mardi 8 septembre 2015


ANCHE  QUESTA  È  AMERICA ©

(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)

LA GAVETTA  (Parte seconda)

      Tempo dopo Giuseppe fu raccomandato a un grande industriale italocanadese. Un pezzo grosso che conosceva mezzo mondo e che un posto come si deve glie lo avrebbe trovato di sicuro. Perciò una sera, dietro appuntamento, si recò a casa di questi per un colloquio. E tu me la chiamavi una semplice casa quella lì? Ma quella era una reggia! Seminterrato, salotti e salottini, sale a dritta e camere a manca, accessori vari, giardini, giardinetti e altro ancora…un villino in piena città. La gente si meravigliava e lo squadrava da capo a piedi il fortunato signore che possedeva “tutto quel casacchione”. Ma che bisogno c’era, poi, di stupirsi tanto? Chi ha polvere spara! In fin dei conti era lui che doveva badare alla sua manutenzione e pagarne le tasse. Ma sì, che se la godesse per cent’anni quella casa: ne aveva fatti di favori e piaceri anche agli altri. Ne aveva sistemata di gente appena arrivata dall’Italia, come ora stava appunto facendo con Giuseppe. Entrò, fu ricevuto nello studio e fu posto a un confidenziale interrogatorio onde venire a conoscenza del suo curriculum vitae. E quel signore, che gli avevano descritto come uno dei massimi esponenti della Montreal di allora, si dimostrò abbastanza disponibile a soddisfare come si doveva le esigenze del nostro fresco italo emigrante. Nel bel mezzo della conversazione prese il telefono e cominciò a parlare con qualcuno che doveva essere un suo vecchio amico da lunga data. Discorrendo con quello, in italiano ma a tratti pure in inglese, gli chiese se nel suo ristorante avesse qualcosa per un giovanotto appena arrivato dall’Italia. “Bene, my dear, -fece concludendo- domani te lo porto!”.  Mentre lui riattaccava la cornetta Giuseppe pensò: “Ma se ha un’industria tutta sua, perché non mi prende con lui?”.

La risposta a quel suo interrogativo l’ebbe il giorno dopo allorché l’insigne mecenate, in un lussuoso Cadillac dell’epoca, l’accompagnava dal suo amico ristoratore. “Ieri sera mi hai fatto capire che in Italia hai studiato, vero?” chiese a Giuseppe che rispose: “Si ho studiato da maestro!”. E quegli di rincalzo: “Allora, avendo studiato anche storia, saprai di certo che i più grandi generali sono proprio quelli che hanno avuto la gavetta più dura! Io la mia, per esempio, l’ho inziata qui, nella cucina del padre di questo mio grande amico!”. E nella cucina di quel ristorante ne lavò di piatti e ne sbucciò di patate pure il nostro nuovo…soldato a prendere il rangio dalla sua gavetta! In compenso, però, ebbe l’occasione di contattare gente di differenti culture e ceto sociale. Per quanto riguarda poi l’apprendimento delle lingue locali, tale opportunità si rivelò quasi come una manna piovuta dal cielo. Nel pomeriggio andavano a lavorare lì alcuni studenti con cui potè praticarle e approfondirle maggiormente. Si diede anche il caso che uno di quei giovani, avendolo preso in simpatia, gli suggerisse di recarsi in un certo posto dove richiedevano personale serio e volenteroso. Giuseppe ci andò e ci rimase pure. Infatti per le buone possibilità di guadagno e per le lusinghiere prospettive di avanzamento che gli venivano offerte valeva la pena mettere da parte gli studi fatti e volgere la testa a ideali di tutt’altro genere. D’altronde, se ebbe la forza di volontà di attaccare al chiodo carta, penna e calamaio, si vide pure baciato in fronte dalla fortuna che, facendogli abbandonare scopa, patate, piatti e gavetta, diede modo anche a lui di intraprendere la sua brava vita di carriera, che gli avrebbe dato anche modo si sentirsi più realizzato…in qualità di  caporeparto, alias boss, in una manifattura di trapunte e ricami, che gli permise per parecchi e parecchi annetti di sbarcare il lunario con decente orgoglio.