samedi 24 mai 2014


HO VISTO IN FACCIA UN SANTO

       Se mi permettete, vorrei trattenervi ancora in paradiso per approfondire il discorso sul santo a cui  ho accennato di sfuggita nel mio spot precedente che, come ben ricorderete, è san Pio da Pietralcina. È un santo abbastanza popolare e mi riempie di particolare orgoglio perché ho avuto modo di conoscerlo di persona.

Prima, però, vorrei fare un’osservazione sul modo in cui a volte lo sento chiamare.  Infatti alcuni dicono «san Padre Pio»; questo, a mio avviso, non è tanto ortodosso e ve ne spiego il perché. Nel linguaggio ecclesiastico vi sono alcuni appellativi che stanno a specificare il grado gerarchico delle personalità del clero. Eccovene alcuni: fra, padre, reverendo, don, monsignore, eccellenza, eminenza, santità; e poi dopo morte: servo di Dio, venerabile, beato, santo; a questo punto va precisato che il passaggio ad un grado superiore abolisce automaticamente il titolo precedente. Venendo al caso specifico di san Pio, quando era studente veniva chiamato “fra Pio” e dopo aver preso messa “padre Pio” ; dopo la sua morte è stato prima venerabile, poi beato e infine santo…perdendo di volta in volta l’appellativo precedente. Di conseguenza il modo corretto di chiamarlo dovrebbe essere o san Pio e basta, oppure san Pio da Pietralcina; ma se proprio proprio ci tenete o pensate che possa più facilmente farvi qualche grazia, chiamatelo pure san Padre Pio…che non è peccato!

E adesso possiamo venire a noi!  A inizio anni sessanta ero un giovane studente liceale; frequentavo il secondo anno allorché il  preside dell’istituto in cui studiavo, a fine anno scolastico, chiese ed ottenne dal  superiore del convento di Santa Maria delle Grazie in San Giovanni Rotondo il permesso di far trascorrere ad alcuni studenti meritevoli una giornata con i frati del convento e di incontrare pure padre Pio. Tra quella diecina di fortunati ci fui pure io perché, a detta del mio professore di italiano, “come facevo i compiti io non li faceva nessuno”: il pallino della penna, quindi, devo averlo proprio nel sangue o nel DNA, come si dice adesso. Tralasciando altre cose, a mezzogiorno ci fecero entrare nella sala pranzo, che loro chiamano refettorio; io mi trovavo seduto sulla parete a sinistra della porta di accesso, proprio di fronte alla tavola principale riservata al superiore e ad altri frati di una certa importanza; all’estremità destra di quella tavola, quasi di fronte a me, c’era il posto di padre Pio. Questi intanto fu l’ultimo ad arrivare e appena lui entrò automaticamente cademmo tutti in emozionato silenzio; «Continuate, continuate a parlare –disse lui dirigendosi al suo posto-  non è arrivato nessuno!». Era accompagnato da due frati e si muoveva lentamente quasi trascinando il peso del suo corpo; solo quando si sedette potemmo guardarlo in faccia: un volto delicato e luminoso, completamente in contrasto con quella sagoma pesante che aveva attraversato la sala poco prima! Sembrava che da un momento all’altro si  sarebbe potuto sollevare da terra!  Il suo pasto, intanto, «simile a quello di un uccellino», come ci fece notare il padre guardiano…che poco dopo, rivolgensosi al santo gli disse: «Padre Pio, non la raccontate una barzelletta a questi studenti?». Anche Pippo Franco ha sottolineato una volta la vena scherzosa di padre Pio ed io mi chiedo se, forse, non scegliesse l’argomento delle sue barzellete a seconda del pubblico che aveva dinanzi; a noi infatti, forse proprio perché eravamo studenti, raccontò una sul dottorato. Eccovela: «Una volta al mio paese ci fu un giovanotto che si recò in città per ragioni di studio. Una volta laureato se ne tornò al paese dove tutti cominciarono a chiamarlo «dottore». Una vecchietta sua vicina di casa, che quando il dottorino era piccolo gli aveva pulito pure il nasino, lo chiamò e gli chiese: «Famme sentì Pasqualì, chi ti chiama dottore a destra e chi ti chiama dottore a sinistra; ma dottore di che sì?». «Ehi zè Marì …sono dottore in fi-lo-so-fia!». “Mamma mia –replicò la vecchietta-  è sciuta nata malatia mò?”. A questo punto voglio dirvi una cosa; la memoria non è mai stata il mio forte ed anche le barzellette oggi ne ascolto una e domani l’ho già bella e dimenticata; non sono ancora riuscito a capacitarmi come mai questa raccontata quel giorno da padre Pio l’ho sempre ricordata a memoria. E ci penso e ci ripenso e più ci penso e più mi meraviglio!

Fu dopo il pranzo che potemmo anche avvicinarci al frate dalle stimmate e parlare con lui. Una suora del mio  paese mi aveva raccomandato di fargli sapere che spesso lei gli scriveva e chiedeva che fosse lui personalmente a risponderle. Glie lo dissi veramente e lui, quasi tra il burbero e il faceto (ancora un riscontro del suo dualismo sottolineato da molti), mi rispose secco: «Diccelle ca ze lu pò scurdà!». Intanto vedere padre Pio a tu per tu fu una cosa che non dimenticherò mai. Il contrasto in lui tra cielo e terra lo rimarcai ancor più in quegli istanti che gli fui vicino; guardavo il suo corpo e lo vedevo per terra, lo guardavo in faccia e lo vedevo in un’altra stratosfera, quasi fuori da questo mondo; anzi,  ad un certo punto lo guardai negli occhi e mi sembrò che lui, guardandoci, si chiedesse come mai  noi fossimo tanto interessati alle cose terrene…quando invece sarebbe stato meglio farsi prendere da pensieri  superiori  e da ideali  ben più elevati. Comunque, ci pensate?  Durante il periodo della mia giovinezza ho conosciuto padre Pio; ho parlato con lui ed ho mangiato con lui; ancora oggi, intanto, mi porto dietro il grande orgoglio di poter dire che «ho visto in faccia un santo»!  

dimanche 4 mai 2014


        I  SANTI  DELL’ORIGINARIO    

Quando poi ognuno vuol dire la sua, a dritta e a manca e soprattutto  a vanvera, allora mi arrabbio e mi viene voglia di rispondere per le rime; e, visto che mi riesce anche bene perché sono un poeta, stavolta lo voglio fare per davvero. Domenica, 27 aprile 2014, Sua Santità papa Francesco I ha iscritto nel catalogo dei santi due suoi significativi predecessori: Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II; a completare il quadro pontificale nello sfondo di Piazza San Pietro c’era pure un quarto papa: quello emerito, Benedetto XVI! Un dato di fatto più unico che raro nella storia della Chiesa; un avvenimento tanto unico che, pur non essendo profeta, ognuno sa che di certo non si riscontrerà mai più nel corso dei secoli a venire.

        La stessa sera, dando un’ultimo sguardo ad internet, il mio occhio si sofferma su di un’immagine di papa Wojtyla…clicco e vado a leggere rapidamente l’articolo. L’autore portava a conoscenza che da più parti si era insinuato se veramente fosse degno di essere santificato un pontefice che non si era saputo adeguare al passo dei tempi in materia di aborto, contraccezione, di gente gay e di altri simili, ma pur sempre ben discutibili, punti di vista che caratterizzano l’odierna società. Detta denigrazione mi ha subito fatto venire in mente le prime pagine di alcune riviste e rotocalchi dell’ottobre 1978, al tempo della fumata bianca che lo faceva salire al soglio pontificio. La sua insigne figura veniva spesso affiancata da quella di una donna, sempre la stessa, sua amica di gioventù. Ma sin dalle sue prime battute e dai suoi primi passi Giovanni Paolo II il Grande fugava ogni ombra con cui si cercava di imbrattare la sua immagine di uomo di Dio. In ogni modo, un pio sacerdote una volta mi disse che santo non è chi è senza peccato, bensì chi combatte affinché questi scompaiano dalla faccia della terra. E doveva avere proprio ragione perché ho sentito dire che anche «i santi  peccano sette volte al giorno».

        Lo zelante giornalista on line deve essere abbastanza giovane; se, per esempio, fosse della mia generazione o giù di lì, avrebbe avuto qualcosa a ridire pure di Giovanni XXIII. Ricordate san Pio da Pietralcina? Ebbene, negli anni ’60 si trovò nell’occhio di un ciclone diffamatorio perché le sue stimmate vennero incomprensibilmente messe in discusione. Per indagare e riferire in merito, si recò a San Giovanni Rotondo uno dei luminari della medicina del tempo: padre Agostino Gemelli, fondatore della nota Università Cattolica. Il suo responso, intanto, non fu affatto favorevole al povero fraticello che si vide relegato a celebrar messa in una cappella privata del convento, invece che nella chiesa aperta al pubblico…lo scorrere degli anni, però, ha dato ragione al pio cappuccino! Ma, visto che i fatti si svolsero sotto il pontificato di Giovanni XXIII, dobbiamo togliere pure a lui l’aureola dalla testa?  

        Le gesta del papa polacco sono ancora all’ordine del giorno; allora le tralascio per dare un pò di spazio a qualcosa di papa Roncalli; qualcosa che lo rende degno del suo ministero e ci fa capire perché anche lui, al pari del suo consanto è stato definito da papa Francesco come riformatore della Chiesa in modo «originario». Ho virgolettato l’aggettivo perché non è in modo originale, bensì originario: cioè che porta la Chiesa alle origini evangeliche…origini a cui lui pure, Francesco, sta dando un accento più che significativo! Quanti di noi sanno che la Santa Messa, una volta, la si celebrava solo di mattina e solo in lingua latina? É con papa Roncalli che le cose sono cambiate! Adesso andiamo a prendere la Santa Comunione senza nessuna restrizione; prima per comunicarsi bisognava essere digiuni dalla mezzanotte: fu il «papa buono» nel 1959 ad  abolire predetto digiuno. Se non vado errato, fu pure sotto il suo pontificato che  si fece largo alla «messa a gò-gò», cioè di stampo meno gregoriano e accompagnandosi pure con chitarra e  fisarmonica. Queste, comunque, sono solo alcune delle riforme di carattere «popolare, quasi terra terra» effettuate da colui che noi giovani del paese avevamo preso l’abitudine di chiamare «u paparielle»…senza entrare nel merito di quelle prettamente «teologiche», e senza parlare nemmeno dei primi approcci, già in quegli anni di guerra fredda, tra il Vaticano e il mondo comunista.  

        Dopo questa mia arringa in favore del  papa del «se sbaglio mi corriggirete» e di quello del «discorso della luna», vorrei chiedere al sopra citato «avvocato del diavolo» se conosce il significato di quest’ultima espressione, divenuta ormai quasi un detto popolare. Ebbene, sono quegli avvocati che, in un processo di canonizzazione,  mettono il bastone tra le ruote a quelli che ne stanno perorando la causa! Sono cioè gli avvocati dell’accusa; e ce la mettono proprio tutta per non farli santificare e non fare, loro stessi, la figura degli «avvocati delle cause perse»…e di certo ne avranno mossi di cavilli e ne avranno trovati di peli nell’uovo a sostegno e conferma delle loro accuse; ma sono stati scornati! Ed allora, fidiamoci del verdetto di papa Francesco, preghiamoli sia per noi che per gli altri questi due nuovi santi; ma soprattutto chiediamo ad essi di far camminare l’uomo sempre sulla giusta strada: quella della giustizia e dell’amore!       

        p.s.   A partire da Celestino II (Ex Castro Tiberis) Malachia, profetizzando la nomina di ben 112 papi, ecco come definì gli ultimi 6 prima di Bergoglio…che sono poi quelli presenti anche in questo mio cammino su terra. Pastor Angelicus, Pio XII; Pastor et Nauta, Giovanni XXIII; Flos Florum, Paolo VI; De Medietate Lunae, Giovanni Paolo I; De Labore Solis, Giovanni Paolo II; De Gloria Olivae, Benedetto XVI. Non so se ne abbia tralasciati altri, ma subito dopo parla di uno che «nell’estrema persecuzione della Santa Romana Chiesa regnerà Pietro Romano, che pascerà il gregge tra molte tribolazioni, passate le quali la città dei sette colli sarà distrutta e il Giudice supremo giudicherà il suo popolo». Meno male che quello attuale si è chiamato Francesco; ve la immaginate, qualora avesse preso il nome di Pietro, la coda dei penitenti dinanzi ai confessionali?!