mercredi 23 mars 2016


ANCHE  QUESTA  È  AMERICA ©

(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)

LA DELUSIONE

       Correvano i tempi in cui l’economia del paese, seppure potesse considerarsi stabile, faceva registrare un’alternanza di alti e bassi, fortunatamente coi primi in leggero vantaggio sui secondi. Nella manifattura di Giuseppe, cioè in quella dove lavorava beninteso, i mesi di massima produzione erano quelli primaverili ed estivi. In autunno avanzato, infatti, già si avvertivano i sintomi delle vacche magre e, vuoi o non vuoi, aveva luogo pure l’increscioso compito di tagliare la monodopera col licenziamento delle pecore nere. In febbraio-marzo la musica cambiava tonalità e, con la ripresa del lavoro, si incrementava il personale con l’assunzione di nuovi elementi e si dava pure un aumento paga ai più meritevoli. Giuseppe, purtroppo, di questo privilegio extra, concesso dalla parte patronale, non ne aveva mai usufruito: si era sempre dovuto accontentare del solo aumento annuale previsto dalla convenzione sindacale.

       Quell’anno lì il lavoro aveva preso la via dell’ascesa addirittura nel mese di gennaio. A lui, intanto, a metà dicembre, quasi inaspettata strenna natalizia, era stato affidato l’incarico di magazziniere dell’azienda. Accettando l’impegno, a dire il vero, lo fece con una certa apprensione in quanto, prima di lui, già due altri prescelti lo avevano abbandonato senza che nessuno ne sapesse il perché. In realtà tenere sotto controllo ere ben sistemata tutta quella roba che entrava e usciva era qualcosa di impegnativo e stressante al tempo stesso. Non è che ci fosse molto da fare lì dentro; ma nelle ore di punta c’era veramente da scervellarsi e sapersi dimenare: dopo di che potevi anche farti un sonnellino…ma guai a te se te lo facevi per davvero! Lui, intanto, ne andava orgoglioso e fiero del posto affidatogli; l’avevano quasi pregato per farglielo accettare: gli avevano detto di aver bisogno di una persona coscienziosa e responsabile! Ne era tanto entusiasta che proprio non riusciva a capire come mai i suoi predecessori l’avessero abbandonato. Tanto per farla breve, lusingato da quell’avanzamento di grado e incoraggiato dal venticello benefico che era tornato in poppa al vascello industriale, fece un pensierino circa l’arrotondamento della sua busta paga. Fino ad allora nessuno aveva avuto qualcosa a ridire sul suo conto, ragion per cui congetturò di essere entrato anche lui nella distinta lista dei “meritevoli”.

       Ed ecco che un bel giorno, appena il manager entrò nel deposito, Giuseppe sparò il suo colpo sperando di centrare il bersaglio. L’alto dirigente intanto, senza farselo dire due volte, subito promise di andarne a parlare in ufficio. Ma, chissà come e chissà perché, erano passate due settimane e dell’aumento non si era visto neanche il colore. “Scusate, signor Alberto, -disse, chiedendo spiegazioni al manager- a proposito di quel mio aumento?!”. E l’altro ribattè: “Oh sta tranquillo! Tra giorni devo partire in viaggio d’affari col padrone: glie ne parlerò una volta fuori con lui!”. Partirono e tornarono, ma nel termometro remunerativo del nostro bravo magazziniere il mercurio non accennava a salire. Un po’ chiedendosi il perché di quella promessa non mantenuta e un po’ deluso al tempo stesso, non demorse. Anzi si propose di fare il tentativo con il padrone in persona. E che male c’era? Chi domanda non fa errori. E, poi, la faccia sarebbe stata mezza ciascuno! Così, appena gli venne fatto, risparò il colpo col proprietario dell’azienda e questi pure, lì per lì, gli diede buone speranze. Solo che qualche giorno dopo se lo vide entrare nel magazzino, lo vide guardare intorno e se lo sentì dire: “Fammi sentire, Joe; dove sono quei rotoli di materiale blu che dovevano partire…”; “Penso che dovrebbero essere -l’interruppe il magazziniere- laggiù in fondo, insieme…”; e l’altro subito lo apostrofò a sua volta: “Innanzitutto non ti pago per pensare! E, poi, come sarebbe a dire dovrebbero? Allora non hai le idee chiare tu qui dentro!”. E Giuseppe, toccato nell’intimo del suo orgoglio, restò lì annichilito senza essere capace di proferire parola. “Non si capisce più niente qui dentro!”, concluse il padrone ridando un’altra occhiata intorno e uscendo.

“Te l’avevo detto che la tua giobba non porta una grossa paga!”, commentò un amico che sapeva e aveva sentito tutto. Giuseppe intuì quale vento avesse scatenato la tempesta e si promise di non chiedere più aumento né a Caio, né a Sempronio; e come per incanto pure il magazzino si rimise magicamente in ordine perché più nessuno ebbe alcunché da obiettare. Quell’incidente gli fece realizzare pure, amara delusione, che la sua non era stata una promozione, bensì un diplomatico ripiego della ditta. Mica potevano mettere ad ammuffire lì dentro un giovanotto; né tantomeno potevano pagare, quasi per niente, un operaio provetto! Ragion per cui avevano optato per uno che, data la veneranda età, pensavano che potesse accontentarsi del minimo indispensabile e soddisfarsi del puro necessario!

mardi 8 mars 2016

ANCHE  QUESTA  È  AMERICA ©
(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)
LA VACCA NON  DA PIÙ LATTE
       Da quando si sono ritrovati e abitano sulla stessa strada, Albano e Giuseppe non mancano mai, dopo cena, di fare la loro passeggiata serotina. Prendono una boccata d’aria, si tengono informati sull’andamento del circondario e vanno risfogliando il libro dei loro vecchi ricordi di operai. “Ti è mai rivenuta in mente -chiese Giuseppe ad Albano- la manifattura della vacca che non dava più latte?”. E l’amico rispose: “Eccome se me ne ricordo! Fu proprio per colpa di quella mia…bestia immaginaria che persi la giobba!”. Ma ecco come erano andati i fatti. I nostri due amici lavoravano insieme e, quando il lavoro scendeva in picchiata, il portoghese era solito dire ai compagni: “La vacca non da più latte. Preparatevi a partire!”. Infatti, se il calo del lavoro persisteva, c’era da aspettarselo qualche licenziamento. Comunque, anche per non farsi prendere dalla malinconia, ci si scherzava sopra e si cercava di sdrammatizzare il caso come meglio si poteva. Qualcuno se ne usciva dicendo che, secondo la teoria di suo nonno, se le vacche le sai mungere riesci a ricavare latte anche dopo l’ultima goccia. Qualche altro raccontava di quando, in casa, si macinava l’uva per fare il vino. Dopo che fermentava, si metteva a spremere la vinaccia nel torchio. La si toglieva e la si rimetteva a spremere varie volte per ricavarne quanto più vino si poteva. Dopo avercela messa l’ultima volta, la si lasciava riposare tutta la notte e l’indomani, date le ultime strette e recuperate le ultime gocce, con soddisfazione si commentava: “Hai visto? Abbiamo ottenenuto un altro mezzo bicchiere?”.
       Applicando anche detta similitudine alla manifattura in questione, quell’anno la vinaccia dovette essere stata passata al massimo sotto il torchio e la vacca dovette essere stata munta più del dovuto perché sotto la ramazza del repulisti passarono pure alcune teste di serie come Albano, per esempio; Giuseppe, fortunatamente, quella volta se la scampò per un pelo. Sotto cassa integrazione il primo, fedele portavoce il secondo, si telefonavano spesso e l’uno informava l’altro circa ogni mossa aziendale. Una volta Giuseppe comunicò ad Albano che, nonostante la penuria del lavoro, era stato comprato un nuovo macchinario per il reparto impacchettatura; una seconda volta portò a sua conoscenza che, nonostante l’indesiderata ristrettezza economica, nel reparto finizioni era stato rinnovato tutto il settore. Dette notizie erano incoraggianti in quanto lasciavano supporre che, se venivano fatte tutte quelle spese, una ripresa del lavoro non doveva tardare! Albano, dal canto suo, pur cullando in cuore una riassunzione, un colpo d’occhio qua e là lo andava gettando lo stesso, caso mai potesse trovare qualcosa di meglio. Intanto nella manifattura della vacca magra il lavoro si rimise; anzi, riprese con una marcia in più e si registrarono pure nuove assunzioni. E vi sembra che Giuseppe non facesse squillare il telefono in casa di Albano? “Ehi, tieniti pronto che presto ti richiamano: il lavoro si è rimesso e in fabbrica si vedono parecchie facce nuove!”. “E scommetto -commentò Albano a sua volta- che tutte queste facce nuove le retribuiscono pure con giusta mercede: la dovuta minima paga! E no, mio caro. Si dà il caso che abbia trovato anch’io un lavoro più rimunerativo. Che mi chiamino se vogliono: cercherò io pure di mungere la vacca come si deve!”.

       Ma ciò non avvenne mai e fu così che i due compagnoni si persero di vista, fino a dimenticarsi quasi l’uno dell’altro. Ora intanto, vecchierelli di fresco in pensione, si sono ritrovati e sono tornati ad essere i grandi compagnoni per la pelle di una volta. Anzi, dire che sono solo amici è poco. Ecco, infatti, cosa disse Angela a Flavia, la moglie del portoghese con cui stava chiacchierando sul balconato di casa, vedendo i mariti di ritorno da una loro passeggiata serale: “Arrivano, arrivano i due fidanzatini. Ci manca solo che si prendano sotto braccio…i piccioncini!”.

mercredi 24 février 2016

ANCHE  QUESTA  È  AMERICA ©
(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)
LA VOCE DEL PADRONE           
       Albano, un portoghese vecchio amico di Giuseppe, è molto fiero del suo nome che, a suo dire, gli calza anche a pennello. Tanto per cominciare gli calza a pennello perché, nella sua vita di operaio, non c’è stato mattino che “l’alba” non l’abbia trovato già sveglio. In secondo luogo ne è fiero anche per il fatto che lo porta una delle più rappresentative voci della musica leggera italiana. Avendo toccato questo tasto musicale, Albano, che da giovane è stato per alcuni anni in Italia, si ricorda spesso di quegli antichi dischi con sopra un grammofono e, accovacciato lì a fianco, il più fedele amico dell’uomo che sembrava ascoltarne il suono. Correvano i tempi, infatti, della rinomata casa discografica “La voce del Padrone”.
       Albano e Giuseppe, tempo addietro, hanno lavorato svariati anni per la stessa ditta. In appresso si sono persi di vista, rimanendo amici…nel pensiero. Adesso, però, per un fortuito quanto piacevole caso della vita, si trovano a essere addirittura vicini di casa. E ne rispolverano di ricordi e se ne raccontano di fatterelli vissuti insieme, ora che si sono ritrovati e sono tornati ad essere quei grandi amici di una volta. Come fanno a dimenticare quel particolare episodio di manifattura accaduto in quei giorni in cui si erano appena conosciuti? Giuseppe era vecchio del posto, mentre Albano vi lavorava solo da qualche settimana. E, a dire il vero, l’ambiente gli piaceva pure perché era favorevolmente rimasto impressionato dalla spensieratezza e dall’allegria che regnava in quel luogo. Quel venerdì lì, poi, l’armonia sprizzava da tutti i pori anche perché il fine settimana era alle porte! “Approfittiamone! Approfittiamone adesso: mò che torna il padrone ce la fa finire lui la pacchia!” disse un operaio, quasi invitando alla riflessione o richiamando gli amici all’ordine dovuto. Potevano essere le due e mezza circa allorché una voce, che Albano sentiva per la prima volta, tramite intercome convocava il manager in ufficio. Nell’udirla ammutolirono tutti. E, guardandosi l’un l’altro in faccia, sembravano chiedersi: “Ma non doveva tornare la settimana prossima?”. “Hai visto cosa è capace di farti la voce del padrone? -disse Giuseppe ad Albano che era rimasto sorpreso da quell’improvviso cambiamento di atmosfera- Aspetta solo che arrivi qui di persona e…vedrai l’aria tremare!”. Non trascorse nemmeno una mezz’oretta che dal reparto vicino arrivarono voci di persone che si aggirava per la manifattura. Meno male che la fabbrica aveva diversi locali e il padrone una voce poderosa: nell’udirla, infatti, parecchi topi che in sua assenza si erano preso il lusso di ballare ritornarono ipso facto nei propri ranghi…a dare l’impressione di essere quei bravi operai della messe che rendono possibile il buon raccolto! Una volta giunti nel reparto dei nostri amici, il manager andava rendendo conto al padrone di quello che succedeva, man mano che questi chiedeva spiegazioni a riguardo di questo o di quello. L’unico nuovo del posto era Albano. Il datore di lavoro, avvicinandosi, si fermò per qualche attimo a osservarlo; dopo di che, pollice recto in segno di approvazione: “Very good, very good!” esclamò e passò oltre.

       Che motivo avevano, quegli operai lì, a lamentarsi della sua severità? Non faceva altro che badare ai propri interessi e non aveva tutti i torti a difendere i suoi diritti. A essere sinceri, se avesse visto i suoi “topi ballare”, non avrebbe avuto ragione a tirar fuori le unghia? E poi, diciamoci la verità, non sono “mazze e panelli a fare i figli belli”? Ci siamo mai resi conto che, se un proprietario di azienda mantiene il pugno fermo sul suo vascello industriale, pure il suo equipaggio può sbarcare il lunario con minori grattacapi? Ecco, un operaio entra in fabbrica, fa le sue otto ore e se ne torna a casa libero e spensierato. Ma chi deve approntargli il lavoro pure per l’indomani, può dormire ugualmente a sette cuscini? Dopo avere spezzato tutte queste lance in favore della parte patronale, Albano osservò: “Vedi Giuseppe, abitualmente diciamo di essere noi operai a lavorare per i nostri padroni; invece mi sa che sono loro a lavorare per noi!”. “E sì, mio caro Albano, forse dovremmo rispettarla di più la voce del padrone. È simbolo garante di pane e lavoro. È custode fedele di successo e benessere…per chi comanda e per chi deve ubbidire!”, rispose Giuseppe a conclusione di una di quelle tante chiacchierata che riportava loro il passato alla mente.

lundi 8 février 2016

ANCHE  QUESTA  È  AMERICA ©
(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore
LA CARITÀ  PELOSA  
       Correvano i tempi in cui Giuseppe dimorava nella cittadina di San Leonardo, allorché questa era scherzosamente chiamata la città di quelli che si grattavano la testa. Abbiamo detto “grattavano”, cioè all’imperfetto, perché…valli a toccare oggi quelli lì! La casa in cui stava in affitto si trovava sul lato sud di una stradina a forma di ferro di cavallo. Quelli che la abitavano si conoscevano tutti e tra loro sussistevano anche ottimi rapporti di amicizia…pettegolezzi e dicerie di comari a parte! Il loro tenore di vita ti faceva sembrare di stare in Italia: in uno di quei tipici vicoletti di paese. Seduti dinanzi alle case si chiacchierava, ci si prendeva il caffè e si trascorrevano liete serate sotto le stelle. Tra la famiglia di Giuseppe e quella di un dirimpettaio, poi, si era venuta a creare una tale relazione che, più che amici, sembravano parenti. “Ah Pè, -gli faceva a volte l’amico di fronte- vieni qui con Angela che ci facciamo una partita a carte!”. E, specialmente nei week-end invernali, se ne facevano di cenette e di partite a carte insieme. Spesso vi prendeva parte pure Raffaele, un cognato del vicino. Raffaele era sì una brava persona, ma pure uno di quelli che anche quando parlano devono sempre “far carte” loro. In compenso, però, sapeva farsi ascoltare e parlava con buona favella e tanta umanità. Giuseppe cominciò a considerarlo una persona corretta da quando raccontò di quella lontana volta che era rimasto senza lavoro, e nemmeno a farlo apposta, proprio quando aveva appena comprato la sua prima casetta. “Voi non sapete -diceva fra l’altro- che pena demoralizzante per me, vedere mia moglie andarsene ogni mattina al lavoro e io dovermene restare lì in casa perché non mi era possibile trovare nemmeno una mezza giobba dove guadagnare qualcosa!”. E sottolineava pure che, se fosse stato lui un datore di lavoro, sarebbe stato molto generoso con la povera gente.
       In appresso Giuseppe cambiò casa, i suoi amici non li frequentò più tanto spesso come prima e il loro parente, se ebbe modo di rivederlo, fu solo per motivi di festa o per ragioni di lutto. Un tempo il nostro Peppe, quando lavorava come capospedizioniere in una grande fabbrica di Montreal, fece amicizia con un certo Johny, un loro abituale fornitore. Parla oggi e parla domani, un bel giorno questo benedetto Johny non si fece scappare il nome del suo socio in affari? “Fammi sentire un po’, -chiese subito Giuseppe nell’udire quel nome- questo tuo socio Ralph non è, per caso, uno alto, robusto, dalla buona parlantina e che risponde al cognome di Tal dei Tali?”. “Ma sì, è lui. -rispose l’altro- Perché lo conosci?”. “Se lo conosco?! –confermò Giuseppe- Ce ne siamo fatte di partite a carte insieme. Salutamelo e dagli una forte stretta di mano da parte mia!”. Ma tu guarda solo come è piccolo il mondo e come vanno a finire certe cose della vita. Ricordandosi di quel suo vecchio amico, Giuseppe si compiacque per lui soprattutto per il successo che aveva fatto. Era così bravo, sensibile, generoso che la soddisfazione di essere divenuto uomo d’affari se la meritava davvero; meglio a lui, che era un amico, quella fortuna anziché a un altro. E poi, aveva così sofferto, appena arrivato dall’Italia, il poveretto!
       Col passar del tempo la manifattura dove lavorava Giuseppe chiuse i battenti e fu la sua volta di trovarsi in mezzo a una strada…si fa per dire perché in quale famiglia di emigranti, dopo tanti anni di America, non c’è di che poter vivere discretamente? E poi, mica non li aveva pagati pure lui i contributi alla cassa integrazione! Non ne valeva, quindi, la pena sfruttare un po’ anche il governo? Lo facevano tanti quasi per abitudine! In ogni modo a quale italiano di buona volontà piace restarsene a casa senza far niente? Perciò, la domanda alla cassa integrazione la fece sì, ma subito si mise in cerca di un altro lavoro. Intanto, gira di qua e gira di là, forse per l’età o forse per scalogna, vedeva chiudersi le porte prima ancora che gli venissero aperte. Fu la moglie Angela ad aprire uno spiraglio di luce nella confusione dei suoi pensieri. “Perché non vai a trovare i tuoi amici Johny e Ralph?” gli disse un giorno che lo vide particolarmente abbattuto. Ehi, ma come aveva fatto a non pensarci prima? Ci andò e appena Ralph se lo vide davanti lo abbracciò forte forte, gli diede un paio di amichevoli manate sulla spalla e disse: “Eh sì, mio caro Peppe, è stato un duro colpo anche per noi la chiusura della vostra fabbrica. Il tuo padrone era uno dei nostri migliori clienti!”. E Johny, che si era recato pure lui a salutarlo, aggiunse: “Per quello che è successo a voi, la nostra produzione è diminuita di un quarto e forse più!”. Finiti i convenevoli di rito, il nostro subito fece presente che si era recato da loro perché era in cerca di lavoro. “Ma senza dubbio, vai a fare l’applicazione in ufficio e vedremo cosa potremo fare per te!”, gli disse Ralph con fare entusiasta e promettente. “Ma si , vai vai pure. -soggiunse Johny- La nostra segretaria è Laura; tu la conosci: ha lavorato pure da voi!”. E fu appunto Laura, dopo essersi salutati da buoni e vecchi amici, a riempire la sua domanda d’impiego. “Ecco, -disse dopo avergli fatto firmare il formulario- la tua richiesta la metto qui, sopra sopra: in assoluta priorità. Se c’è qualcosa, sarò proprio io a chiamarti!”. Nell’andarsene, tra il sorpreso e il deluso, Giuseppe pensò: “Ma, se mi conoscono, perché sono ricorsi a tutte queste formalità? Non me la potevano dare subito una risposta?”. Passarono parecchie settimane e di chiamate non se ne sentì neanche l’eco. Un altro lavoro lo trovò ugualmente e il trio dei vecchi amici ritornò nel dimenticatoio.

       Tempo dopo, andando con sua moglie per degli acquisti alle Galleries d’Anjou, incontrarono gli amici della famosa strada a ferro di cavallo? “Un tipo veramente generoso, il tuo caro cognato Raffaele. -si sfogò con l’amico, mentre le mogli parlavano d’altro- Ero senza lavoro; sono andato da lui e mi ha fatto…fesso e contento!”. “E a chi lo dici, mio caro Peppe? -confermò l’altro, continuando ironicamente- Quello ormai è diventato un pezzo grosso. Non hai notato che adesso si fa chiamare Ralph, all’inglese? È diventato grande pure di nome. Capisci, mio caro don Peppino?”. E a don Peppino non restò che fare, purtroppo, un’amara considerazione: “È proprio vero che il sazio non crede al digiuno, A questo punto, però, è meglio essere poveri e rispettare il prossimo, anziché avere il portafoglio pieno e voltare le spalle agli amici!”.

vendredi 29 janvier 2016

ANCHE  QUESTA  È  AMERICA ©
(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore
DALLO CHALET DI FRONTE
       Giuseppe lo sapeva già da qualche mese che la sua fabbrica, quel venerdì, sarebbe rimasta chiusa. Alcuni giorni prima pure sua moglie si trovò, strano ma vero, ad avere la giornata libera. Fu più che logico e prevedibile, allora, progettare per quell’inatteso e lungo fine settimana una capatina in campagna, al loro chalet sul lago.  Fu gioia grande soprattutto per i loro due figli: dieci anni lei, la femminuccia e otto lui, il maschietto. A mettere la ciliegina sulla torta intervennero radio e televisione che annunziavano bel tempo sulla bella provincia per tutta la settimana, week-end compreso. Il giovedì sera, però, tornando dal lavoro mezza moscia e avvilita, mamma Angela comunicò al marito che l’indomani, purtroppo, avrebbe dovuto lavorare come di consuetudine. “Per questa sera –suggerì Giuseppe- non diciamo niente ai ragazzi. Ci penserò io domani mattina a inventarmi una buona scusa!”.
       Tempo addietro un suo vecchio amico di nome Franco gli aveva detto di possedere uno chalet in montagna. Un posto fantastico tra il verde della natura da cui potevi dominare tutta la vallata sottostante. La veduta del laghetto laggiù, poi, era meravigliosa con tutte quelle casette di campagna che, costeggiando la riva, rendevano più caratteristico il panorama. E i tramonti? Erano incantevoli! Il sole rosseggiante si specchiava nell’acqua mentre l’avanzare cadenzato di qualche pedalò ti accompagnava nella calma della sera. Anche se alle pendici del monte aveva un accesso privato per portarsi alla spiaggetta tutta sua in riva al lago, Franco si era munito di una grande piscina sul retro della casa su in montagna per non scendere e salire troppo sovente per andarsi a bagnare nel lago.
       Così quel venerdì mattina, quando i ragazzi si alzarono, il padre disse loro: “Adesso papà telefona a quel suo amico che ha uno chelet in campagna e, se lui è disposto, andiamo a trascorrere la giornata lì. Voi potrete giocare con i  suoi figli che hanno la vostra stessa età!”. “E la mamma?”, chiese il figlio non vedendola. Ed egli spiegò: “Visto che è dovuta andare a lavorare, la chiameremo più tardi e le diremo dove siamo!”. Detto questo chiamò subito l’amico, che accettò di buon grado la sua proposta. Una volta sull’autostrada, seguendo l’amico in macchina, Giuseppe più andavano avanti e più si rendeva conto che stavano percorrendo la stessa via che
faceva lui per recarsi alla sua casetta sul lago. Infatti solo l’ultimo tratto, quello che porta alla sommità del monte, non era lo stesso. Appena uscirono dalle macchine, la prima cosa che fece Giuseppe fu quella di andare a dare un’occhiata da quell’altura. “Ehi ragazzi, venite a vedere!” esclamò chiamando i figli. “Ehi pa’, ma quello è il nostro chalet!” proruppe il maschieto, mentre la sorella confermava: “Ma sì è vero; è la nostra casetta sul lago quella lì!”. Al che Franco soggiunse: “Ma senti un po’ quelli. E chi l’avrebbe mai detto? Tutti e due uno chalet da queste parti!”.
       Mentre erano tutti nella piscina, papà Joe non resistette alla tentazione di andarsi a godere la panoramica sottostante. Anzi andò a prendere il binocolo in macchina per scandagliare anche i punti più lontani. Spaziando qua e là lo puntò pure sullo spiazzale antistante il suo chalet…e lo focalizzò a distanza ravvicinata perché voleva essere certo di non stare sognando, ma di vederci ben chiaro. Staccò lo sgardo dall’inaspettata scena, si diede una scrollatina di testa per riprendersi dallo choc e…ritornò a guardare giù per accertarsi meglio di quanto stava accadendo. Sì, era proprio lei, Angela; e quello sulla sdraio appiccicata alla sua era proprio lui, il proprietario dello chalet vicino. “Altro che lavoro!”, pensò tra sé e sé. Cercò di riprendersi dallo stordimento per non destare sospetti e, come se niente fosse, raggiunse i bagnanti in piscina. A pomeriggio fatto la moglie di Franco propose di andare a “farsi belli” per la serata. Infatti sarebbero scesi tutti giù per un BBQ da Giuseppe, quasi come ringraziamento per l’ospitalità ricevuta. Prima dell’ora di chiusura delle fabbriche la figlia chiamò mamma Angela al cellulare e, tutta felice e contenta le comunicò: “Mamma, quando stacchi dal lavoro vienici a raggiungere subito qui in campagna. Siamo nelle vicinanze con degli amici di papà. Chi prima arriva comincia a preparare: facciamo il BBQ stasera!”. A quel punto, per previggenza, Giuseppe propose: “Facciamo una cosa. Io me ne scendo adesso e comincio ad approntare in attesa che arrivi la mamma. Voi ve ne venite giù tutti insieme più tardi!”. E detto questo partì. Dopo aver parcheggiato scese dalla macchina sbattendo la portiera, quasi per avvertire del suo arrivo; infatti non aveva nessuna intenzione di sorprendere la moglie col vicino. E ci riuscì perché, mentre attraversava il viottolo che dalla strada porta allo chalet, avvertì un certo trambusto e un frettoloso darsi da fare, quasi a cancellare ogni “traccia di delitto”. Sbucando all’angolo della casa scorse ugualmente il dileguarsi del vicino oltre la siepe che separa i due terreni. Angela intanto, fingendo di uscire proprio in quel momento, gli  sorrise dolcemente e gli corse incontro per ricevere il suo bacio in fronte come faceva sin dal primo giorno della loro vita in due.
       Fu una volta entrati dentro che lui le chiese: “Cosa aveva l’amico accanto da scappar via come un ladro?  Mica me lo mangiavo io se lo trovavo qui!”. E mentre lei leggermente arrossiva continuò: “La vedi quella casetta lassù? È lo chalet dei miei amici dove siamo stati oggi!”. Intuendo di essere stata scoperta, prendendogli le mani e guardandolo fisso negli occhi, candidamente confessò: “Se ti dicessi che non abbiamo fatto nulla di male, mi crederesti? È stata una piccola debolezza senza conseguenze. Ti prometto che non succederà più!”. Per tutta risposta, lui le cinse la vita, la tirò forte forte a sé e le diede un bacio sulla bocca in segno di perdono.

Allorché tutti stavano ormai prendendo posto per la cena, Giuseppe sussurrò a mezza voce ad Angela: “Perché non chiamare anche loro, i vicini? pare che pure l’amicizia, al pari della fedeltà coniugale, va rispettata e coltivata?”.

vendredi 8 janvier 2016

ANCHE  QUESTA  È  AMERICA ©
(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)
IL SOGNO PROIBITO
       Dalla caffettiera, ancora sborbottante sul fornello appena spento, si versò una tazzina di caffè e la sorseggiò lentamente, come per assaporarne il gusto fino all’ultima goccia. Era un lunedì di festa, ma Angela, sua moglie, per un imprevisto contrattempo si era dovuta recare al lavoro pure quel giorno. Cosa avrebbe fatto Giuseppe, solo soletto, tutta la santa giornata in casa ? Uscì, prese l’auto e partì senza sapere nemmeno lui dove andare. Ad una fermata d’autobus, poco lontano, la sua attenzione fu attratta da una sagoma di donna. Più si avvicinava, più si rendeva conto che era proprio lei, Clara la moglie del suo migliore amico. Lei pure lo riconobbe e non ci fu bisogno né di invito, né di richiesta per un passaggio in macchina. Dopo i convenevoli, fu lui a rompere il ghiaccio: “E allora, come stai, Clara? Non mi dire che stai andando a lavorare!”. E lei: “Oh no, oggi lavora solo Franco. Per non restarmene tutta sola in casa, ho pensato di andare a curiosare un po’ a Place Versailles!”. Al che lui soggiunse: “Bene, allora ti accompagno. Anche mia moglie lavora e io pure me ne sono uscito per non annoiarmi in casa!”.
       A dire il vero, quell’imprevisto incontro mattutino aveva fatto piacere a entrambi. Nutrivano dentro, infatti, una reciproca simpatia che erano sempre riusciti a tenere ognuno per sé, senza mai lasciarla trapelare a nessuno. Tutto sommato, tra le loro famiglie ogni cosa era sempre andata liscio come l’olio. I mariti erano amici per la pelle, le mogli sembravano più che sorelle; perché dunque incrinare quel limpido specchio di rara amicizia familiare? Quel giorno più che mai, entrando e uscendo dalle buotiques, girovagando di qua e gironzolando di là, il tarlo della loro segreta attrazione dovette avere un bel daffare per starsene rintanato nei loro cuori e non uscire allo scoperto. Così vicini l’uno all’altra come non lo erano mai stati prima, tanto uniti che solo la mancata mano nella mano poteva far pensare che non erano marito e moglie, dovette di sicuro essere passato più di qualche volta nella loro mente lo stesso pensiero: “Ma perché non ci siamo conosciuti prima?”.
       Fu verso mezzogiorno, quando erano seduti a uno snak bar, che decisero di fare un salto allo chalet di campagna dove lui aveva qualcosa da sistemare. Un lavoretto da poco che avrebbe permesso loro di essere nuovamente in città prima dell’ora di chiusura delle fabbriche. E così, regolato il conto, eccoli subito in macchina per andarsi a prendere una boccata d’aria pura in piena campagna; e la giornata era proprio una di quelle ideali per trascorrere qualche oretta all’aperto. Imboccando l’autostrada verso il nord lui disse: “Ecco, mentre io eseguo le mie riparazioni, tu puoi approfittare del bel tempo per fare bicicletta!”. Poiché non c’era troppo traffico in una mezz’oretta, a velocità sostenuta, avrebbero raggiunto la meta. A tratti fischiettando, a tratti discorrendo con lei era quasi giunto in fondo al rettilineo che porta alla curva prima dell’uscita da prendere; sul contromano, proprio da quella curva, sbucò una macchina rossa che attirò subito la loro attenzione. Era appena sfrecciata al di là dello spartitraffico che lei esclamò: “Ma quella non era la macchina di tua moglie?”. E lui: “Ma non era tuo marito quello accanto a lei?”.  “Hai capito i due? -commentò lei a mezza voce- Stupidia io che ho represso i miei sentimenti per sensi di scrupolo!”. Al che lui, rallentando, sussurrò: “Cosa hai detto? Allora anche tu…?”. E, guardandola negli occhi, vi lesse  il suo stesso desiderio! Le poggiò una mano sulla spalla e la lasciò scivolare giù dal suo braccio fino a prenderne la sua. Se le strinsero e se le tennero serrate sin quando lui non parcheggiò la macchina dinanzi alla porta dello chalet. Ansiosi, quasi tremanti, aprirono ed entrarono. Cingendosi l’un l’altra i fianchi, si avviarono direttamente verso la camera da letto. Ma sì, a quel punto lì era più che giusto realizzare quel sogno custodito da anni in fondo ai loro cuori. Lui aveva già iniziato a sbottonarle la blusa quando lei, respingendolo con scrupolosa delicatezza fuori dalla stanza, quasi parlando a sé stessa disse: “E se per caso non erano loro? E se, pur essendolo, fossero venuti qui così come lo stiamo facendo noi…in tutta amicizia?”.
       Allorché Giuseppe rientrò in casa, Angela stava già apparecchiando per la cena. “E la macchina?” chiese lui dopo averle dato un bacio sulla fronte, come era solito fare rincasando. E lei spiegò: “Ti ho telefonato tutta la giornata per dirti che stamattina, recandomi al lavoro ho avuto un incidente, ma non ti ho mai trovato. Stasera mi ha riaccompagnata il marito di Clara. E dire che pure lei oggi era introvabile. Ma tu, a proposito, dove sei stato?”.  “Proprio assieme a lei; -rispose lui sinceramente- l’ho incontrata per caso e siamo andati in campagna. Mentre lei faceva bicicletta, io ne ho approfittato per aggiustare la porta del salotto.”…e, fortunatamente, continuarono a vivere  tutti  felici e contenti!

P.S. Al tempo in cui avvennero i fatti il cellulare non era tanto in voga così come oggi.

mercredi 23 décembre 2015

Image result for presepeNumero speciale dedicato a Bergoglio: il papa della pace…come Cristo e Francesco.
LA NATIVITÀ
753 anni dopo la Fondazione di Roma, a Betlemme nasce Gesù Bambino. Dopo solo 33 anni la sua condanna alla cricifissione, emessa a Gerusalemme da Ponzio Pilato, passa alla storia come il processo più sconcertante dell’umanità; divenendo, intanto per noi cattolici, il sine qua non di quella Resurrezione che ha redendo il mondo. Natività e crocifissione: le radici della nostra anima…perché strapparle dai nostri cuori?  Francesco d’Assisi, il santo dalle stimmate – l’altro Cristo, istituisce a Greccio la natività con il primo presepio vivente della storia. L’otto dicembre scorso papa Bergoglio, l’altro Francesco, apre la porta santa per il Giubileo speciale della Misericordia. Papa Francesco…un sovrano della terra che invita anche tutti gli altri, di buona volontà, a combattere il terrorismo col cuore dell’umanità, ovvero con l’umanità del cuore; un sovrano che porge l’esempio a «dar cuore ai miseri» per dissipare la paura da ogni animo!
Ciò premesso, rieccoci alle soglie delle tanto attese feste natalizie cui fanno da sfondo mille tradizioni, una miriade di usanze care, nonché innumerevoli «abusanze» commerciali. Portata in giro nei centri di acquisto sontuosamente addobbati a festa, per la ricordevole foto col babbo natale, la nostra infanzia va sempre più allontanandosi dalla suggestività della grotta di Betlemme; di conseguenza pure l’umanità va sempre più distorcendo il reale e sublime significato della Santa Natività. In ogni modo oggigiorno nelle case di mezzo mondo a farla da padrone, oltre allo sfarzo di ghirlande e luci sui balconi, alle finestre e per le strade, c’è immancabilmente il verde abete a mantenere la tradizione e la caratteristica ricostruzione del presepio a ricordare la nascita del Bambinello in una fredda grotta di Betlemme 2015 anni or sono. E quest’ultimo, senza ombra di dubbio, porta il marchio del made in Italy. Ma da quegli sprazzi di luci che si diramano dall’alberello...non c’è proprio nemmeno un raggio a ricordare la luminosità della nostra terra?
Procedendo con ordine, nel 1223 in una campagna di proprietà di un certo Giovanni Velita, nei pressi di Greccio in provincia di Rieti nel Lazio, San Francesco d’Assisi realizzò per la prima volta una rappresentazione vivente della Natività per ricreare la mistica atmosfera della notte Santa a  Betlemme...ed anche quella notte nacque, miracolosamente, un Bambinello che il santo d’Assisi ebbe la gioia di cullare fra le sue braccia: prendeva il via la cara usanza del presepio! Ma, guarda caso, non si narra pure che la gente del luogo, per illuminare l’oscurità delle tenebre, si recasse sul posto con torce e fiaccole accese?. Ed ora, questo scintillìo di fiammelle nello sfondo degli alberi circostanti non balza pure al vostro sguardo come un raggio di serafica italianità che manda ancora la sua significativa luce pure dagli alberelli natalizi dei nostri giorni?

 Intanto da qualche ramo di quello di casa mia o accanto al presepio, a dispetto del rosso panciuto dalla barba bianca (anch’egli «raggio di italianità» perché Santa Close deriva, neanche a farlo apposta, da San Nicolaus) che distribuendo regali a manca e a dritta sembra beffarsi della «saggia» creduloneria umana, è religiosamente presente ogni anno anche l’arcana calza della vecchia Befana, a ricordare i doni dei saggi magi, nonché…a spazzar via ogni festa. Un altro magico raggio di italianità che l’andazzo dei tempi va progressivamente relegando nella notte dell’oblio o, forse, a intrappolare nella rete di qualche clan di Halloween. Una volta passati a miglior vita noialtri anzianotti, infatti, quanto tempo ancora resterà a irradiare la sua calorosa luce  di dolcezza e bontà la nonnina dei nostri giorni bambini?