dimanche 19 octobre 2014


LETTERA AD ERMANNO  (da Gente nostra)

Ciao Ermanno, maestro di italianità, modello di vita emigrante. La lingua italiana in Canada…spero se la cavi anche senza di te. Non mi sono permesso di dire «ciao professore» perché non sei mai stato uno di quelli che si danno arie da cattedra, pur avendone  tutte le carte in regola quasi honoris causa. Al contrario sei sempre stato l’uomo comune del quotidiano; una personalità che tutti hanno ammirato e apprezzato per la sua modesta semplicità; sei stato quella preziosa goccia che scava la pietra non con la sua forza, bensì con il suo lento e costante cadere. Ed ecco che questo silente ma coscienzioso impegno di tutti i giorni ti regalava l’onorificenza di Molisano dell’anno nel 2004 e di Cavaliere della Repubblica italiana nel 2008…sì, tu che amavi ritenerti «figlio di contadini», venivi insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica! 

Per me personalmente sei stato un esempio da seguire; anzi, spesso e volentieri, i nostri passi si sono trovati sullo stesso cammino pur senza conoscerci. Su nel tempo nell’allora neonata chiesa del Monte Carmelo in San Leonardo assistevo, una domenica, alla cresima di un mio nipote; tra i cantori della corale il mio occhio si posò su di uno dallo sguardo serio e pensoso, bonariamente burbero ma che al contempo sprigionava tanta serenità: eri tu che già mi dicevi tanto come connazionale all’estero. Sul finire degli anni sessanta padre Domenico Rodighieri fondava il settimanale Insieme e la prima cosa che facevo era di andarne a leggere l’articolo di fondo; una domenica, dopo la messa del pomeriggio, ero andato a trovare padre Rodighieri in redazione e dopo poco vi giunse pure quello stesso signore della chiesa del Monte Carmelo che portava a padre Domenico il suo articolo per il settimanale: e, guarda caso, non eri proprio tu l’autore di quello scritto che, immancabilmente, andavo a leggere con particolare attenzione? Un sabato di vari anni fa ero in una sala da ricevimento per lo sposalizio di una mia nipote; ebbene, durante la festa non rivedo ancora te che ti trovavi lì perché amico del padre dello sposo? Un altro giorno, sempre su nel tempo, venne a mancare al nostro affetto un caro cugino di mia moglie, insegnante di italiano per conto del Picai…ed anche in detta circostanza i nostri passi si incrociarono perché Domenico «il  maestro» era pure un tuo grande amico.

A proposito di Picai, ne va da sé che il dente dolente dove va a battere la nostra «lingua» è lo stesso. Infatti dal 1992, venendo assunto come insegnante del sabato mattina, divenivo, e lo dico con orgoglio, un tuo collega in lingua italiana. Ma in seno al Picai il tuo lavoro e il tuo contributo per la lingua e la cultura italiana sono di tale e tanta imponenza da essere divenuto una colonna portante dell’Ente stesso. Significativa, infatti, la strenua lotta che sostenesti presso la Commissione Scolastica di Montreal per l’ottenimento delle aule necessarie ai relativi corsi del sabato mattina. E che dire, poi, della tua solerte dedizione ad essi come insegnante, come direttore e addirittura come redattore degli stessi programmi scolastici? Hai sentito la triste nuova a proposito di questa istituzione per il cui buon funzionamento ti sei prodigato per anni ed anni? Questo è il suo ultimo anno di attività: dopo di che scomparirà dall’agenda della nostra comunità! Mi vien fatto di chiederti una cosa: «Non sarà stata per caso questa sconcertante nuova a spezzare il tuo grande cuore di vecchio emigrante?». Comunque, lasciami dirti un’altra cosa; almeno per me, insegnante di lingua e cultura italiana, non sei stato un semplice maestro: sei stato uno di quei «mastri» che in Italia, nell’immediato dopo guerra oltre che il mestiere, insegnavano ai loro discepoli anche un tenore di vita onesto e corretto. Correva l’anno 1962 allorché la nostra stazione radio CFMB apriva i battenti. Ed ecco lì anche te sia come collaboratore di una delle sue prime rubriche «Il piccolo programma», sia per commentarne lo sport via telefono. Riprendendo il discorso sulla stampa scritta, oltre all’oramai estinto Insieme, svariati altri sono i giornali e i settimanali dove hai messo la tua firma: Il Progresso Italo Americano, La Tribuna Italiana, Il Mezzogiorno, La Verità, Il Corriere Canadese, Il Corriere Italiano, Il Cittadino Canadese, Il Ponte…senza dimenticare, cattolico praticante qual’eri, Il Messaggero di Sant’Antonio; dulcis in fundo mi piace ricordare pure l’ex rivista trimestrale L’Altra Calabria, edita dai comuni amici i Calabresi nel mondo: grazie ad essi, oltre che a collaborare per la stessa causa, avevamo pure il reciproco piacere di conoscerci di persona. E non finisce qui perché, ingegnere nei cantieri aerei della Prath & Whitney durante la settimana, nei ritagli di tempo, qual poeta della domenica, ti dilettavi a scrivere il romanzo «La padrona», la collana di poesie «La voce delle pietre» e ben tre raccolte di racconti: «Terra mia», «Amore infinito» e, guarda caso, «Viaggio in Paradiso»…viaggio che hai intrapreso a tua volta lasciando questo mondo per andartene lassù: al cospetto dell’Eterno e in compagnia di Sant’Antonio di cui con la penna, con la parola e con l’azione ne sei stato un devoto e fedele «messaggero» in terra canadese.

Oggigiorno di svaghi ricreativi ce ne sono tanti, anche grazie ai mezzi telematici che la scienza moderna ci offre. Tempo fa, però, non era così, ed erano i gruppi teatrali e i complessi folk a dare uno stacco di allegria alle nostre giornate lavorative. Nemmeno in questo contesto è mancato il tuo zampino nella nostra comunità, anzi anche in tal senso l’hai fatta da padrone e pure alla grande; l’immaginario  paesino di Schiaccianocelle ed il Coro Alpino, i tuoi cavalli di battaglia con cui eri solito intrattenerci nei fine settimana, farci rivivere la spensieratezza paesana e irradiare nei cieli di Montreal i colori del nostro folclore. Che tuffo al cuore, sabato mattina 16 ottobre, udire il coro da te fondato accompagnare la messa cantata in tua memoria. Che ulteriore emozione, a fine cerimonia, quando l’attuale  sua direttrice è venuta a chiamare, nella fila dei banchi davanti a me, il suo predecessore Costanzo Colantonio per affidare a lui, la direzione dell’ultimo canto in programma: il «Va pensiero» di Verdi…che è sembrato quasi scortare il tuo volo dalla terra al cielo; il tutto proprio lì, in quella chiesa del Carmelo  dove ti ho visto per la prima volta e dove ho preso la parola per darti pure il mio ultimo saluto. 

Questa lettera che ti ho voluto scrivere la conserverò tra le mie cose come il fiore all’occhiello di questa mia penna per l’italianità. E mi piace terminarla sottolineando che con te se n’è andato un altro tassello di quella ‘gente de crejanza, come dite voi molisani, che va sempre più scomparendo. Con te si è spento  altro di quei bravi lavoratori dei campi che seminano e se ne vanno, per lasciare agli altri i frutti del raccolto. A…Dio Ermanno, cioè arrivederci in Dio e buon viaggio in Paradiso, dove sei andato ad aspettarci e, certamente, a preparare un posto anche per noi …e così  sia!     

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vendredi 3 octobre 2014


GENTE NOSTRA

La testimonianza pro italianità che vi ho dato in lettura nel mio ultimo articolo potrebbe anche essere data per scontata in quanto  il suo protagonista era un emigrante di prima generazione; ragion per cui è normale che il suo sentirsi italiano è una questione di dna. La testimonianza della mia presente chiacchierata, invece, ha come attori principali una giovane coppia di terza generazione che, incredibile ma vero, vivono in famiglia una italianità da non credere; e se ve ne parlo è proprio perché li ritengo un esempio da seguire! Abito in un quartiere centrale di Rivière des Prairies su di una strada alquanto movimentata; sul retro fino a sei o sette anni fa c’era un vasto terreno  incolto dove ora invece si può godere la vista di un bel quartiere residenziale, con al centro un vasto parco da giochi per bambini. Eh sì, quest’area ricreativa per i piccini ci voleva proprio perché i neo residenti della zona sono, per lo più,  giovani coppie che vanno mettendo su famiglia. Abito al terzo piano di un condomio e dalla mia spaziosa terrazza ho potuto seguire passo dopo passo le varie fasi della costruzione e la successiva presa di possesso delle abitazioni da parte dei proprietari.  Le case confinanti col terreno del condomio sono state le prime ad essere abitate e sin dai primi giorni sono rimasto ammirato dal fare spigliato e socievole di una giovane ragazza nostra nuova dirimpettaia. “Quella coppia deve essere di origine italiana” dissi con mia moglie a quei tempi e…non mi sbagliavo perché, infatti, anche lì di fronte a noi  l’italianità la fa da padrona! Un pomeriggio, tornando dal lavoro, trovai mia moglie che parlava confidenzialmente  con la nuova vicina. “Già hai fatto breccia tra i nuovi arrivati!” le feci ironicamente; «È lei che mi ha salutato per prima ed io ho risposto. È figlia di italiani ed è una brava ragazza!»…e, quindi, rifiutare una simile amicizia sarebbe stato un vero e proprio peccato.

Intanto, stando anche ad una vecchia canzone, gli anni son passati, i bimbi son cresciuti e pure noi siamo tutti un pò invecchiati. Quello che è più bello però è che la zona si è arricchita di armonia infantile e pure il parco al centro del caseggiato adesso ha gli assidui frequentatori dei suoi giochi. Ed anche noi, dulcis in fundo, se prima parlavamo solo con Caterina e col marito, ora abbiamo pure i loro radiosi figlioletti Alessandro e Roberto, a mandarci il loro: «Ciao Lina, come stai? Dove sta Peppino?»…e tutto e sempre in perfetta lingua italiana, perché è questo il sine qua non di questa mia chiacchierata. La nostra giovane vicina con i figli e col marito non l’ho mai sentita parlare in francese o in inglese, ma soltanto in italiano: un’italiano così perfetto che non ho mai avuto il coraggio di parlarle dei corsi del Picai; spesso tra me e me penso e rifletto che, se io sono un semplice insegnante di italiano, lei può essere considerata addiritura una maestra di italianità!  Con i  vicini italiani comunque lo parlano l’inglese; ma pure con loro spesso e volentieri li sento utilizzare la madre lingua dei genitori. Un giorno mia moglie le chiese con soddisfatta ammirazione il perché parlasse solo in italiano con i suoi figli; e lei rispose che il francese e l’inglese avevano modo di impararlo a scuola e che intanto era suo dovere impartire loro, almeno in casa, un’educazione tutta all’italiana. Ho sentito un giorno alla radio che già nella scelta dei nostri nomi di battesimo c’è qualcosa del nostro carattere e delle nostre inclinazioni. Ebbene, questa giovane mamma, che in famiglia prova gusto ad esprimersi in italiano, non si chiama Caterina? E santa Caterina non è, guarda caso, la patrona d’Italia? Voglio anche aggiungere che mi sento particolarmente orgoglioso quando in quelle nuove abitazioni lì di fronte al mio condominio  arrivano i nonnini di questi italo fanciulletti a valorizzare ancor più la nostra cultura e le nostre tradizioni. Prima di pubblicare quest’articolo ho telefonato a Caterina per chiederle il permesso di parlare di lei nel mio blog. E, parlando parlando, sapete cosa sono venuto a sapere? Che il nome di suo marito è Ricardo, con una sola «c» perché è nato in Argentina da papà spagnolo e mamma italiana: un altro punto a vantaggio della sua e nostra accattivante italianità, dunque. Non penso, tutto sommato, che questa giovane coppia sia la rara mosca bianca, né l’unica rondine che non fa primavera; ce ne saranno eccome sull’isola di Montreal altri italiani di terza e quarta generazione a sentirsi fieri di dare atto del loro spirito di appartenenza applicandolo con convinzione alla loro duplice identità di italocanadesi.

Detto questo mi sento quasi in dovere di affermare con certezza che il nostro idioma avrà ancora lunga vita: tanti passi ancora da muovere e tanta strada ancora da fare. Se qualcuno non è d’accordo con me, non me lo dica aggi che non condivide le mie idee; venga a dirmelo fra un migliaio d’anni…tutti quegli stessi anni che ci son voluti alla madre lingua latina per trasformarsi in francese, spagnolo, italiano ed altro ancora; perché il cammino del tempo e delle cose non è nel restare quelle che sono, ma nel loro trasformarsi lento e continuo!