mardi 22 avril 2014


                MARCONI  DIETRO  LE  QUINTE

Il  25 aprile 2014 ricorre il 140mo  anniversario della nascita di Guglielmo Marconi: il padre della mitica «scatoletta magica» che ci tiene compagnia giorno e notte, 24 ore su 24. Purtroppo, a differenza di quelli televisivi, gli animatori radio, non avendo l’opportunità di una visione diretta, operano quasi da dietro le quinte, senza potere esser visti e, a volte, senza essere, forse, nemmeno conosciuti. In omaggio a questa miriade di angeli custodi della nostra giornata, in particolare quelli della tricolore Canada’s First Multilingual Broadcaster, mi permetto di presentarvi anche Marconi…dietro le quinte; vi racconterò, cioè, cose sul suo conto che non tutti sanno o che, magari, vengono prese in poca considerazione.

        Innanzi tutto, come si addice ad ogni genio di un certo rispetto, anch’egli era uno di quelli con la testa «fra le nuvole»: era distratto, infatti!  Ve lo immaginate per le strade della Londra di quei tempi, in una giornata piovigginosa, un uomo recarsi nei suoi uffici con in mano un ombrellino da donna? E la moglie osservarlo da dietro la finestra mormorando tra sé e sé: «Ma cosa mi hai combinato mai, Guglielmo? Non ti sei accorto che invece del tuo hai preso il mio ombrellino rosso?». Ed assorto com’era nei suoi pensieri inventivi non faceva affatto caso alle sbirciatine di meraviglia che gli lanciavano, da sotto i loro ombrellini neri, i lord londinesi. Oltre ad essere un autodidatta ed inventore, fu pure un politico e un valido soldato al servizio del fascio. A tale proposito eccovi il parallelo che stabilì tra la sua opera e quella del Duce: «Rivendico l’onore di essere stato in telegrafia il primo fascista, il primo a riconoscere l’utilità di riunire in fascio i raggi elettrici, come Mussolini ha riconosciuto per primo in campo politico la necessità di riunire in fascio le energie sane del Paese per la maggiore grandezza dell’Italia». Ed ecco pure come Mussolini ricambiò tanta stima e tanto onore: “Nessuna meraviglia che Marconi abbracciasse, sin dalla vigilia, la dottrina delle Camice Nere, orgogliose di averlo tra i loro ranghi”.

        Di scienziati che hanno avuto grattacapi con increduli o affaristi senza scrupoli ce ne sono tanti: Galilei e Meucci insegnano! Anche il nostro ebbe i suoi rituali scettici a contraddirlo e a mettergli il bastone tra le ruote. I pescatori della Cornovaglia, per esempio, furono i suoi maggiori oppositori; essi, infatti, giunsero a dire che la sua invenzione andava tolta dalla circolazione «prima che le sue reazioni rovinassero il clima». Ma lo scienziato restò imperterrito e continuò per la sua strada. Il 23 gennaio 1909 il piroscafo italiano Florida, con a bordo emigranti diretti in America, andava a squarciare in due il transatlantico inglese Republic della White Star. Il marconista di bordo Jak Binns azionò il CDQ, l’allora codice di salvataggio, e tutti i passeggeri furono messi in salvo, tranne due che morirono per lo choc. Nel dicembre dello stesso anno, intanto, a Marconi veniva assegnato il premio Nobel per la fisica, mentre i pescatori della Cornovaglia se ne tornavano ad inghiottire  bocconi salati.

        La scienza a volte allontana dalla fede; Marconi, invece, viene quasi a testimoniarci il contrario allorché dichiara che è «contento di essere cristiano». Questa sua contentezza la traduce in pratica impegnandosi in prima persona nell’installazione, sotto il pontificato di Pio XI, di quella che ancora oggi è la radio vaticana. Il 29 febbraio del 1931, mettendo in comunicazione il papa con le riceventi di New York, Melbourne e Quebec, si onorava di dire: «Con l’aiuto di Dio che mette a disposizione dell’umanità tante forze misteriose, sono riuscito a preparare questo strumento che darà ai fedeli del mondo intero la consolazione di ascoltare la voce del Santo Padre»; e subito dopo, erano le 16 e 49, Pio XI impartiva la benedizione urbi et orbi per la prima volta via radio! Dopo di che Marconi concludeva la trasmissione con queste parole: «Per circa venti secoli il Pontefice Romano ha fatto sentire la parola del suo divino magistero nel mondo, ma questa è la prima volta che la sua viva voce può essere percepita simultaneamente su tutta la faccia della terra». «La tua fede ti ha salvato»: diceva a volte Gesù ai suoi miracolati…non sarà stata appunto la fede a salvare Marconi dal naufragio del Titanic? Datemi la risposta dopo aver letto quanto segue! Su quel transatlantico doveva esserci pure lui che però, per un fortuito contrattempo, partì qualche giorno prima per New York su di un’altra imbarcazione! Erano gli anni in cui, tra pro e contro, il tradizionale CDQ andava sempre più cedendo il posto al «salvagente» SOS di più rapida digitazione: se ci fosse stato bisogno di azionarlo, sul Titanic ci avrebbe pensato il fidato ed esperto marconista Harold Bride…e il caso si presentò e le tre miracolose lettere salvarono circa 700 anime! Ad accogliere i superstiti nel porto di New York c’era pure Marconi che, forse dopo aver rigraziato il cielo per lo scampato pericolo, diceva: «Vale la pena di aver vissuto per aver dato a questa gente la possibilità di essere salvata».

        Se la radio dovesse interrompersi anche per un solo secondo, quell’attimo sembrerebbe un’eternità; il 20 luglio del 1937 tutte le emittenti del mondo osservarono ben due minuti di silenzio: si era spento il grande Guglielmo Marconi…un connazionale di cui andare veramente fieri!       

vendredi 7 mars 2014


GENTE   NOSTRA

     Qual’è il ricordo più bello della vostra vita di italo emigranti? A parte quello indimenticabile del giorno in cui mia moglie ed io convolammo a nozze, vado a raccontarvi uno dei miei e vi assicuro che il calamaio in cui ho intinto la mia penna questa volta è uno di quelli dove si trova ancora inchiostro doc, ovverosia di una italianità verace. Detto ricordo è legato ad una persona che ha fatto brillare un forte raggio di italianità nella mia mente allorché ero ancora un fresco emigrante. É un raggio di italianità che continua ad illuminare il mio cammino di italocanadese e cerco di trasmetterlo a mia volta, da buon insegnante, anche nell’animo dei miei studenti…particolarmente, per ovvie ragioni, in quelli di quinta media che, con una lacrimuccia di commiato, saluto con questo consiglio: «Siate sempre fieri di essere dei canadesi di origine italiana!». 

     Ma ecco come si svolsero i fatti. Nel 1976 mia moglie ed io decidemmo di prendere la cittadinanza canadese..per poter partecipare attivamente a tutti gli obblighi politico-sociali di questo paese che avevamo scelto come seconda Patria. Ne facemmo domanda presso gli uffici competenti, ci furono consegnati degli opuscoli da studiare e ci fu dato appuntamento per la tale data e ad una determinata ora presso lo studio di un giudice di pace. E fu così che, nel giorno e all’ora stabilita, ci recammo puntuali al desiderato incontro. Venimmo ricevuti da una distinta signora che sin dal primo sguardo ci ispirò fiducia e simpatia; ci accolse con un bel sorriso di benvenuto e ci invitò a sederci dinanzi a lei. Cominciò ad esaminarci e, di tanto in tanto che lei si fermava per prendere appunti, noi esaminandi parlottavamo tra noi in italiano. Finito l’interrogatorio, svoltosi naturalmente in lingua francese, ci fece mettere una firma sui documenti dovuti e, congratulandosi con noi, si disse soddisfatta di essere stata proprio lei a conferirci la cittadinanza canadese. A quel punto ci stavamo alzando per andarcene...quando lei: «Oh no, -ci disse in lingua italiana- restate pure seduti. Adesso, che la prassi è finita, nessuno ci impedisce di scambiarci due parole nella nostra lingua madre!». E ci intrattenne per una buona mezz’oretta a parlare del più e del meno e di questo e di quest’altro; e da dove venivamo e quali fossero le nostre esperienze di vita o professionali; e di cosa facevamo e quali fossero i nostri progetti qui in terra canadese. Dopo di che, accompagnandoci alla porta del suo studio e accommiatandosi da noi, soggiunse: «Anche  se ora siete divenuti cittadini canadesi, continuate ad essere sempre fieri di essere italiani!».

     Suppongo che non fummo i soli italiani a passare per quel suo ufficio per ottenere la cittadinanza o per altri motivi; e immagino pure che quel patrio consiglio l’abbia seminato, quasi raggio di italianità, nella mente e nel cuore di molti di noialtri italiani all’estero. Questa insigne signora della comunità italiana di Montreal purtroppo non l’ho più rivista, ma sono sempre rimasto affezionato a quella sua singolare raccomandazione. Dirò di più, man mano che gli anni sono passati il pensiero di poterla incontrare di nuovo si è sempre più impossessato di me fino a divenire quasi una specie di «speranza in una carrambata». Questo mio sogno, purtroppo, l’ho dovuto chiudere definitivamente a chiave nel cassetto alcuni anni fa quando, attraverso la CFMB e i settimanali in lingua italiana di Montreal, venni a sapere che era deceduta, in veneranda età, una certa signora Maria Marelli, benemerita della Casa d’Italia; era morta Maria Marelli che nel corso della sua vita aveva esercitato pure la professione di «giudice di pace». Era dunque lei la distinta signora che in quel lontano 1976 diede un indirizzo ben preciso alla mia vita di italo emigrante!

     Non sarà che, forse, anche ciascuno di noi diventi, a volte, una magica bussola di orientamento per chi ci sta intorno? Attenti quindi a ciò che diciamo e a ciò che facciamo, cercando di non parlare bene e razzolare male! Ciò premesso mi permetto di condividere con voi una  massima che partecipo immancabilmente ogni anno, da buon educatore della loro italianità, ai miei «nipotini del sabato mattina»: «Molte persone entreranno ed usciranno dalla tua vita; ma solo un vero amico lascerà una traccia nel tuo cuore»…ed aggiungo che per ognuno di loro, e a questo punto anche per ognuno di voi, mi auguro di essere una di queste preziose persone che illuminano inconsapevolmente il cammino di chi, magari segretamente,  li ammira al punto da considerarli modelli da seguire, se non addirittura maestri di vita! 

 

jeudi 13 février 2014


LA   SAN  VALENTINO

     Il mese di febbraio è il mese dell’amore, quel nobile sentimento che un prezioso granello di saggezza vuole che sia la cosa più bella che la vita può offrirci e che, in cambio, anch’esso la ridona a sua volta tramite l’unione di un uomo con una donna; ed allora riscaldiamoci gli animi meditando sulla San Valentino che festeggiamo giusto al mezzo del mese più corto dell’anno.  Ma, detto per inciso, è anche una festa da orgoglio gay?

     A voi l’ardua sentenza!

     Da parte mia mi impegno a parlarvi della festa di tutti coloro nel cui cuore arde la fiamma dell’Amore, con la A maiuscola...anche nel rispetto di ogni giusto accomodamento ragionevole (ammesso che ce ne possa essere).

    Venendo a noi, la San Valentino è un raggio di luce squisitamente italiana che affonda il suo primo riverbero su nel tempo, sin dai giorni dei nostri padri latini della Roma eterna. In quella notte dei tempi erano soliti festeggiare il dio Lupercus con un rito tutto speciale. Un bimbo sceglieva il nome di alcune donne e di altrettanti uomini che avrebbero vissuto in intimità di coppia per tutto l’anno onde assicurare la fertilità della popolazione. Il dio Lupercus era appunto il protettore dei focolari e delle donne incinte. In seguito, col propagarsi del cristianesimo, si cercò di sostituire le ricorrenze lupercali con una festività religiosa ad esclusivo indirizzo degli innamorati. Naturalmente ci voleva un santo adatto allo scopo e la scelta cadde su San Valentino sia perchè la sua festa coincideva con il periodo delle lupercali, sia perchè nella sua vita si era dedicato a far nascere amore nei cuori giovanili o a rimettere in equilibrio gli amori vacillanti o in pericolo di sfasciamento.

     Tanto per cominciare, è dovuta proprio a lui la frase conclusiva, «dal tuo...», di tante missive, specialmente se sono lettere d’amore; ed eccone il perché. Durante la sua prigionia si era molto affezionato alla figlia cieca del suo carceriere Asterius. Allorché venne portato alla decapitazione mandò un pensiero d’addio alla fanciulla, a cui aveva ridato la vista,...e detto messaggio terminava, appunto, con la formula, divenuta in seguito quella formale di ogni scritto del genere che si rispetti, «dal tuo Valentino».  Si narra, poi, che, vedendo due fidanzati litigare, offrì  loro una rosa con la raccomandazione di tenerla stretta fra le loro mani unite...ed essi si riconciliarono. Ma eccovi anche un’altra delle sue «trovate» che ha lasciato una profonda traccia nella terminologia amorosa. Per far rinascere l’amore negli animi di un’altra coppia, che si stava «scoppiando», fece volare al di sopra delle loro teste alcune coppie di colombi che svolazzando a festa si scambiavano effusioni d’affetto. E da dove può avere avuto origine l’espressione «tubare come piccioncini» o “tubare come colombe”, se non proprio da questa geniale intercessione pro-amore prettamente sanvalentiniana? A proposito di trovate, ve ne aggiungo una che mi è stata raccontata una volta e che mi è rimasta sempre impressa nella mente. San Valentino, in questo benedetto mondo ormai tutto motorizzato, può essere considerato addirittura il protettore dell’automobilista prudente, di quello cioè che « va...lentino»!

     Ed ora, per accommiatarmi da voi in modo valentinianamente formale, auguri a te innamorato che mi leggi…«dal  tuo» Giuseppe   

 

 

 

 

lundi 27 janvier 2014


LA SETTIMANA  ITALIANA

     Farei un torto a te, mia gente, se, onorandomi di essere un «italiano vero», non spendessi due parole per la Settimana Italiana di Montreal organizzata dal Congresso Nazionale degli Italo Canadesi.  E siccome il cuore non me lo dice di darti un simile dispiacere, eccomi qui ad illustrare la 20ma edizione -quella targata 2013- di questa encomiabile manifestazione italian stile. Folclore, colori, note e sapori del nostro suolo nativo, ma lontano: valori umanamente sentiti e nostalgicamente trapiantati in terre straniere. Fede, arte, cultura, cucina, amor Patrio: valori ancestrali partecipati e condivisi con gente di ogni dove! Questa tradizionale Settimana Italiana è una grande festa annuale; è una sentita celebrazione di charme, carattere e cultura di un avvenimento tutto nostro che pervade l’aria di un’atmosfera che si tinge di verde, bianco e rosso; è il fascino delle nostre tradizioni e, al contempo, l’affermazione del nostro presente che, quasi raggi ventenni di una italianità maestosa e trasparente, illuminano di azzurro i cieli che sovrastano il San Lorenzo!

        Frugando nei ricordi del suo passato, molti sono i luoghi e i punti nevralgici della città da dove noi italiani abbiamo partecipato, lungo gli anni, la nostra gioia, la nostra simpatia e la cultura del nostro savoir faire tramite questo completo modo di esprimerci. Oltre ai quartieri di maggior impronta italiana, spesso e volentieri siamo stati ospitati pure dalla caratteristica e storica zona del Vecchio Porto di Montreal. Naturalmente i punti di maggior partecipazione festiva sono stati sempre la Piccola Italia, la Casa d’Italia, il comune di Saint Leonard e, dal 2000 in poi, il nuovo Centro Comunitario Leonardo da Vinci, senza trascurare i vari centri parrocchiali che si associano di buon grado ai suddetti festeggiamenti tramite le loro annuali feste patronali o  religiose. Da sottolineare, poi, che da alcuni anni a questa parte la Settimana Italiana va facendo sua pure una politica di sviluppo sostenibile; è già da un triennio, infatti, che si implica nel rispetto dell’ambiente adottando misure ecologiche eque e sostenibili  appunto.

        L’ultima edizione, quella del 2013, la ventesima come già detto, si è svolta, udite udite, nello spirito Patrio delle tanto decantate, attese ed antiche «feriae Augusti»: iniziata il 9 e terminata il 18 la nostra policroma e poliedrica Settimana è stata celebrata in pieno «ferragosto»! Piccola Italia, Saint Leonard, Notre-Dame de Gràce, La Salle, Rivière des Prairies, queste le zone cittadine maggiormente coinvolte nei festeggiamenti dove artisti, cantanti, comici e gruppi folcloristici (come gli Azzurri e le Stelle Alpine…mi astengo dal fare altri nomi perché senza dubbio ne dimenticherei qualcuno) hanno dato spettacolo ed hanno intrattenuto la gente in aromonia e lieta compagnia. Da visitare e da vedere ci sono state le Fiat 500, i chioschi delle varie regioni italiane, i disegni del concorso «Il piccolo Leonardo» che proponeva -come tema ai pittori in erba- l’Emila Romagna, torneo di bocce, proiezioni cinematografiche, concerti vari, incontri letterari ed altro ancora…senza dimenticare naturalmente i fuochi d’artificio. Numerosi anche gli sponsor, pubblici e privati, che hanno reso il tutto possibile grazie al loro contributo e attraverso il loro sostegno.

     Intanto, in questa 20ma edizione la S.I. ha marciato a «ritmo di Risorgimento»: nel 200mo anniversario della nascita di Giuseppe Verdi il CNIC, sotto la presidenza di Pino Asaro, ha voluto rendere omaggio alla regione del cigno di Busseto e, quindi, all’Emilia Romagna; e si è pensato ad onorare pure altri insigni talenti emiliani come, ad esempio, il grande Fellini con rassegne cinematografiche, come pure il poeta Tonino Guerra con una conferenza su di lui. Complice infine la clemenza meteorologica, che ci ha regalato un bel tempo, riuscitissima anche la «sfilata di moda sotto le stelle» la cui passerella ha avuto luogo sabato 17 alle ore 22: colori e disegni proposti da creatori di moda italiani; stile ed eleganza abbinati a collezioni di gusto e raffinatezza. Il tutto è terminato in armoniosa bellezza e a suon di note domenica 18 quando alle ore 21 il maestro Gianluca Martinenghi dava inizio all’esecuzione della Traviata del grande Giuseppe Verdi. Massiccio afflusso di pubblico: le 500 mila presenze dello scorso anno sono state ampiamente battute; e questo dato di fatto, lusinghiero segno di buon’auspicio, già fa volgere l’occhio a quella di questo 2014 allorché detta “sagra dell’italianità” farà registrare la sua 21ma edizione!

     Da quel  bravo italiano che mi onoro di essere, vi invito quindi, sin da ora, a parteciparvi  numerosi.       

 

 

dimanche 5 janvier 2014


LA  CASA  D’ITALIA

 
       Non sarei un «italiano vero», né questi miei scritti sull’italianità sarebbero completi, se non ne dedicassi uno alla Casa d’Italia! Inaugurata il primo novembre del 1936 è ancora lì, sulla Jean Talon, a parlare del nostro passato, a vivere il nostro presente, a sperare un futuro con chi verrà dopo di noi. Eretta lì nella Piccola Italia, la culla storica della nostra comunità, diviene la secondogenita della nostra gente in terra canadese. Di conseguenza si affianca alla Madonna della Difesa come seconda pietra miliare lungo il nostro cammino emigrante qui a Montreal; baluardo di solenne maestosità è ferma lì a testimoniare negli anni e nei secoli l’impronta laboriosa della nostra etnia in un Paese a sfondo altamente cosmopolita.

Il taglio del nastro inaugurale della sua apertura avvenne nel giorno di Ognisanti di 78 anni fa. I nostri padri ne fecero subito la loro «casa» ed essa divenne immediatamente la «casa di tutti gli italiani», nonché la sede di incontri ed attività socio-comunitarie: feste, banchetti, matrimoni, riunioni, esposizioni, ritrovo per balli, cinema ed altro ancora. Ne va da sé che, soprattutto a quei tempi di prime ondate migratorie, la  Casa d’Italia giocava un ruolo importantissimo nel consentire i legami con la Madre Patria e nel favorire un giusto inserimento in quella adottiva; fungeva pure da centro di assistenza per gli immigrati e dava un appoggio a persone e famiglie in cerca di un lavoro. La sua progettazione, costruzione ed inaugurazione avvenne nel 1936: del periodo storico che fece da sfondo ai suoi natali ne fa fede un fascio littorio sul frontespizio di questo superbo edificio che, al tempo, fu un faro di attracco nonché di varo…di tanti sogni! La Casa d’Italia, oggi come oggi, ha cambiato volto, si è ringiovanita, è stata rinnovata, è stata ambliata, le sono state assegnate nuove mansioni, è stata messa…al passo coi tempi; è stata anche ribattezzata col nome di «Centro Comunitario della Petite Italie-Casa d’Italia»! É stata presentata nella sua struttura aggiornata alcuni anni fa in occasione del suo 75mo anniversario di fondazione che coincideva, giusto sottolinearlo, con il 150mo «compleanno» dell’Unità d’Italia.  Ma vogliamo dare  uno sguardo alla funzione che è stata programmata per i suoi vari settori in conseguenza della suddetta ristrutturazione? Giù nel sottosuolo archivio e biblioteca, centro per corsi di culinaria, sale per corsi di lingua e cultura, piccolo teatro per assistere a proiezioni e conferenze. Al primo piano, dove si può accedere anche da un ingresso aperto sulla strada Berri, là dove prima si davano feste e banchetti, ora c’è un grande teatro per cerimonie ufficiali e spettacoli; uno spazio «eco museo»; una sala della memoria; uno spazio, con pavimento decorato da significativi medaglioni, per esposizioni di un certo rilievo. Sul pavimento dell’atrio dinanzi alle due porte del grande teatro, una scritta recita: «Va il pensiero alla terra degli avi, alla terra esalante i miei sudori, segnataria di un malvagio destino. Un treno mi strappò via lontano, una nave mi battezzò d’angoscie e gettò l’ancora della mia miseria su questa terra di solitudine. Ma per la forza donde mi nutristi, ai miei fedeli rampolli trasmetto il mio nome e della Patria i valori. Mia terra, erede dei tuoi successi, ormai da te per sempre lontano, del tuo popolo e del tuo passato in questa casa l’orgoglioso testimone rimango». Tornando alle esposizioni, sapete quale è stata la prima esposizione avutasi nella così rinnovata Casa d’Italia? Le traglie della «Sagra del grano» della Sant’Anna di Ielsi! Sempre lì a poca distanza, e sempre nel cuore della Piccola Italia come già detto, c’è pure la Madonna della Difesa; e chi furono a darle proprio questo nome? Guarda caso…ancora dei molisani, questa volta  di Casacalenda! Il piano superiore, infine, è stato adibito ad uffici: sia della stessa Casa e sia di Associozioni ed Enti vari. A richiesta delle Associazioni Molisane del Canada, non c’è due senza tre, la Fonderia Pontificia Marinelli di Agnone ha dedicato una campana a «quanti, con coraggio e sacrificio, nei primi anni del ‘900, si sono allontanati da affetti e radici per intraprendere il duro cammino dell’emigrazione». Detta campana emetterà i suoi nostalgici rintocchi dalla Casa d’Italia a cui è stata donata; ha un diametro di 35 cm e si fregia di un logo dei 75 anni della Casa e di uno dei 150 anni dell’Unità d’Italia; essa ricorda pure i 50 anni della Lega Agnonese e, intorno alla base, reca le sigle di tutte le regioni del nostro stivale.

Dire futuro vuol dire, in un certo qual senso, rivolgersi ai giovani; ed è appunto con essi che intende «dialogare» la Casa d’Italia ora che si è data una nuova veste, ora che si è assunta una diversa missione da svolgere, ora che ha pure una campana per scandire le ore di un tempo passato…e trasmetterne i rintocchi in uno a venire.   Stando a quanto detto da alcuni responsabili dello stabile, «La Casa d’Italia vuole essere il luogo della memoria della nostra comunità, il luogo dove ritrovare e conservare l’essenza, le radici della comunità italiana di Montreal». Ed inoltre: «Abbiamo un obbligo verso le generazioni future: quello di conservare una massa critica di documenti, foto, lettere, oggetti particolari affinché questi possano essere utili agli studenti, ai ricercatori, ai turisti, alla comunità, alle istituzioni, a ciascuno di noi, per conservare i momenti e le vicende della nostra integrazione anche se a volte difficile e penosa».  La nostra Casa d’Italia è cresciuta e si è ingrandita per adeguarsi alle mentalità sociali che vanno sistematicamente cambiando; ma rimane sempre lì a darci orgoglio, ad inculcare emozioni, a raccontare una lunga e gloriosa storia che appartiene anche a te e a me e che pure i tuoi e miei figli continueranno a scrivere! Con un rombo metallico simile a quello delle trombe  di quei bastimenti che dai porti italiani salpavano alla volta di Halifax, la Casa d’Italia, in occasione del gala del suo 76mo -personalità della serata, la leggenda della musica, Frank Pavan-, ha intrapreso un nuovo cammino «a bordo» della memoria in un viaggio tra i ricordi del passato. Nel 2012 ha ricordato la «partenza», nel 2013 l’«arrivo», in questo 2014 l’«integrazione» e poi altro ancora…di tutto quello che come gruppo comunitario abbiamo edificato a Montreal noialtri italiani dai primissimi tempi dell’emigrazione ai giorni nostri.  Che emozionante nodo alla gola dovette essere la rievocazione di quelle partenze per il «ragazzino» di 105 anni –anche lui lì presente come ospite d’onore- Michele Lanese che quel rombo di tromba, forse, lo portava stretto nel cuore da circa un secolo! Dal 2012 un’altra pietra è giunta a consolidare la nostra casa; al suo ingresso, infatti, si potrà ammirare d’ora in poi una scultura, opera del casacalendese Egidio Vincelli, in memoria degli italo-canadesi internati nei campi di concentramento di Petawawa, in Ontario, durante la seconda guerra mondiale.

P.S. Purtroppo Michele Lanese è scomparso qualche anno fa.

 

 

 

 

 

 

jeudi 12 décembre 2013


 
 
IL PRIMO NATALE CON PAPA FRANCESCO 
     

      Dire Natale è dire Betlemme; dire Betlemme è dire presepio, è dire Greccio, è dire san Francesco. Dire Fracesco, da marzo a questa parte, è dire ritorno della Chiesa alla vita evangelica del Cristo in terra…incarnato oggigiorno da papa Bergoglio, dal vescovo di Roma, dal primo papa di nome Francesco con cui festeggiamo, quest’anno per la prima volta, il Santo Natale! Papa Francesco: il terzo papa ad essere stato riconosciuto «uomo dell’anno». Ecco ciò che scrissi di lui alcune settimane dopo la sua elezione al sommo Pontificato della Chiesa Cattolica.

 (aprile 2013)        Eccomi a voi con un raggio di italianità che ci arriva, ancora una volta, da lontano. Ad andare a cercarlo lì, in terra argentina, sono stati i porporati di Santa Romana Chiesa, riuniti in conclave per eleggere il 266mo successore di San Pietro e colmare il vuoto della sede vacante lasciato dal papa emerito Benedetto XVI. Martedì 12 marzo di pomeriggio: fumata nera; mercoledì 13 marzo di mattina: fumata nera; mercoledì 13 marzo di pomeriggio: fumata bianca…e l’attesa è divenuta realtà! Una realtà tanto lontana dai pronostici, quanto più vicina al cuore della gente di tutti i giorni e alle speranze dell’intero universo. Un raggio di italianità che viene quasi “dalla fine del mondo”, ma eccolo lì a benedire, per la prima volta, i fedeli gremiti in piazza San Pietro, in via della Conciliazione e in ogni altra parte del globo. É il cardinale di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, “qui sibi imposuit nominem Franciscum”: mai nessuno prima di lui aveva scelto il nome del poverello di Assisi; mai nessuno prima di lui aveva scelto il proprio nome in onore della sua terra di origine; mai nessuno prima di lui era venuto da fuori dell’Europa; mai nessuno prima di lui era stato figlio di emigranti; mai nessuno prima di lui si era espresso nella sola lingua italiana; mai nessuno prima di lui aveva avuto la possibilità di vedere un altro papa e di pregare fianco a fianco con lui; ciò premesso  il neo eletto vescovo di Roma, come gli è piaciuto definirsi, possiamo considerarlo anche come il pontefice dei primati.

       «Cari fratelli e sorelle, buona sera!» e  sembra che da quella finestra si sia  già da tempo sempre affacciato; ed immediatamente, col suo sorriso schietto e sincero, è entrato nel cuore di tutti e nelle case di ognuno…più con la sua umanità che nel suo ruolo di pontefice! Proprio con sincero spirito di umiltà il giorno di Pasqua ha dato una mano ai poveri: «Pace al mondo che soffre per troppe ingiustizie. Curare le nuove piaghe che affliggono la terra, come la nuova schiavitù nella tratta delle persone». Senza puntare il dito contro nessuno ha già intonato, sia pure in sordina, la sua antifona verso potenti,  gente senza scrupoli e male intenzionati che, naturalmente, faranno orecchio da mercanti; se sulla terra, infatti, tutto cominciasse finalmente ad andare per il meglio…non morirebbe pure la speranza in un mondo migliore? Ricordate papa Albino Luciani? Sin dal suo primo discorso ebbe a reclamare una «giusta mercede per l’operaio»; sfortunatamente per la classe operaia, lo vedemmo sedere sul trono pontificio solo per 33 giorni! Omne trinum est perfectum: e tre sono state le fumate della sua elezione; e tre sono pure le persone della S.S.Trinità che è sembrato proprio avere aleggiato sul collegio cardinalizio nella scelta  dell’attuale vicario di Cristo. La saggezza umana aveva pronosticato ben 10 papabili, ma tutti e 10 hanno confermato la regola del “chi entra papa esce cardinale”; a nessuno dei pronosticanti era passato per la mente che, nel conclave che solo otto anni fa aveva dato alla Chiesa il papa emerito Benedetto XVI, ad avere più preferenze  subito dopo Ratzinger era stato un certo cardinale Bergoglio! E c’è qualcosa di soprannaturale pure nella scelta del suo nome. Un cardinale, appena constatato che Bergoglio aveva ottenuto il numero di voti necessario all’elezione, avvicinandosi gli aveva consigliato di ricordarsi dei poveri; uno dei tanti in piazza San Pietro, complice uno striscione in eligendo pontifice, suggeriva appunto il nome del poverello d’Assisi; con generale meraviglia a dare la sua prima benedizione Urbi et Orbi non è stato, guarda caso, proprio papa Francesco? Il primo papa che, prima di benedire il mondo intero, chiede una preghiera per lui stesso facendo osservare un attimo di silenzio all’immensa folla sottostante; il papa dal saluto più umano e cordiale che ci sia: buona sera, buon giorno, buon pranzo!

       Jorge Mario Bergoglio si è appena affacciato alla finestra del palazzo apostolico e ha già fatto capire che cerimoniale e protocolli possono benissimo essere messi da parte perché il vero pastore è quello che sta in mezzo alle sue pecorelle, dentro e non fuori dall’ovile; a guisa di un semplice parroco di provincia, dopo la Santa Messa, esce fuori dalla basilica e saluta i suoi parrocchiani uno per uno; percorrendo la piazza saluta, tocca, abbraccia, bacia bambini e gente malata; alcuni pellegrini, suoi compaesani, lo chiamano…scende dalla papa-mobile e va a stringere loro la mano; un papa che col suo spontaneo ed imprevedibile fare si è conquistato una tale carica di simpatia da essere considerato il papa di ogni singola persona; un papa che resta un uomo in veste di grande tenerezza; un papa che ha incoraggiato l’umanità a non perdere la speranza e supplicato i giovani a non lasciarsela rubare; un papa tanto umile e alla buona che così non se ne era mai visto prima; un papa che ringrazia spesso i giornalisti per il loro impegno nella rapida diramazione anche dei suoi impegni pastorali! A questo punto mi permetto di suggerire qualcosa onde rendere ancora più perfetta tanta sua perfezione fin qui descritta; da giornalista privato di articoli inediti, a somiglianza di quell’uno dei tanti della pre-elezione, mi metto ad agitare da questo mio angoletto uno striscione con su scritto in caratteri cubitali il serafico  «PACE E BENE» di francescana memoria. Se uno di questi giorni, in uno dei suoi angelus domenicali, papa Francesco avesse a proferire un simile saluto…ve lo immaginate l’urlo di gioia che in piazza San Pietro saluterebbe colui che è stato definito «il papa del popolo», il sommo pontefice che sin dai suoi primi contatti col mondo intero ha già dato un’impronta di serafica trasparenza all’immagine della Chiesa cattolica?!

p.s. Il papa, che è già entrato nel cuore di tutti gli uomini, riuscirà a toccare anche quello di coloro che regolano le sorti dell’umanità intera con la sua enciclica ‘Evangelii gaudium’?                                                                  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

mardi 19 novembre 2013


LUCIO: UN TESORO D’ALTRI TEMPI





In via di massima quasi tutti pensiamo che, per essere felici, dobbiamo avere il molto, il meglio, il tanto, il non plus ultra…spesso e volentieri andiamo cercando anche il «nuovo» perché il «vecchio» non dà più soddisfazione. A ben pensarci, per essere veramente felici basterebbe sa-per-si accontentare del poco e, magari, anche del «vecchio». Ma  una  simile sag-gez-za, purtroppo, non è alla portata di tutti!

          Annetti fa, dopo una trentina d’anni sposati, mia moglie ed io trovammo quasi «passata di moda» quella mobilia, in vero legno italiano di zecca, comprata allorché convolammo a giuste nozze. Intanto, riflettendoci su, pensammo: «Ma perché cambiarla con una moderna: più vistosa sì, ma forse pure meno sostanziosa?». E fu così che decidemmo di mettere a nuovo il vecchio che…ancora oggi chiunque viene a farci visita ci apprezza e ci invidia. In un mondo sempre all’avanguardia, con l’occhio sempre volto alla firma di grido -non importa se ottimo o scadente il prodotto- fortunatamente c’è ancora chi nutre e coltiva il gusto del…passato di moda o delle cose di una volta. Infatti, in ogni centro d’acquisti che si rispetti, non manca mai la caratteristica boutique dell’antiquario tutta piena zeppa di cianfrusaglie dei tempi andati. Magari quante volte, andando in vacanza in Italia, la gente emigrante se ne torna qui con qualche «vecchio ricordo» di famiglia? Forse lì quell’oggetto non è nemmeno calcolato; ma qui invece, ripulito e rinnovato, fa ancora la sua magnifica figura…oltre a tenerci nostalgicamente legati a tanti affetti dei giorni andati. A parte questo anche qui, gironzolando per le strade soprattutto in centro città, abbastanza spesso il tuo sguardo viene attratto da qualche vetrina di un sottoscala dove il vecchio la fa da padrone. E a volte la curiosità si impossessa di te e magari ti spinge a visitare quello scandinato pieno di singolari cimeli rimessi a nuovo con grande esperienza e tanta pazienza.

          Qui a Montreal c’è qualcuno che di quest’arte della «restaurazione» se ne è fatta quasi una ragione di vita. É Lucio Visconti, collezionista e restauratore di oggetti antichi. Uno di quelli che conoscono «l’arte di apprezzare le cose»; uno di quelli che con la loro arte sanno stabilire un giusto rapporto tra il passato e il presente; uno di quelli che sono capaci di «dar vita alle nature morte» rendendo prezioso, con un semplice ritocco, un oggetto di ieri; uno di quelli dotati di idee tanto geniali che, partendo dal poco, riescono a dare molto, riempiono lo sguardo, saziano lo spirito, creano quella contentezza che rende veramente felici! Tutto questo Lucio l’ha realizzato sulla rue Sint-Denis, in un piccolo locale, ora chiuso, che portava il nome di «Trésors d’Autrefois». Un locale piccolo sì, ma pure ricco, come recita la sua insegna, di grandi tesori; uno di quei piccoli locali che, pur ricchi di tanti tesori, non sempre attirano l’attenzione dei tanti passanti che abitualmente tirano innanzi senza prestare ad essi la dovuta attenzione. Ma non tutti comunque, perché fra quelli, molti o pochi che si voglia, che lo hanno preso in considerazione, qualcuno si è soffermato passandogli davanti, si è incuriosito, è entrato dentro ed è rimasto ammirato da quella miriade di, è proprio il caso di dire, tesori nascosti! Questo qualcuno è Rocco Simone che, rimanendo impressionato da quello stile di vita, lo ha voluto immortalare in un documentario intitolato appunto «Lucio, un tesoro d’altri tempi». Geniale, allora al pari di quella di Lucio, pure questa stupenda idea di Rocco: partendo da quel semplice tenore di vita di un artigiano restauratore, ne ha fatto un lavoro cinematografico gratificante pure tanta gente emigrante che, accontentandosi delle cose semplici e costruttive, è riuscita a dare una luminosità tutta particolare all’immagine italiana in terra canadese. Come suol dirsi, non c’è due senza tre. Ed allora mi permetto di portare alla vostra attenzione una terza idea geniale degna di encomio. L’idea in questione, questa volta, è quella che hanno avuto congiuntamente il Comites e la Dante Alighieri di Montreal. Una bella iniziativa che è venuta a rallegrare alcune ore della nostra giornata proponendoci il lancio del film di Rocco Simone sulla vita di Lucio Visconti al Centro Leonardo da Vinci, mercoledì 13 novembre 2013. Alcune ore dense di riflessioni e buon umore durante le quali Lucio, più di una volta, mi ha riportato alla mente Roberto Benigni.















Rocco Simone e Lucio Visconti, in un momento della serata al centro Leonardo da Vinci

Procedendo con ordine, Rocco Simone in un documentario ci narra assieme al protagonista la giornata di un esperto e geniale restauratore di vecchi oggetti a cui, del continuo rinnovamento sociale,…poco gli cale! Nemmeno il giovane amico Martin riesce a convincerlo che, se vuol fare affari, deve cambiare sistema…deve adeguarsi ai tempi! Niente da fare: Lucio a quel «posto al sole», pieno zeppo di cimeli e di vecchie cose, non darà mai un nuovo aspetto. Detto per inciso, sapete chi tiene compagnia a Lucio in quel suo regno surreale? Un canarino tutto giallo che, forse, gli riporta alla mente i voli degli uccelli della torre medioevale di Riccia, un paesino in provincia di Campobasso, da cui il nostro ex professore universitario, ora in pensione, proviene. E, a ricordargli la Patria lontana, nel negozio di Lucio non vi hanno fatto capolino pure due turisti italiani? Lo hanno scoperto e gli vengono a fare visita ogni volta che tornano a Montreal perché per essi “Montreal è Lucio”; e tornando  non se ne vanno mai senza un aggeggio restaurato dal loro amico montrealese: emigrazione di ritorno anche questa! Intanto nella vita di Lucio nasce una nuova amicizia: è il giovane  Rocco che viene quotidianamente a trovarlo e a dargli un colpo di mano sia per portar fuori dal buggigattolo gli articoli da mettere in vista sulla strada e sia per aiutarlo a prendere qualche oggetto posto in alto sulle pareti del negozio; vedendolo fare acrobazie in cerca di uno di questi oggetti, “Mò va a finire che cade!”…mi sono detto, a volte, durante la proiezione. Lucio non l’ho visto cadere, ma i suoi sogni hanno dovuto fare i conti con la dura realtà del commercio e sono stati tristemente inghiottiti dalle esigenze del progresso. Fattore questo che ha dato spunto a Lucio di creare, con ironica rassegnazione, pure una canzone: «Good bye, au revoir, ciao-ciao».  In un mondo che avanza a passi sempre più da giganti verso il succeso, cosa può un uomo, sia pure positivamente fuori dall’ordinario…dal comune…dalla norma, se qualche sua idea resta fissa al passato? Cosa può aspettarsi dalla vita, uno di questi saggi incompresi? Nulla…meno male che ci ha pensato Rocco Simone a rendere immortalare Lucio Visconti, visitando e prendendo appunti a mò di diario nella sua bottega!

Nei commenti del dopo-filmato il dito nella «piaga» lo ha messo l’amico e invitato d’onore Eduardo Roda, facendo notare che Lucio ha operato in un quartiere popolare, dove il negozio dell’antiquariato non serve una clientela raffinata; ragion per cui si è dovuto accontentare delle visite di giovani coppie e di gente non troppo facoltosa. Un’altra invitata d’onore, suor Angèle, la nota «restauratrice» di tanti sapori della buona cucina italiana, ha posto l’accento sull’attaccamento di Lucio alle sue radici; nostalgico sentimento che ha dato soddisfazione a lui e onore alla sua terra di origine. Mi unisco a lei negli  elogi a Lucio e nell’augurio a Rocco: che questo suo documentario faccia veramente il giro del globo! Peccato che, per   impegni sociali già presi in precedenza, son dovuto salire in fretta e furia al terzo piano del Centro Leonardo da Vinci quella sera lì…avrei proprio voluto conoscere più da vicino sia  Lucio che  Rocco.