mardi 23 juin 2015


ANCHE  QUESTA  È  AMERICA ©

(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore) 

LA SAINT-JEAN

      Correvano i tempi in cui a Montreal di lavoro ce n’era a bizzeffe; ma tanto a bizzeffe che, magari, ne andava di mezzo pure la festa nazionale del Quebec, la Saint-Jean Baptiste. Nella nostra bella provincia, infatti, fra tutte le feste dell’anno questa è la più sentita e rispettata; e guai a chi ne tocca la data. Il 24 giugno cade, per esempio, di giovedì? E allora è quel giorno lì che bisogna festeggiare; e di slittamento al lunedì non se ne parla nemmeno; e tutte le fabbriche devono restare chiuse perché la festa di San Giovanni Battista è sacrosanta.

      Comunque, quando di lavoro ce n’è fin sulla cima dei capelli, popolo consenziente, uno strappo alla regola qualcuno la fa, nonostante sia il giorno del santo protettore. Perciò per quella Saint-Jean Baptiste, nella manifattura dove prestava servizio Giuseppe, furono in parecchi a recarsi al lavoro pure quel santo giorno; naturalmente era stata una loro libera scelta perché nessuno aveva fatto pressione su di essi. In ogni modo lavorare in un giorno festivo fa anche comodo in quanto ci si stressa di meno e si è pagati di più: e  quel giorno lì la retribuzione oraria era il doppio e mezzo. E ci fu tanta aria di rilassamento e spensieratezza che quando suonò la campana di mezzogiorno colse tutti di sorpresa. Salirono in caffetteria per il pranzo e dopo mangiato, come d’abitudine, ci fu pure chi si fece la passatella a carte. Ritornando giù dopo la sosta, nel vedere i locali semibui, cominciarono a chiedersi l’un l’altro: “Che succede?”, “Perché le luci sono spente?”, “Mica si finisce adesso?”. In fondo al corridoio che portava all’ufficio scorsero il figlio del padrone con due signori: uno distinto e incravattato, l’altro in manica di camicia e barba folta. Da dietro una macchina di fronte alla scalinata sbucò fuori il caporeparto che, in fretta e furia, cercava di metterli fuori alla chetichella. «Via, via! Non vi fate vedere!» andava ripetendo a ciascuno  indicando la porta. “Ma cosa è succes…” provò a chiedere qualcuno e lui: “Presto, presto, uscite! Vi spiegherò tutto domani!”. E ognuno se ne tornò a casa all’oscuro dell’accaduto e mezzo preoccupato.

      Quando l’indomani Giuseppe si presentò in azienda con sguardo interrogativo, per alcuni il mistero non aveva più segreti. Infatti quando lui chiese: “E allora?”, si sentì rispondere: “Ma non hai ancora capito niente?”; e un altro gli fece: “Insomma, bisogna proprio metterti le cose col cucchiaino in bocca?”; e un terzo spiegò: “Ti ricordi di Denis, il caposquadra francese che è stato slaccato qualche mese fa? È stato lui la causa di tutto quel trambusto di ieri!”. Ma ecco come erano andati i fatti. Denis era una di quelle persone che, per la loro arroganza, non vanno d’accordo con nessuno e sono malviste da tutti. Inutile dire che era sul libro nero della compagnia e che si era in attesa del momento opportuno per sbatterlo fuori. Siccome era pure uno di quelli che di leggi se intendono, fu un po’ difficile raggiungere lo scopo ma alla fine ci si riuscì. Intanto si dava anche il caso che Denis fosse tra quei sapientoni che conoscono tutti i buchi, sanno dove muovere i passi e dove mettere le mani…soprattutto allorché si vuole giustiziare legalmente qualcuno. Perciò, a mo’ di vendetta, si recò dove lui ben sapeva e spiattellò che nella ditta Tal dei Tali, situata al numero civico tot della via Caio e Sempronio, si era soliti aprire i battenti pure il giorno della festa patronale del paese, la Saint-Jean Baptiste. Si doveva a lui, quindi, la presenza dei due signori in manifattura quel giorno di festa: in qualità di tutori dei sacri diritti, erano venuti a intimare l’obbligo del precetto festivo…che da quel giorno in poi anche lì si è presa l’abitudine di osservare rigorosamente!

lundi 8 juin 2015


ANCHE  QUESTA  È  AMERICA ©

(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore) 

LA RIVINCITA

      Correvano gli anni ottanta. Un pomeriggio Giuseppe tornava a casa dal lavoro ascoltando,  in macchina, la sua radio del cuore. L’animatrice aveva come suo ospite negli studi radio un rapprentante degli uffici per la tutela dei diritti del lavoratore. La conversazione era interessante e toccava argomenti utili a sapersi, anche se poi più di qualcuno non avrebbe avuto mai bisogno di usufruirne. Lui personalmente, per esempio, non pensava mai di dover ricorrere a un simile ente né tantomeno ai suoi servizi completamente gratuiti “a pord’zo”, come direbbero i francesi di qui. Li prese ugualmente, però, il numero di telefono e l’indirizo dati per radio da quel signore; li annotò e li ripose nel cassetto portaguanti del cruscotto dove teneva altri appunti del genere. Dove lavorava a quei tempi gli avevano dato la responsabilità  del reparto spedizioni. Prendeva una buona paga, la fabbrica andava avanti a gonfie vele, era tenuto in grande considerazione e, quindi, non vedeva proprio un come e un quando si sarebbe potuto trovare nella necessità di dover fare ricorso a quei “santi avvocati” del popolo.

      Passarono suppergiù un paio di anni e il presidente fondatore dell’impresa, dove Giuseppe aveva ormai quasi messo  radici, si ammalò. Cancro maligno, purtroppo, fu l’esito della diagnosi. Sì, proprio quel brutto male che, se ti prende, ti porta immancabilmente dinamzi al Padre Eterno…a scorno sia dei tuoi soldi che della tua importanza! E non ci fu più nulla da fare neanche per lui: anch’egli adesso appartiene al passato e quelli che, ricordandolo, lo chiamano “buon’anima” lo fanno perché fu veramente un brav’uomo, anzi un signore. La sua morte fu come una tempesta in alto mare che, sfortunatamente, portò alla deriva il pur ben veleggiante vascello tessile «di Giuseppe» . Se questo non affondò completamente, fu grazie all’acquisto di esso da parte di altri industriali operanti nello stesso settore. Quel cambio di gestione, però, portò pure una svolta nei modi di pensare, di dire e di fare dell’azienda; detti mutamenti, se per alcuni furono un bene, a molti causarono problemi e grattacapi. Fatidico caso, quest’ultimo, principalmente per coloro che, come il nostro capospedizioniere, si trovavano “in alto loco”; non è forse vero che il toro va preso per le corna? Perché questo e perché quello, come mai di qua e come mai di là, o furono loro a metterselo sul naso o forse fu lui a non saper farsi ben volere…fatto sta che un bel giovedì, allegata alla busta paga, trovò una chiara lettera di licenziamento con effetto quasi immediato: dal lunedì successivo non faceva più parte di quella compagnia! “Non possono slaccarti così su due piedi! Va’ a protestare!” gli suggerì un compagno malvisto anche lui, naturalmente. “Ma no; preferisco andarmi a cercare un lavoro altrove. Ne ho fin sulla cima dei capelli della loro autoritaria arroganza!” ribattè Giuseppe che ormai lì dentro ci stava troppo stretto per poterci restare più a lungo.

      In effetti un altro impiego lo trovò abbastanza presto e senza difficoltà. Nel nuovo posto, intanto, un vecchio volpone del mestiere, con cui Giuseppe aveva fatto amicizia sin dal primo giorno, gli mise la pulce nell’orecchio che avrebbe fatto bene ad andare a reclamare alquanto prima la sua liquidazione nella vecchia fabbrica, altrimenti quelli avrebbero fatto i matti per non andare in guerra. Diede ascolto al nuovo amico e telefonò. “Oh, non preoccuparti, -gli fu risposto- ti manderemo il tutto per le vacanze della costruzione!”. Le vacanze arrivarono e passarono, ma del “tutto” non si era vista neanche l’ombra. Richiamò e si sentì dire: “Ah sì, la tua cecca è sul tavolivo del padrone; appena lui la segna te la mandiamo!”. E una volta e due e tre, finché un giorno ricompose il numero e fece secco: “Se al vostro padrone manca la penna per fir.ma.re l’as.se.gno, adesso glie la porto io una di marca!”. Riattaccò con loro e diede subito un colpo di telefono al famoso numero udito un lontano giorno alla radio italiana. Spiegò il suo caso, gli fu dato un appuntamento e, con la precisione di un orologio svizzero, fu sul posto nel giorno e all’ora stabilita. Venne accolto gentilmente, gli si diede il tempo di esporre le sue cose e, per tutta risposta gli fu suggerito: “Appena hai tutte le prove per dimostrare che hai lavorato in quella ditta per oltre undici anni, portacele e risolveremo il tuo problema!”. “Sì, -soggiunse lui- ma quali prove?”. “Per esempio tutte le slippe paga settimanali!”. Una parola! Dove andarli a prendere, adesso, tutti i tagliandi con le trattenute se, di volta in volta, staccato l’assegno, li gettava via come carta inutile? Fu il contabile che gli faceva la dichiarazione dei redditi che si impegnò a procurargli le ricevute in questione. E così, appena le ebbe in mano, si precipitò subito dove di dovere per un adeguato “risarcimento danni”. L’impiegato d’ufficio diede un colpo d’occhio alle fotocopie da lui portate, riesaminò il dossier e, complimentandosi con lui per la causa quasi già vinta, gli espose tutti i vantaggi di cui avrebbe potuto usufruire. Eccoli esposti in breve: retribuzione corrispondente a due settimane di mancato preavviso; sei per cento della paga annua come congruo vacanze, o liquidazione come sarebbe meglio dire; e, se voleva, poteva anche riprendervi servizio essendo stato messo alla porta senza un giusto motivo.

      Ma Giuseppe conciliò: “Che mi diano soltanto quello che mi spetta. In quanto a ritornare lì…manco morto!”. E fu così che, grazie all’ascolto della nostra radio amica di Montreal, la cfmb, potè arrotondare di parecchi soldini il suo conto in banca…senza aver dovuto sborsare, pertanto, neanche un centesimo.