in mano, l’infilò nella toppa, ma naturalmente a vuoto. Fece la prova con una seconda chiave, ma nemmeno quella gli aprì la porta. Tra il sospettoso e l’intuitivo si diede uno sguardo sornione intorno e scorse, con la coda dell’occhio, punte di nasi tirarsi prontamente indietro, laggiù, dallo spigolo del corridoio. Pur avendo già capito tutto, tentò ugualmente ad aprire la porta con una terza chiave, ma con lo stesso risultato dei tentativi precedenti. Infilandosi rabbiosamente il mazzo delle chiavi in tasca, diede un calcio alla porta e si avviò verso la “corte suprema” per la sentenza finale. Nell’assemblaggio, intanto, l’aspettavano i suoi dipendenti in doppia fila indiana. Inchinandosi, l’un dopo l’altro al suo passaggio: “Buon giorno e…addio capo!”, lo andavano salutando con palese sarcasmo. “Maledetti! -esplose lui- Potreste ancora pagarmela: non è stata detta l’ultima parola!”. Per gli operai della fabbrica, comunque, quelle furono le ultime che gli sentirono dire perché nessuno lo vide mai più tornare indietro: il suo numero era già stato assegnato a un altro!