GENTE NOSTRA
La
testimonianza pro italianità che vi ho dato in lettura nel mio ultimo articolo
potrebbe anche essere data per scontata in quanto il suo protagonista era un emigrante di prima
generazione; ragion per cui è normale che il suo sentirsi italiano è una
questione di dna. La testimonianza della mia presente chiacchierata, invece, ha
come attori principali una giovane coppia di terza generazione che, incredibile
ma vero, vivono in famiglia una italianità da non credere; e se ve ne parlo è
proprio perché li ritengo un esempio da seguire! Abito in un quartiere centrale
di Rivière des Prairies su di una strada alquanto movimentata; sul retro fino a
sei o sette anni fa c’era un vasto terreno
incolto dove ora invece si può godere la vista di un bel quartiere
residenziale, con al centro un vasto parco da giochi per bambini. Eh sì,
quest’area ricreativa per i piccini ci voleva proprio perché i neo residenti
della zona sono, per lo più, giovani
coppie che vanno mettendo su famiglia. Abito al terzo piano di un condomio e
dalla mia spaziosa terrazza ho potuto seguire passo dopo passo le varie fasi
della costruzione e la successiva presa di possesso delle abitazioni da parte
dei proprietari. Le case confinanti col
terreno del condomio sono state le prime ad essere abitate e sin dai primi
giorni sono rimasto ammirato dal fare spigliato e socievole di una giovane
ragazza nostra nuova dirimpettaia. “Quella coppia deve essere di origine
italiana” dissi con mia moglie a quei tempi e…non mi sbagliavo perché, infatti,
anche lì di fronte a noi l’italianità la
fa da padrona! Un pomeriggio, tornando dal lavoro, trovai mia moglie che
parlava confidenzialmente con la nuova
vicina. “Già hai fatto breccia tra i nuovi arrivati!” le feci ironicamente; «È
lei che mi ha salutato per prima ed io ho risposto. È figlia di italiani ed è
una brava ragazza!»…e, quindi, rifiutare una simile amicizia sarebbe stato un
vero e proprio peccato.
Intanto,
stando anche ad una vecchia canzone, gli anni son passati, i bimbi son
cresciuti e pure noi siamo tutti un pò invecchiati. Quello che è più bello però
è che la zona si è arricchita di armonia infantile e pure il parco al centro
del caseggiato adesso ha gli assidui frequentatori dei suoi giochi. Ed anche
noi, dulcis in fundo, se prima parlavamo solo con Caterina e col marito, ora
abbiamo pure i loro radiosi figlioletti Alessandro e Roberto, a mandarci il
loro: «Ciao Lina, come stai? Dove sta Peppino?»…e tutto e sempre in perfetta
lingua italiana, perché è questo il sine qua non di questa mia chiacchierata. La
nostra giovane vicina con i figli e col marito non l’ho mai sentita parlare in
francese o in inglese, ma soltanto in italiano: un’italiano così perfetto che
non ho mai avuto il coraggio di parlarle dei corsi del Picai; spesso tra me e
me penso e rifletto che, se io sono un semplice insegnante di italiano, lei può
essere considerata addiritura una maestra di italianità! Con i
vicini italiani comunque lo parlano l’inglese; ma pure con loro spesso e
volentieri li sento utilizzare la madre lingua dei genitori. Un giorno mia
moglie le chiese con soddisfatta ammirazione il perché parlasse solo in
italiano con i suoi figli; e lei rispose che il francese e l’inglese avevano
modo di impararlo a scuola e che intanto era suo dovere impartire loro, almeno
in casa, un’educazione tutta all’italiana. Ho sentito un giorno alla radio che
già nella scelta dei nostri nomi di battesimo c’è qualcosa del nostro carattere
e delle nostre inclinazioni. Ebbene, questa giovane mamma, che in famiglia
prova gusto ad esprimersi in italiano, non si chiama Caterina? E santa Caterina
non è, guarda caso, la patrona d’Italia? Voglio anche aggiungere che mi sento
particolarmente orgoglioso quando in quelle nuove abitazioni lì di fronte al
mio condominio arrivano i nonnini di
questi italo fanciulletti a valorizzare ancor più la nostra cultura e le nostre
tradizioni. Prima di pubblicare quest’articolo ho telefonato a Caterina per
chiederle il permesso di parlare di lei nel mio blog. E, parlando parlando,
sapete cosa sono venuto a sapere? Che il nome di suo marito è Ricardo, con una
sola «c» perché è nato in Argentina da papà spagnolo e mamma italiana: un altro
punto a vantaggio della sua e nostra accattivante italianità, dunque. Non
penso, tutto sommato, che questa giovane coppia sia la rara mosca bianca, né
l’unica rondine che non fa primavera; ce ne saranno eccome sull’isola di
Montreal altri italiani di terza e quarta generazione a sentirsi fieri di dare
atto del loro spirito di appartenenza applicandolo con convinzione alla loro
duplice identità di italocanadesi.
Detto
questo mi sento quasi in dovere di affermare con certezza che il nostro idioma
avrà ancora lunga vita: tanti passi ancora da muovere e tanta strada ancora da
fare. Se qualcuno non è d’accordo con me, non me lo dica aggi che non condivide
le mie idee; venga a dirmelo fra un migliaio d’anni…tutti quegli stessi anni
che ci son voluti alla madre lingua latina per trasformarsi in francese, spagnolo,
italiano ed altro ancora; perché il cammino del tempo e delle cose non è nel
restare quelle che sono, ma nel loro trasformarsi lento e continuo!