ANCHE QUESTA È AMERICA ©
(I racconti di
Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)
IL SOGNO PREMONITORE
Gli
capita spesso di sognare cose che poi trovano riscontro nella realtà dei fatti.
Benché si chiama Giuseppe tralasciamo di ravvicinarlo a quello bibblico, anche
se gli fa piacere vantarsi e ritenersi onorato di fare sogni premonitori.
In
quell’aria di confusione, che avvolge ogni sogno in un alone di mistero, gli
sembrava di avere accompagnato sua moglie a fare delle compere e di essere
rimasto in macchina ad aspettarla. Uno sguardo, dato di sfuggita all’orologio, già basta a metterlo in
agitazione. Sono quasi le otto e, se quella non si sbriga, rischia di
arrivare tardi al lavoro; senza contare che pure lei deve trovarsi in fabbrica
per tempo. Pensa e ripensa, aspetta e riaspetta entra nella boutique e sbotta:
“Se fra cinque minuti non sei in macchina parto e ti lascio a piedi!”. La proprietaria del
negozio, intanto, con un sorrisetto canzonatorio gli fa capire che prima di un
“paio d’ore” la sua signora non uscirà di lì. “Ciao ciao!” esclama allora lui ed eccolo di nuovo in macchina, col
piede a tavoletta a causa del ritardo in cui si trova. A un semaforo è
obbligato a fermarsi perché quello segnala rosso. Riparte col verde e, come per
incanto, eccolo ancora fermo a un passaggio a livello con le sbarre che gli si
stanno abbassando dinanzi a causa di un accelerato che avanza a passi di
lumaca. Da dove sia sbucato fuori quel treno proprio non lo sa; sa solo che gli
si sblocca la strada esattamente “due ore” dopo. Rischiaccia l’acceleratore e comincia a pensare a cosa può dire in
fabbrica per giustificare tutto quel suo ritardo. Gli sta venendo in mente una
bella scusa quando la sua radio-sveglia, mettendosi in funzione alle sei in
punto come programmata, gli fa realizzare che non deve rendere conto a nessuno
di nessun ritardo in quanto il suo non era stato altro che una specie di
incubo.
Scuotendo la testa,
quasi a voler dissipare la stranezza del sogno, si alza, si prepara e parte
come di consuetudine per un’altra giornata di lavoro. Entra in manifattura,
saluta a destra e a sinistra e attende che la campana dia inizio anche quel
mattino alla giornata lavorativa. Alle dieci, precisamente dopo “due ore” di
lavoro, mentre sono fermi per la pausa caffè gli sorge un dubbio: “Ho timbrato
oppure no il cartellino stamattina!”. Vattelappesca! E come fa ad accertarsene
se ormai in ogni azienda che si rispetti ciascun operaio ha la sua carta
magnetica personalizzata? La passi nella fessura dell’orologio computerizzato e
solo gli addetti allo scopo possono darti informazioni a riguardo. Aprendo una
parentesi, una mattina gli capitò di prendere in mano la carta della banca
invece di quella del lavoro. Tra sé e sé pensò che, tutto sommato, avrebbe
fatto lo stesso. Stando ai passi da gigante con cui avanza oggigiorno la
tecnica va a finire che, uno di questi giorni, alla fine della tua giornata di
lavoro timbri il cartellino e ti viene fuori il corrispondente della tua
giusta, si fa per dire, mercede di operaio! Chiudendo la parentesi, mentre si
accinge ad andare a esporre il suo dubbio al caporeparto, questi precedendolo
gli fa: “Ehi tu, mister Joe, perché non hai ponciato la carta stamattina?”. Il tutto, guarda caso, dopo le
famose “due ore” del sogno fatto in sul finir del sonno!
Che quello,
fortunatamente, fosse stato soltanto un sogno gli fu di grande sollievo anche
per una comprensibile ragione concernente la stabilità del suo posto d’impiego.
Lì da loro, infatti, certi richiami all’ordine venivano dati tramite lettere
ammonitrici di tenore più o meno severo. Ora, se quel ritardo si fosse
realmente avverato, a Giuseppe sarebbe costato una seconda lettera di
avvertimento, sportivamente parlando un secondo cartellino giallo. Cercate di
immaginare voi, adesso, la sua apprensione a riguardo tenendo presente che
nella sua ditta una terza lettera di preavviso stava a indicare una quasi certa
via di uscita senza alcuna speranza di ritorno. E dove l’avrebbe trovato un
altro lavoro alla sua età e in quel clima di recessione economica in cui
versava tutta quanta la nostra bella provincia? Poiché tutto è bene quel che
finisce bene…tanto meglio così!