jeudi 12 décembre 2013


 
 
IL PRIMO NATALE CON PAPA FRANCESCO 
     

      Dire Natale è dire Betlemme; dire Betlemme è dire presepio, è dire Greccio, è dire san Francesco. Dire Fracesco, da marzo a questa parte, è dire ritorno della Chiesa alla vita evangelica del Cristo in terra…incarnato oggigiorno da papa Bergoglio, dal vescovo di Roma, dal primo papa di nome Francesco con cui festeggiamo, quest’anno per la prima volta, il Santo Natale! Papa Francesco: il terzo papa ad essere stato riconosciuto «uomo dell’anno». Ecco ciò che scrissi di lui alcune settimane dopo la sua elezione al sommo Pontificato della Chiesa Cattolica.

 (aprile 2013)        Eccomi a voi con un raggio di italianità che ci arriva, ancora una volta, da lontano. Ad andare a cercarlo lì, in terra argentina, sono stati i porporati di Santa Romana Chiesa, riuniti in conclave per eleggere il 266mo successore di San Pietro e colmare il vuoto della sede vacante lasciato dal papa emerito Benedetto XVI. Martedì 12 marzo di pomeriggio: fumata nera; mercoledì 13 marzo di mattina: fumata nera; mercoledì 13 marzo di pomeriggio: fumata bianca…e l’attesa è divenuta realtà! Una realtà tanto lontana dai pronostici, quanto più vicina al cuore della gente di tutti i giorni e alle speranze dell’intero universo. Un raggio di italianità che viene quasi “dalla fine del mondo”, ma eccolo lì a benedire, per la prima volta, i fedeli gremiti in piazza San Pietro, in via della Conciliazione e in ogni altra parte del globo. É il cardinale di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, “qui sibi imposuit nominem Franciscum”: mai nessuno prima di lui aveva scelto il nome del poverello di Assisi; mai nessuno prima di lui aveva scelto il proprio nome in onore della sua terra di origine; mai nessuno prima di lui era venuto da fuori dell’Europa; mai nessuno prima di lui era stato figlio di emigranti; mai nessuno prima di lui si era espresso nella sola lingua italiana; mai nessuno prima di lui aveva avuto la possibilità di vedere un altro papa e di pregare fianco a fianco con lui; ciò premesso  il neo eletto vescovo di Roma, come gli è piaciuto definirsi, possiamo considerarlo anche come il pontefice dei primati.

       «Cari fratelli e sorelle, buona sera!» e  sembra che da quella finestra si sia  già da tempo sempre affacciato; ed immediatamente, col suo sorriso schietto e sincero, è entrato nel cuore di tutti e nelle case di ognuno…più con la sua umanità che nel suo ruolo di pontefice! Proprio con sincero spirito di umiltà il giorno di Pasqua ha dato una mano ai poveri: «Pace al mondo che soffre per troppe ingiustizie. Curare le nuove piaghe che affliggono la terra, come la nuova schiavitù nella tratta delle persone». Senza puntare il dito contro nessuno ha già intonato, sia pure in sordina, la sua antifona verso potenti,  gente senza scrupoli e male intenzionati che, naturalmente, faranno orecchio da mercanti; se sulla terra, infatti, tutto cominciasse finalmente ad andare per il meglio…non morirebbe pure la speranza in un mondo migliore? Ricordate papa Albino Luciani? Sin dal suo primo discorso ebbe a reclamare una «giusta mercede per l’operaio»; sfortunatamente per la classe operaia, lo vedemmo sedere sul trono pontificio solo per 33 giorni! Omne trinum est perfectum: e tre sono state le fumate della sua elezione; e tre sono pure le persone della S.S.Trinità che è sembrato proprio avere aleggiato sul collegio cardinalizio nella scelta  dell’attuale vicario di Cristo. La saggezza umana aveva pronosticato ben 10 papabili, ma tutti e 10 hanno confermato la regola del “chi entra papa esce cardinale”; a nessuno dei pronosticanti era passato per la mente che, nel conclave che solo otto anni fa aveva dato alla Chiesa il papa emerito Benedetto XVI, ad avere più preferenze  subito dopo Ratzinger era stato un certo cardinale Bergoglio! E c’è qualcosa di soprannaturale pure nella scelta del suo nome. Un cardinale, appena constatato che Bergoglio aveva ottenuto il numero di voti necessario all’elezione, avvicinandosi gli aveva consigliato di ricordarsi dei poveri; uno dei tanti in piazza San Pietro, complice uno striscione in eligendo pontifice, suggeriva appunto il nome del poverello d’Assisi; con generale meraviglia a dare la sua prima benedizione Urbi et Orbi non è stato, guarda caso, proprio papa Francesco? Il primo papa che, prima di benedire il mondo intero, chiede una preghiera per lui stesso facendo osservare un attimo di silenzio all’immensa folla sottostante; il papa dal saluto più umano e cordiale che ci sia: buona sera, buon giorno, buon pranzo!

       Jorge Mario Bergoglio si è appena affacciato alla finestra del palazzo apostolico e ha già fatto capire che cerimoniale e protocolli possono benissimo essere messi da parte perché il vero pastore è quello che sta in mezzo alle sue pecorelle, dentro e non fuori dall’ovile; a guisa di un semplice parroco di provincia, dopo la Santa Messa, esce fuori dalla basilica e saluta i suoi parrocchiani uno per uno; percorrendo la piazza saluta, tocca, abbraccia, bacia bambini e gente malata; alcuni pellegrini, suoi compaesani, lo chiamano…scende dalla papa-mobile e va a stringere loro la mano; un papa che col suo spontaneo ed imprevedibile fare si è conquistato una tale carica di simpatia da essere considerato il papa di ogni singola persona; un papa che resta un uomo in veste di grande tenerezza; un papa che ha incoraggiato l’umanità a non perdere la speranza e supplicato i giovani a non lasciarsela rubare; un papa tanto umile e alla buona che così non se ne era mai visto prima; un papa che ringrazia spesso i giornalisti per il loro impegno nella rapida diramazione anche dei suoi impegni pastorali! A questo punto mi permetto di suggerire qualcosa onde rendere ancora più perfetta tanta sua perfezione fin qui descritta; da giornalista privato di articoli inediti, a somiglianza di quell’uno dei tanti della pre-elezione, mi metto ad agitare da questo mio angoletto uno striscione con su scritto in caratteri cubitali il serafico  «PACE E BENE» di francescana memoria. Se uno di questi giorni, in uno dei suoi angelus domenicali, papa Francesco avesse a proferire un simile saluto…ve lo immaginate l’urlo di gioia che in piazza San Pietro saluterebbe colui che è stato definito «il papa del popolo», il sommo pontefice che sin dai suoi primi contatti col mondo intero ha già dato un’impronta di serafica trasparenza all’immagine della Chiesa cattolica?!

p.s. Il papa, che è già entrato nel cuore di tutti gli uomini, riuscirà a toccare anche quello di coloro che regolano le sorti dell’umanità intera con la sua enciclica ‘Evangelii gaudium’?                                                                  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

mardi 19 novembre 2013


LUCIO: UN TESORO D’ALTRI TEMPI





In via di massima quasi tutti pensiamo che, per essere felici, dobbiamo avere il molto, il meglio, il tanto, il non plus ultra…spesso e volentieri andiamo cercando anche il «nuovo» perché il «vecchio» non dà più soddisfazione. A ben pensarci, per essere veramente felici basterebbe sa-per-si accontentare del poco e, magari, anche del «vecchio». Ma  una  simile sag-gez-za, purtroppo, non è alla portata di tutti!

          Annetti fa, dopo una trentina d’anni sposati, mia moglie ed io trovammo quasi «passata di moda» quella mobilia, in vero legno italiano di zecca, comprata allorché convolammo a giuste nozze. Intanto, riflettendoci su, pensammo: «Ma perché cambiarla con una moderna: più vistosa sì, ma forse pure meno sostanziosa?». E fu così che decidemmo di mettere a nuovo il vecchio che…ancora oggi chiunque viene a farci visita ci apprezza e ci invidia. In un mondo sempre all’avanguardia, con l’occhio sempre volto alla firma di grido -non importa se ottimo o scadente il prodotto- fortunatamente c’è ancora chi nutre e coltiva il gusto del…passato di moda o delle cose di una volta. Infatti, in ogni centro d’acquisti che si rispetti, non manca mai la caratteristica boutique dell’antiquario tutta piena zeppa di cianfrusaglie dei tempi andati. Magari quante volte, andando in vacanza in Italia, la gente emigrante se ne torna qui con qualche «vecchio ricordo» di famiglia? Forse lì quell’oggetto non è nemmeno calcolato; ma qui invece, ripulito e rinnovato, fa ancora la sua magnifica figura…oltre a tenerci nostalgicamente legati a tanti affetti dei giorni andati. A parte questo anche qui, gironzolando per le strade soprattutto in centro città, abbastanza spesso il tuo sguardo viene attratto da qualche vetrina di un sottoscala dove il vecchio la fa da padrone. E a volte la curiosità si impossessa di te e magari ti spinge a visitare quello scandinato pieno di singolari cimeli rimessi a nuovo con grande esperienza e tanta pazienza.

          Qui a Montreal c’è qualcuno che di quest’arte della «restaurazione» se ne è fatta quasi una ragione di vita. É Lucio Visconti, collezionista e restauratore di oggetti antichi. Uno di quelli che conoscono «l’arte di apprezzare le cose»; uno di quelli che con la loro arte sanno stabilire un giusto rapporto tra il passato e il presente; uno di quelli che sono capaci di «dar vita alle nature morte» rendendo prezioso, con un semplice ritocco, un oggetto di ieri; uno di quelli dotati di idee tanto geniali che, partendo dal poco, riescono a dare molto, riempiono lo sguardo, saziano lo spirito, creano quella contentezza che rende veramente felici! Tutto questo Lucio l’ha realizzato sulla rue Sint-Denis, in un piccolo locale, ora chiuso, che portava il nome di «Trésors d’Autrefois». Un locale piccolo sì, ma pure ricco, come recita la sua insegna, di grandi tesori; uno di quei piccoli locali che, pur ricchi di tanti tesori, non sempre attirano l’attenzione dei tanti passanti che abitualmente tirano innanzi senza prestare ad essi la dovuta attenzione. Ma non tutti comunque, perché fra quelli, molti o pochi che si voglia, che lo hanno preso in considerazione, qualcuno si è soffermato passandogli davanti, si è incuriosito, è entrato dentro ed è rimasto ammirato da quella miriade di, è proprio il caso di dire, tesori nascosti! Questo qualcuno è Rocco Simone che, rimanendo impressionato da quello stile di vita, lo ha voluto immortalare in un documentario intitolato appunto «Lucio, un tesoro d’altri tempi». Geniale, allora al pari di quella di Lucio, pure questa stupenda idea di Rocco: partendo da quel semplice tenore di vita di un artigiano restauratore, ne ha fatto un lavoro cinematografico gratificante pure tanta gente emigrante che, accontentandosi delle cose semplici e costruttive, è riuscita a dare una luminosità tutta particolare all’immagine italiana in terra canadese. Come suol dirsi, non c’è due senza tre. Ed allora mi permetto di portare alla vostra attenzione una terza idea geniale degna di encomio. L’idea in questione, questa volta, è quella che hanno avuto congiuntamente il Comites e la Dante Alighieri di Montreal. Una bella iniziativa che è venuta a rallegrare alcune ore della nostra giornata proponendoci il lancio del film di Rocco Simone sulla vita di Lucio Visconti al Centro Leonardo da Vinci, mercoledì 13 novembre 2013. Alcune ore dense di riflessioni e buon umore durante le quali Lucio, più di una volta, mi ha riportato alla mente Roberto Benigni.















Rocco Simone e Lucio Visconti, in un momento della serata al centro Leonardo da Vinci

Procedendo con ordine, Rocco Simone in un documentario ci narra assieme al protagonista la giornata di un esperto e geniale restauratore di vecchi oggetti a cui, del continuo rinnovamento sociale,…poco gli cale! Nemmeno il giovane amico Martin riesce a convincerlo che, se vuol fare affari, deve cambiare sistema…deve adeguarsi ai tempi! Niente da fare: Lucio a quel «posto al sole», pieno zeppo di cimeli e di vecchie cose, non darà mai un nuovo aspetto. Detto per inciso, sapete chi tiene compagnia a Lucio in quel suo regno surreale? Un canarino tutto giallo che, forse, gli riporta alla mente i voli degli uccelli della torre medioevale di Riccia, un paesino in provincia di Campobasso, da cui il nostro ex professore universitario, ora in pensione, proviene. E, a ricordargli la Patria lontana, nel negozio di Lucio non vi hanno fatto capolino pure due turisti italiani? Lo hanno scoperto e gli vengono a fare visita ogni volta che tornano a Montreal perché per essi “Montreal è Lucio”; e tornando  non se ne vanno mai senza un aggeggio restaurato dal loro amico montrealese: emigrazione di ritorno anche questa! Intanto nella vita di Lucio nasce una nuova amicizia: è il giovane  Rocco che viene quotidianamente a trovarlo e a dargli un colpo di mano sia per portar fuori dal buggigattolo gli articoli da mettere in vista sulla strada e sia per aiutarlo a prendere qualche oggetto posto in alto sulle pareti del negozio; vedendolo fare acrobazie in cerca di uno di questi oggetti, “Mò va a finire che cade!”…mi sono detto, a volte, durante la proiezione. Lucio non l’ho visto cadere, ma i suoi sogni hanno dovuto fare i conti con la dura realtà del commercio e sono stati tristemente inghiottiti dalle esigenze del progresso. Fattore questo che ha dato spunto a Lucio di creare, con ironica rassegnazione, pure una canzone: «Good bye, au revoir, ciao-ciao».  In un mondo che avanza a passi sempre più da giganti verso il succeso, cosa può un uomo, sia pure positivamente fuori dall’ordinario…dal comune…dalla norma, se qualche sua idea resta fissa al passato? Cosa può aspettarsi dalla vita, uno di questi saggi incompresi? Nulla…meno male che ci ha pensato Rocco Simone a rendere immortalare Lucio Visconti, visitando e prendendo appunti a mò di diario nella sua bottega!

Nei commenti del dopo-filmato il dito nella «piaga» lo ha messo l’amico e invitato d’onore Eduardo Roda, facendo notare che Lucio ha operato in un quartiere popolare, dove il negozio dell’antiquariato non serve una clientela raffinata; ragion per cui si è dovuto accontentare delle visite di giovani coppie e di gente non troppo facoltosa. Un’altra invitata d’onore, suor Angèle, la nota «restauratrice» di tanti sapori della buona cucina italiana, ha posto l’accento sull’attaccamento di Lucio alle sue radici; nostalgico sentimento che ha dato soddisfazione a lui e onore alla sua terra di origine. Mi unisco a lei negli  elogi a Lucio e nell’augurio a Rocco: che questo suo documentario faccia veramente il giro del globo! Peccato che, per   impegni sociali già presi in precedenza, son dovuto salire in fretta e furia al terzo piano del Centro Leonardo da Vinci quella sera lì…avrei proprio voluto conoscere più da vicino sia  Lucio che  Rocco.     



   

                                                   

mardi 22 octobre 2013

Ringraziando i padri salesiani





Innanzi tutto i tre parroci: padre Romano Venturelli, padre Giuseppe Costamagna, padre Luc De Montagne. La "parrocchia" di padre Romano è divenuta "casa" con padre Giuseppe e, ultimamente, "famiglia" con padre Luc. 
E poi: padre Giovanni Faita, padre Thomas Szeliga, padre Romeo Trottier, padre Mike Pace,  padre Enzo Trigatti, padre Domenico Britchu, padre Richard Authier e il travolgente predicatore, compaesano e sosia del papa,  padre Tito Antonio Iannaccio!

É sempre triste dirsi addio. Ragion per cui è con  rammarico che noi rivierani ci troviamo nella rincresciosa vicissitudine di dover salutare i padri salesiani della Maria Ausiliatrice i quali, per motivi di forza maggiore, il 27 ottobre 2013 lasciano il loro apostolato in mezzo a noi. Il futuro della società, come suol dirsi, sono i giovani. In quanto insegnante del PICAI conosco il loro impegno anche nella crescita all’italiana dei nostri studenti; ricordo molto bene, per esempio, gli incontri pedagogici e gli spettacoli di fine anno scolastico che ci lasciavono gentilmente organizzare nel sottosuolo parrocchiale; senza dimenticare che padre Romano prima e, in appresso, padre Giuseppe pure sono stati membri del consiglio amministrativo del suddetto ente. Intanto d’ora in poi, pur non dovendo più ufficiare questa parrocchia, saranno ugualmente in mezzo a noi nella guida spirituale della nostra gioventù nel «Centro salesiano dei giovani» che si trova poco distante dalla chiesa. Il nostro saluto, quindi, non vuol essere affatto un addio perché, stando a quanto detto, assume tutto il sapore di un ARRIVEDERCI! Comunque ci è di conforto il dato di fatto che, anche se restando in Rivière des Prairies solo per plasmare l’animo dei giovani, la traccia del loro passaggio qui tra noi è bene assicurata pure in appresso…quando questi giovani diventeranno i cittadini di domani.  Nel ringraziare i nostri cari missionari di don Bosco, tutti indistintamente anche a nome di tutta la comunità parrocchiale e non, per aver portato la «buona novella» nel nostro quartiere, nelle nostre case e nel nostro cuore -dove resteranno nell’abbraccio del più cordiale ricordo- vi ripropongo quel «raggio di italianità» che scrissi l’anno scorso nel trentesimo della consacrazione della Parrocchia.

(testo scritto nel gen. 2012) In appendice ai festeggiamenti del 150mo anniversario dell’Unità d’Italia mi piace sottolineare di nuovo che, una volta fatta l’Italia, bisognava fare gli italiani. Ciò premesso mi permetto di affermare che gli italiani, sia in Patria che all’estero, sono stati “fatti” pure da Don Bosco e dai suoi sacerdoti e suore salesiani. Essendo stato ordinato sacerdote nel 1841 ed avendo dato inizio immediatamente a dedicarsi anima e corpo alla formazione dei giovani, il futuro della società anche a quei tempi, possiamo asserire che ha cominciato a fare gli italiani prima ancora che l’Italia fosse stata fatta. La sua vita di apostolo e missionario ha come punto di partenza Valdocco dove apre il primo “oratorio”: è appunto da questa sua giovane esperienza che si manifesta in lui quello che è il vero santo : «l’uomo fedele a Dio, ma anche il testimone privilegiato del suo tempo, capace di suscitare rispetto concreto alle attese del futuro» educando giovani e ragazzi degradati, emarginati, disagiati ed ex carcerati. “L’educazione intellettuale e professionale –diceva- permette di prevenire la delinquenza”; di questo sacrosanto metodo educativo, detto preventivo, ne è a conoscenza ogni maestro come me per averlo studiato attraverso i testi di pedagogia.

É nel 1874 che fonda la Società di san Francesco di Sales, i suoi salesiani, i giovani preti che si dedicheranno alla gioventù negli oratori che a macchia d’olio si estenderanno un po’ dovunque in Italia, in Europa e nel mondo. A quei tempi l’educazione delle ragazze e delle fanciulle era alquanto più trascurata di quella dei maschietti. Don Bosco nel 1872, assieme a Maria Domenica Mazzarello, fonda l’ordine delle «Figlie di Maria Ausiliatrice» che istituiscono quasi una missione nelle missioni, rivolgendo la loro attenzione alle giovani donne ed attuando i primi passi verso l’emancipazione femminile nel nostro Paese. Rimasto orfano di padre a solo due anni, Giovanni Melchiorre Bosco assieme a due fratelli viene cresciuto e  cristianamente elevato dalle sole forze di mamma Margherita Occhiena che avrà un grande ruolo di educatrice nel «rifugio» prima e nell’oratorio di Valdocco in seguito. San Giovanni Bosco non uscì mai dall’Italia, ma una parte della sua infazia sa molto di vita emigrante. Nella frazione di Becchi, dove nacque il 16 agosto del 1815, non c’erano scuole. Ce n’era una a Capriglio, un paesetto vicino, nell’interno di una parrocchia diretta da un certo don Lacqua. Fu solo dietro richiesta della «perpetua» del parroco –zia Marianna Occhiena- che il giovane Giovanni venne ammesso a frequentarla…pur essendo di un «altro paese». Intanto il curato si affezionò tanto a lui fino a difenderlo dai maltrattamenti dei compagni che lo emarginavano perché «forestiero». San Giovanni Bosco, detto per inciso, è il protettore degli editori, degli apprendisti e dei maghi. Il piccolo Giovanni, infatti, insegnava giochi di prestigio e acrobazie da saltimbanchi ai coetanei di Capriglio per attirarli alla messa e alle pratiche religiose, acquistandosi pure le simpatie degli «indigeni».

Considerevole anche il lavoro svolto all’estero dai missionari salesiani che seppero superare i confini nazionali per «formare» pure gli italiani sparsi ovunque nel mondo. Oggi la famiglia salesiana è presente in 130 e più paesi dove con «Ragione, Religione e Amorevolezza va scavando un cammino nella complessità dei nuovi tempi». Ma in quegli anni dell’Unità d’Italia i missionari di Don Bosco partivano prevalentemente per l’Argentina, considerata in quei giorni la seconda patria degli italiani che lasciavano casa in cerca di un pezzo di pane. Nel 1875 parte una prima spedizione missionaria che fonda una parrocchia a Buenos Aires e un collegio per ragazzi a San Nicolas de los Arroyos. L’anno dopo un secondo gruppo apre una scuola di  arti e mestieri dove si formano falegnami, sarti ed altri artigiani. Nel 1977 una terza missione vede implicate pure le Figlie di Maria Ausiliatrice a prendirsi cura delle giovani figlie degli emigranti fin giù in Patagonia. «L’importanza dei salesiani nella cultura del paese sudamericano è testimoniata indirettamente nel Tango Calambache», opera musicale di Enrique Santos Discepolo. Avendo conoscenze virtuali con amiche in terra argentina sono venuto a conoscenza di come lì pure i nostri connazionali coltivano l’italianità in modo maestoso e trasparente…custodiamolo nel cuore con orgoglio questo dato di fatto, soprattutto adesso che ci è stata tolta la possibilità di propagandare –via tv- il nostro impegno di italiani all’estero da «protagonisti»!                                                                                          

E qui a Montreal?                                                                                            
Uno dei più giovani «figli» di Don Bosco partiti prematuramente al cielo è San Domenico Savio: è appunto a lui che è dedicata una parrocchia nella zona est di questa metropoli canadese. Attualmente abito in Rivière des Prairies e sono parrocchiano della Maria Ausiliatrice dove Don Bosco, i bravi salesiani, ce lo fanno quasi toccare con mano.  É nel 1972 che iniziano il loro apostolato tra le circa 200 famiglie allora residenti in detta zona. In mancanza di una chiesa, la Santa Messa veniva celebrata nella casa di due parrocchiani, Renzo e Alda Viero che tanto ha dato e continua a dare al buon nome dell’immagine italiana sull’isola di Montreal; nel 1973 mons. Cimichella, benedicendo il «Centro Italiano di RdP» disse che era «un piccolo seme che avrebbe dato grandi frutti». Intanto è solo il 19 marzo del 1982 che viene consacrata la «Missione di Maria Ausiliatrice» ed è due anni dopo, il 22 dicembre 1984 che viene eretta e benedetta anche la chiesa con vetrate in mosaico e con la raffigurazione, al di sopra della porta di entrata, di un sogno del santo: una nave, simbolizzante la Chiesa, ancorata alle colonne della salvezza sovrastate una dall’Ostia consacrata e l’altra da Maria Ausiliatrice. Sono padre Giovanni Faita e padre Romano Venturelli a far sì che, con la sua costruzione, le parole di mons. Andrea Maria Cimichella cominciassero a divenire profezia…il piccolo seme ha dato i suoi grandi frutti, tanto che in questo 2012 i salesiani soffiano infatti, insieme a noi e ai nostri figli e ai nostri nipoti, sulla trentesima candelina della nostra parrocchia!          
Auguri a questi primi quarant’anni di fecondo apostolato salesiano, nonché auguri ai trent’anni della Missione da loro istituita tra noi e per noi…Missione che, purtroppo come detto sopra, a partire da questo 27 ottobre 2013 non sarà più di loro gestione.


dimanche 13 octobre 2013


Anteprima

“Dove eravamo rimasti” quando xxisecolo chiuse i battenti? Grazie a Carmela e a suo marito Giuseppe, che si onorarono della mia collaborazione, avevo preso gusto ad entrare nelle vostre case con i miei «raggi di italianità», tanto che quando non dovetti più farlo sembrò mancarmi qualcosa.

Dietro consiglio di Eduardo, che mi ha invitato a visitare il suo sito personale e ad aprirne uno pure io, eccomi qua -in tandem con lui- a parlarvi di quegli aspetti della nostra italianità che di tanto in tanto stuzzicano il mio estro letterario.

L’ultimo articolo che vi proposi nel suddetto giornaletto on line fu dedicato ai 50 della CFMB. Poiché la nostra emittente internazionale di Montreal è il non plus ultra in quanto a italianità mi piace iniziare questa mia nuova esperienza in rete proprio da lì…dove eravamo rimasti!

Fine anteprima: visitatemi spesso e BUONA LETTURA!

 

Ai tuoi 50 anni  (dic. 2012)              

Mia cara CFMB, è dal 1967 che ascolto fedelmente la tua voce e che seguo giornalmente i tuoi programmi; essendo tu nata nel 1962 ho perso un solo lustro della tua calorosa compagnia. Questo mio raggio di italianità sento il dovere di dedicarlo a questi primi cinquantanni durante i quali ti sei prodigata per l’affermazione della lingua, della cultura e dell’intero nostro retaggio in terra canadese e non solo. Approfitto dell’occasione per sottolineare che la tua frequenza radiofonica non è un semplice raggio di italianità, ma addirittura un fascio di luce luminosa, un faro lampeggiante che spazia a 360 gradi nei cieli di Montreal, della bella provincia del Quebec, nell’immenso Canada ed ora, grazie ad internet, ovunque nel mondo.

Eh sì, che bella soddisfazione, per noi ascoltatori e per te stazione radio, realizzare di aver trascorso ben 50 anni insieme e sempre in ottima armonia. Da mattina a sera e spesso anche di notte hai accompagnato il nostro cammino in terra emigrante; ci hai tenuti stretti alla Madre Patria nello stesso tempo che ci aiutavi ad integrarci in quella adottiva. Quale aspetto della nostra italianità tu non hai coltivato, non hai promosso o non hai diramato in lungo e in largo sulle tue onde radio?  Quale nostra attività sociocomunitaria tu non hai preso a cuore e resa pubblica attraverso la tua frequenza 1410 prima e 1280 adesso? Sei stata e lo sei ancora, per noi, una guida, una fonte d’informazione, una ventata di allegria nei momenti lieti e un respiro di conforto in quelli tristi: sei quella stupenda compagna che, se non c’eri, bisognava inventarti…ma per fortuna non ce n’è stato bisogno!  E che purezza di lingua quella che proviene dalla «tua bocca»; benché in mezzo a mille e più parlate, la tua non ha mia subito inflazione alcuna e resta sempre quella degna di un «italiano vero».

In momenti ricordevoli come questi, comunque, tornano furtive alla mente pure quelle care persone che sono scomparse. Permettimi allora di rivolgere un pensiero pure ad esse: il tuo presidente fondatore Casimir Stanczykowski, l’epico commentatore sportivo Roberto Ferrarini, il mago dei bottoni Remo Mayer, la voce domenicale Giuliana Hawa, l’indimenticabile e grande Augusto Tomasini, il bravo Mario De Filippo, l’enciclopedico Marcello Pansera, e recentemente il poliedrico Luigi Di Vito. Infatti è anche grazie ad essi che sei cresciuta e sei divenuta grande; mentre causa un certo fremito ed una cara emozione constatare che i tuoi microfoni sono animati ancora da parecchie mitiche voci che ti tennero a battesimo; al pari che è altamente incoraggiante «sentire» pure le tante nuove, «intonate e squillanti» anch’esse, assicurarti un lungo domani.  Senza dimenticare di dare un forte abbraccio pure a tutti quelli che, lavorando «silenziosamente» dietro le quinte, rendono possibile la tua programmazione!

Augurandoti tante belle cose, termino questo mio scritto regalandoti la seguente poesia:

TU COMPAGNA FEDELE

Tu, Compagna Fedele

Multiculturalmente Blasonata,

è già da anni che accompagni il cammino

degli emigrati in terra canadese.

Con orgoglio odo, fra gli altri, echeggiare

in tono più elevato proprio il nostro

idioma sulle magiche onde tue.

Ti ricordi del «Piccolo Programma»

con cui nascesti? É divenuto grande

ormai e, nonstante gli anni passino,

sembra ringiovanirsi sempre più…

anche in virtù delle nuove promesse

che si impegnano a continuarlo, lige

al loro spirito di appartenenza.

Ed ecco, assieme alle epiche tue voci,

pure le tante nuove dare accento

al nostro «dolce sì» che sempre suona!

Sette note, sette sere, notturno

italiano, il risveglio con il mitico

Cipolla, il ritorno a casa, domenica

insieme…con  la sosta dello spirito,

autostop ed il commento del giorno,

tutto sport e l’annuale maratona;

italianissimo, svegliati e canta,

nonché tanti concorsi e spazio ai giovani;

il mattiniere ed il buon pomeriggio,

il giorno dopo e la radio bambino;

la pubblicità, il taccuino sociale,

flash-la cultura a portata di mano;

due per uno, due canzoni per te,

assieme ai motivi indimenticabili,

e anche  quelli sotto il cielo di Napoli;

il mercatino e la signora Amalia,

red carpet oltre alla my chance on hair,

la ricetta perfetta,

il giro d’orizzonte, canzonissima

e  l’attento a quei due, a ruota libera,

e la medicina, scienza e salute,

flash back e vorrei dire

tante altre cose ancora…

in viaggio tra i ricordi del passato!

Questi i cari appuntamenti con cui

ci hai intrattenuto in ogni attimo

del giorno lungo questi cinquant’anni.

Alla Patria lontana tu ci hai sempre

tenuto uniti ed il nostro retaggio:

fede, lingua, cultura, tradizioni,

folclore…ad ogni gente annunci ancora,

tanto che noi pure, per te, possiamo

sentirci fieri di essere italiani.

Mia cara CFMB,

tempo forse non avrò per soffiare

sopra le tue settantacinque o cento

candeline; ma spero possa andare

a farlo da lassù…

assieme ai tuoi che ormai non ci son più!

Grazie CFMB, ad maiora e un augurio sincero per tanti altri anni ancora!