samedi 19 septembre 2020

 

In lavorativa covidianità      

        Scongiuri di rito ed amuleti di buona fortuna alla mano onde evitare un’eventuale seconda ondata del covid 19, sembra quasi che le lancette dell’orologio stiano pian pianino riprendendo il loro quotidiano ticchettìo intorno al mondo. Intanto bene o male già ci siamo quasi adattati a quelle nuove modalità di vita che il virus ci va imponendo; ed infatti sono già parecchie le nuove normalità a cui ci stiamo assuefacendo per camminare sottobraccio alla covidianità.

       Naturalmente uno scossone di vasta portata lo sta subendo di certo il settore lavorativo: manuale, di concetto o digitale che sia. Le fabbriche ancora non si riprendono, il mondo dello spettacolo è ridotto al minimo e in tutti gli altri settori o ci si arrangia o si arranga. Comunque in nessun posto di lavoro il buon giorno del mattino, il saluto della chiusura, le pause caffè o la sosta pranzo sono come quelli, lieti e spensierati, dell’anti covid. Si fa di tutto per rimettersi in sesto, ma l’umore collaborativo e il contatto fisico di una volta sembrano quasi essere stati messi sotto gamba dal lavoro a distanza. Si lavora per la stessa impresa, ma non ci si può guardare in faccia, non ci si può scambiare sguardi di complice sostegno né, tantomeno, sentirsi uniti dalla soddisfazione di collaborare tutti insieme lì, presenti in loco. In poche parole va sempre più prendendo piede il telelavoro, che prima della pandemia era appannaggio di pochi eletti privilegiati. Ma quello che è più preoccupante è come gestire in sanitaria sicurezza quei lavori prettamente manuali che, magari, richiedono anche una collaborazione gomito a gomito. Il virus si è già messo alle spalle la prima metà di questo sconcertante 2020 e intanto l’uomo si chiede ancora che ne sarà del nostro immediato domani ed anche di quello più lontano: che scia lascerà nel futuro questo drammatico presente? C’è all’ordine del giorno una nuova normalità, una diversa maniera di agire a cui adattarsi per poter sopravvivere: saprà, l’uomo, travare la giusta via per continuare il cammino? È preparato ad affrontare questo differente modus vivendi?

       Ma vogliamo ritornare per un momento indietro nel tempo? Anche in passato ci sono stati dei momenti che ci hanno dato delle preoccupazioni economiche. Ricordo, negli anni 70, lo sbarco in fabbriche ed aziende di robot e mezzi computerizzati: erano macchinari che potevano rimpiazzare la manodopera di più lavoratori e, quindi, avevano la capacità di aumentare gli introiti diminuendo le paghe e di mettere, di conseguenza, gente sul lastrico! E quale gente finiva sul lastrico? Le vecchie manovalanze che, sebbene esperte e competenti, non erano pertanto in grado di familiarizzare con i nuovi congegni della tecnica moderna. Intanto, col tempo, quegli allarmi di allora si sono andati man mano attutendo ed ognuno si è automaticamente assuefatto a quel nuovo fare che, ormai oggi giorno, è anch’esso invecchiato. In quel frangente ebbi a scrivere in qualche mio componimento che, forse, l’uomo «per suo danno il suo progresso impasta» ed in un altro punto che «avvantaggiando il futuro dell’umanità, spesso il progresso rovina il presente dell’uomo». Cabala o non cabala, corsi e ricorsi storici che dir si voglia, mi sembra che si tenta spesso di assestare l’economia mondiale favorendo le fulve chiome giovanili e quelle dorate delle genti mature a scapito di quelle argentate della canizie senile. Non è giunta anche al vostro orecchio la teoria del ringiovanimento della specie umana per ristabilire un giusto equilibrio nell’economia sociale?

        A tale proposito un bel bravo a te, uomo: quanto sei grande! Dopo essere riuscito a creare la vita in vitro, adesso vai anche rimproverando Iddio per aver messo troppa gente sulla faccia della terra!

samedi 5 septembre 2020

GENTE NOSTRA: dal telecomando al voto

La programmazione di Rai International e il voto per gli italiani in Canada, fino a qualche decennio fa, erano due sogni da vera utopia; oggi giorno, intanto, sono due realtà da fiore all’occhiello per tutti noialtri italo-canadesi e non solo. Ormai ci rechiamo alle urne quando il dovere ci chiama ed accendiamo la televisione in lingua italiana come se niente fosse, o meglio come se fossero due prerogative che ci spettano di diritto. Intanto abbiamo dimenticato le battaglie campali che furono affrontate e sostenute affinché divenissero un fatto compiuto. Essendo stato appunto Giovanni Rapanà l’unico paladino, anche se a guerra finita sono stati in tanti a salire sul podio della vittoria, ad avere innalzato la bandiera di questa schietta e «patriottica» italianità, mi fa piacere aggiungere anche il suo profilo nella mia raccolta di «gente nostra».

       Giovanni nasce a Calatone in provincia di Lecce, nel Salento, il 6 novembre del 1957 e, per quel che riguarda il suo curiculum scolastico, frequentò l’università di Genova presso la facoltà di Economia e Commercio. Mentre per la sua carriera professionale nel 1978 entrò al servizio della Marina, sempre nella città di Genova, col grado si sergente: esperienza di vita che lui stesso definisce «una straordinaria esperienza umana, nonché fisica e psicologica»; se posso dire anche la mia, sin da quando l’ho visto per la prima volta il suo naturale portamento mi ha subito dato l’impressione di un graduato militare. Ha solo ventidue anni quando inizia a prestare servizio in una imporante istituzione bancaria che sarà per lui una formazione di base in materia di economia e gli darà la possibilità di spostarsi spesso e di conoscere meglio il suo Paese. Si affaccia per la prima volta in America nel 1986, per una breve visita, dietro invito di una sua conoscenza ed è subito amore a prima vista con New York e con il Quebec innevato. Intanto il Canada è sempre stato «il sogno della sua infanzia dove vivere in piena libertà in una piccola capanna dinanzi ad un immenso lago»; vi ritorna dopo tre anni e si stabilisce definitivamente a Montreal dove apre una modesta importazione di vestiti…che, purtroppo gli andrà male. Ma, essendo uno che «guarda sempre il lato positivo delle cose», non si abbatte anche perché «il ricominciare non gli fa paura».

        Ingrana una nuova marcia, riprende il cammino e si mette al servizio dei valori socio-comunitari della sua etnia. E questo percorso gli darà soddisfazioni morali e riconoscimenti onorifici come Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e Grande Ufficiale della Solidarietà Italiana. Intanto le scuole pubbliche del Quebec sono testimoni della sua professione di insegnante e l’italianissimo ospedale Santa Cabrini ha usufruito delle sue capacità amministrative. Ma è come più volte presidente del COMITES e come Vice-Segretario generale del CGIE (Consiglio Generale degli Italiani all’Estero) che non si è mai risparmiato di scendere in campo a difesa dei valori e dei diritti dei suoi connazionali in terra canadese. È grazie all’impegno preso in mome di questi due Enti che è divenuto «popolare» ed è entrato nel cuore della gente nostra: quella semplice, schietta e sincera di tutti i giorni! È  da svariati anni, ormai, che serve la comunità in veste di consigliere municipale in quel di Rivière des Prairies-Point aux Tremble, la mia municipalità e, quindi, vi prego di credermi quando affermo che il suo interesse per il quartiere e per i suoi cittadini fa parte integrante del suo pane quotidiano!

       L’attuale senatrice Francesca Alderisi, allorché animatrice di Sportello Italia, intervistò l’allora ministro per gli italiani nel mondo Mirko Tremaglia che, a proposito di noialtri emigranti disse: «Me ne sono per sempre innamorato; ed essere innamorato vuol dire sicuramente fare una battaglia fino all’ultimo giorno della propria vita». E la battaglia di cui parlava il Tremaglia era il voto per gli italiani all’estero che senza di lui forse sarebbe ancora un sogno. Intanto bisognava stabilire contatti e trattative pure nelle giuste sedi dei governi canadese e provinciale; ed a fare da ponte tra l’Italia e il Canada a tale riguardo c’è pure il nostro Rapanà. Difatti è appunto a lui che l’allora ministro Pierre Pettigrew, il 24 novembre 2005, annuncia la decisione del governo federale di consentire agli italiani in Canada il diritto di voto alle elezioni politiche in Italia; ed infatti proprio nell’anno successivo lo stesso Tremaglia annunciava che «gli italiani che risiedono in Canada potranno votare ed essere votati nelle prossime consultazioni politiche del 2006 per il parlamento italiano».

       Ormai, telecomando alla mano, è divenuta una giornaliera abitudine sintonizzare la tv sui programmi in lingua italiana 24 ore su 24. Poiché sto parlando di Giovanni, mi fa piacere rendergli onore nel sottolineare i passi che dovette fare e le porte a cui dovette bussare e le tante firme che dovette raccogliere prima di riuscire a farci ottenere questo singolare privilegio. Bisognava convincere la CRTC che «al pari degli altri gruppi etnici del Canada, anche gli italiani hanno il diritto di esigere una programmazione televisiva nella loro lingua». Appunto con in mente quest’altro sogno da far divenire realtà, lottò a spada tratta finanche per cambiare ed addirittura per far creare nuove leggi che ci consentissero di tenerci in contatto con la nostra terra di origine attraverso le moderne vie satellitari. A parte questo, ho conosciuto Giovanni Rapanà sui banchi di scuola del PICAI e quindi non posso non mettere in risalto il suo entusiasmo per l’insegnamento dell’italiano sia nelle scuole del sabato mattina che in quelle pubbliche: se oggi esiste il CESDA è perché è stato proprio lui a fondarlo e consegnarlo alla comunità italiana onde evitare conflitti di interesse col Comites e con il Cgie. Cos’è il CESDA? È il più recente ente comunitario che si prefigge di integrare l’insegnamento della nostra lingua nel maggior numero di scuole pubbliche possibile! Il CESDA quindi è lo stesso avvenire linguistico dei nostri figli; è, di conseguenza, il rilancio della nostra cultura nel futuro: grazie Giovanni per quest‘altro tuo stupendo pensiero proiettato nel nostro domani!         

vendredi 28 août 2020

In interrogativa covidianità

            Una delle tante cose che ci chiediamo in questo periodo di pandemia è questa: «Cosa ricorderanno i nostri figli, una volta grandi, di questo scombussolamento covidiano?». Vi rispondo subito con un’altra domanda: «Cosa ricordiamo noi, attuali nonnini, di quei catastrofici scombussolamenti causati dalle due guerre mondiali?». Di bombardamenti e di coprifuoco non ricordo niente anche perché, forse, vivevo in un piccolo paesino di provincia; ma di soldati, soprattutto americani, me ne ricordo eccome ed anche molto bene. Mio zio era proprietario di un mulino ad acqua e quindi si affacciavano spesso da quelle parti per scroccare qualche pranzo. Personalmente ricordo che, quando sentivo il motore delle loro jeep, subito scappavo ai bordi della strada e loro mi gettavano scatolette di corn-beef o blocchetti di cioccolata; e ricordo pure che all’asilo infantile ci davano la «farinallatte» bianca e appiccicosa alle labbra: tutto sommato…quasi dei cari ricordi! Noi, piccoli di allora, la guerra non l’abbiamo vissuta direttamente sulla nostra pelle, ma le conseguenze di quelle «nuove abitudini», da essa provocate e a cui dovevamo adattarci, ci hanno spinto sin qui in quest’America lontana: in un Nuovo Mondo!

          Ed allora oggi giorno, in questa nuova covidiana realtà, cosa stanno vivendo i nostri figli? Di cosa ci sentono continuamente parlottare? Immagino che quest’obbligatorio uso della mascherina sarà di certo il ricordo più simpatico e caratteristico che si porteranno dietro con più affetto e nostalgia. Ricordo che quand’ero piccolo io, appena entrati in classe, i maestri come prima cosa ispezionavano le nostre mani e soprattutto le unghie per accertarsi che fossero pulite. E ricordo pure che nei luoghi pubblici e nelle strade passavano sistematicamente degli impiegati comunali per una disinfettazione a base del famoso DDT (diclorodifeniltricloroetano), popolarmente detto «u flit». E voi volete che i nostri figli non si ricordino di questo accurato lavarsi spesso le mani e di questa scrupolosa pratica dell’igiene personale? E scommetto che anch’essi tutte queste cose,  che oggi vivono con gli occhi dell’innocenza, domani, forse, le rivedranno come in un alone di nostalgico sogno! Naturalmente nel nastro della loro memoria resteranno pure le tante «chiacchiere» dette e ridette, scritte e riscritte, lette e rilette virtualmente on line o sentite attraverso radio, televisione ed altri mezzi moderni di comunicazione…chacchiere dei soliti sapientoni di occasione che, anziché allontanare il contagio, diffondono panico e confusione. Tanto per non andare troppo per le lunghe, un’ultima domanda me la faccio io personalmente che mi chiedo cosa penseranno i nostri figli, una volta grandi, degli abituali litigi e polemiche tra virologi e politici ed anche tra virologi e virologi nonché tra politici e politici per cercare di dare una giusta soluzione a questo benedetto covid 19. Non sarà che, soffocati da tanto fumo e niente arrosto, non se ne vadano a cercar fortuna sulla luna o su di un altro pianeta? Appena spuntato, il coronavirus dall’est, tutto il globo si è dato la mano per un esemplare girotondo di pace e di benessere; ma già sembra che ognuno abbia dimenticato questo saggio proposito e che, anche in tema di pandemia «passata la festa, gabbato lo santo». Ah scusate, visto che sto parlando dei nostri figli, c’è ancora un altro interrogativo che mi pongo. Possibile che non si trovi un giusto compromesso e non si  opti per un comune accordo almeno per questo già iniziato rientro a scuola, facendo in modo che almeno una volta l’opposizione non intralci il partito al potere? È mai possibile che col virus ancora in giro, e quindi ancora a tu per tu con la morte in faccia, non si sappia prendere una decisione giusta ed unanime nemmeno quando sono in gioco gli albori stessi della vita?

          Riuscirà, qualche sciagura naturale o qualche sventura umana, a rendere l’uomo più buono? Non penso perché, se così fosse, ci sarebbe riuscita a farlo la peste di Atene che, guarda caso, spazzò via, con buona parte della sua famiglia, anche il grande Pericle, colui che aveva portato all’apogeo la Grecia del quinto secolo avanti Cristo. Penso che l’uomo resterà in eterno o figlio di Caino o figlio di Abele…che piova o che splenda il sole: per diventare buono dovrebbe «sapersi» fare un buon esame di coscienza!

samedi 15 août 2020

In riflessiva covidianità

          La vita continua, bisogna andare avanti e ci si deve adattare a convivere col nemico. Alcuni giorni fa, dopo vari mesi che siamo rimasti su, al terzo piano del nostro condominio, mia figlia per telefono quasi quasi ci ha imposto: “Domani fatevi trovare pronti per le undici che ce ne andiamo alla spiaggia!”; “Ahò, ma che sei matta? Alla spiaggia col virus che sta in giro?!”. “E che c’è di male -risponde mia moglie- vuol dire che prenderemo le debite precauzioni!”. Difatti a lei basta che le dai l’occasione di stare come lucertola al sole e te la sei fatta amica per la pelle. E perciò io, un pò per accontentarle e un pò per non sembrare all’antica, acconsento ed un bel giovedì ce ne andiamo in quel di Ste Adèle.

            Intanto, però, che ordine, e che disciplina, e che reciproco rispetto e senso civico in quella paziente coda alla biglietteria; che debito distanziamento, mascherine al volto o sventolanti al gomito mentre un vistoso cartello fa notare che la sosta in spiaggia non può durare più di tre ore; bah, omai ci siamo e chi si accontenta gode. Proprio di rimpetto all’entrata c’è un piccolo spazio, un pò distante dall’acqua, con tavolino, qualche comoda sedia e degli alberi che ti danno ombra. Lì comunque non c’è limite di tempo e vi ci accampiamo immediatamente; deponiamo le vettovaglie sul tavolo, apriamo le nostre sedie sotto un albero e vi restiamo in santa pace quasi fino al tramonto. Le sedie, guarda caso, sono due nere e una rossa: ancora una volta i colori della  mia squadra del cuore, quella che in campo sportivo sembra aver preso la stessa piega del suo ex presidente in politica! Intanto in quel piccolo fazzoletto d’erba ci godiamo appieno la nostra prima, conscia o inconscia che sia, postcovidiana escursione fuori porta tra il verde degli alberi e il profumo della rigogliosa natura intorno ad un suggestivo laghetto quasi incantato. A tratti Andiamo nell’acqua, a volte ci aggiriamo tra i gruppetti, ben separati l’uno dall’altro, dei bagnanti e, naturalmente, mascherina obbligatoria al volto, si fa anche una capatina al bagno. Che pulizia su quella spiaggetta, che igiene in quelle toilette; ma come mai prima del coronavirus non si aveva tanto senso civico, tanta collaborazione, tanta comprensione, tanta accortezza per gli altri, tanta voglia di essere più prossimi, più vicini gli uni agli altri, essere quelli che ognuno dovrebbe essere: uomini e basta? Mi sa mi sa che questo covid 19 ci abbia messo proprio la testa a posto; mi sa che forse mi sono sbagliato anch’io nel definirlo un poco di buono sin dalla mia prima lettera che gli ho scritto. Qui mi sa che bisogna rivalutare il suo affacciarsi su terra e rimettere in discussione tutto il suo operato in mezzo a noi, poveri comuni mortali; d’ora in poi mi sa che devo onorarmi di chiamarlo il nostro caro nemico…diversamente amico!

            Come ho già detto, in quel piccolo paradiso per un giorno si giunse al tramonto e si decise di consumare una pizza lì stesso per non perdere tempo a preparare la cena al ritorno a casa. Ed ecco pure al ristorante il covidiano rispetto delle igieniche sante regole: disinfettarsi le mani prima di entrare, mascherina al volto se ti alzi dal tavolo a te riservato, seguire la direzione delle frecce se ti sposti o esci dal locale…grazie virus per questi esemplari comportamenti a cui ci stai abituando! Comunque, mani lavate o mani pulite che fossero, non ci fu pizza per nessuno quella sera, in quanto mia figlia optò per le farfalle alla bolognese e mia moglie scelse tagliatelle alla vegetariana per il semplice fatto che il mio occhio, appena aperto il menu, si posò sul termine “all’arrabbiata”; mi ricordai dello scrittore inquieto Ugo Foscolo e fui tentato di ordinare delle buone penne all’arrabbiata…per l’appunto!

Diversamente amico           

Grazie perché:

mi hai fatto sentire l’uomo che sono,

hai saputo umiliare il mio orgoglio,

mi hai fatto tendere la mano al prossimo,

hai messo a nudo la mia nullità,

mi hai insegnato a vivere da essere umano.

Tutto questo grazie a te,

coronavirus,

mio caro diversamente amico!

Grazie perché:

mi hai suggerito di amare la terra,

mi hai consigliato di rispettare il creato,

mi hai intimato di curare la natura,

mi hai ordinato di obbedire alle sue leggi,

mi hai fatto capire di non essere il suo padrone.

Tutto questo grazie a te,

coronavirus,

mio caro diversamente amico!

Adesso fa sì:

che la mia memoria non dimentichi la tua lezione,

che la mia mente si ricordi a lungo dei tuoi disastri,

che il mio cuore si rifaccia bambino,

che la mia coscienza si muova a contrizione,

che il mio operato si illumini di saggezza.

Tutto questo

ancora in attesa del sereno,

coronavirus,

mio caro diversamente amico!

vendredi 31 juillet 2020

 

In paziente covidianità

Ben per noi il coronavirus ci sta distogliendo dalla frettolosità della vita per immetterci in una nuova quotidianità, fatta di calma e pazienza come, per esempio, all’ingresso di vari esercizi pubblici e soprattutto supermercati. Che ci crediate o no queste lunghe attese prima dell’entrata le trasformo in un tranquillo luogo dove approfittare per mettere nero su bianco.

Avendo il privilegio di essere uno della veneranda età, utilizzo spesso il mattino presto per andare a fare la spesa nel supermercato del quartiere che dà agli attempati il  gradito vantaggio di aprire di buon’ora espressamente per loro. Ed eccomi lì, carta e penna in mano, col carrello che mi fa da tavolino, mettere giù appunti per le mie cose scritte. Mascherina in faccia, debito distanziamento sociale, un passo dopo l’altro scrivo qualcosa mentre avanti e dietro a me chi parla, chi digita cellulari, chi verifica o manda messaggi virtuali…mentre tu, virus infame, nascosto in qualche parte ci sbirci e forse godi e deridi beffardo i nuovi comportamenti sociali a cui ci hai costretti! Una buona mezz’oretta di attesa mi dà la possibilità di trascorrere il tempo in maniera interessante e in solitaria compagnia: scrivendo ed anche pensando a voi che adesso mi state leggendo. Non mi era  mai capitato prima di scrivere all’aperto intorno alle sette del mattino, con un fresco venticello che carezza il volto, quello fuori dalla mascherina, che mette il bella mostra la squadra del mio cuore…quella dei diavoli rosso-neri, quelli buoni, bravi e degni di rispetto naturalmente.

A tratti alzando gli occhi noto vari sguardi interrogativi nei miei confronti; comunque non faccio nulla di male, me ne infischio di loro e continuo a ingannare il tempo sfruttando il mio hobby preferito, cioè quello di scrivere. Del resto gli altri pure fanno qualcosa che non hanno mai fatto; c’è chi parlotta, chi si guarda distrattamente intorno, chi magari borbotta scocciato da quel tempo di attesa. Appena arrivato mi sono messo in fila e davanti a me c’erano, e ci sono ancora, una diecina di persone; trascorre del tempo, che ho passato a scrivere, e, rialzando gli occhi e voltandomi indietro, noto che la fila d’attesa si è fatta chilometrica; mentre io, fortunatamente, sarò tra i primi ad antrare!

Finalmente scocca l'ora di apertura e i carrelli, scattanti e frettolosi, vanno a riempirsi di spesa e a dare una pennellata di verde alle tasche dei nostri pantaloni.

 

Pensieri in quarantena

Ondeggia calma, l’acqua, nel laghetto

del parco La Fontaine.

La natura d’intorno la colora

di un bel verde: quel verde di speranza.

Affidandosi alle onde, una nidiata

di anatroccoli delizia la vista:

va onorando la vita

quel grappolo di pennuti, protetto

e guidato da sua mamma chioccia.

Volge, il giorno, al tramonto,

e i cauti assembramenti sotto gli alberi

sembrano far cadere nell’ombra

ogni timore di coronavirus.

Caduto il sole penserà la luna

a custodire i sogni

di adattarsi alle nuove abitudini

di una diversa normalità.

mercredi 15 juillet 2020

Carissimo coronavirus        

Eccomi di nuovo a te, spuderato covid 19 per quest’altra ramanzina. Certo che è una bella faccia tosta quella tua: dopo averci rattristato il sorridente arrivo della primavera, eccoti ancora qui tra noi ad annuvolarci pure il sereno della soleggiata estate. Ed, infatti, insidiosamente appostato in un qualsiasi angoletto di strada, hai già impedito a noialtri nordamericani di sventolare alla grande, come da nostra tradizione, sia la bandiera blu gigliata della Bella Provincia che quella rosso acerata del vasto Canada. Era costume per noi preparare con largo anticipo queste ricorrenze nazionali, questi festeggiamenti di folclore capaci di coinvolgere gente di ogni razza e colore, di ogni cultura e ceto sociale, gente comune e gente colta, uomini e donne degni di essere chiamato popolo canadese in generale e quebecchese in particolare. Quest’anno, intanto, ha serpeggiato sulle nostre teste lo spauracchio della tua letale presenza e quindi: parchi vuoti, piazze deserte, niente assembramenti, niente bandiere colorate sui volti, ma solo mascherine in faccia quasi a mozzare il fiato…fonte di vita unica ed essenziale; sporco razzista, non ti accorgi che non possiamo respirare?!

Intanto grazie per darci la possibilità di valorizzare la nostra casetta in Canada pure dal punto di vista vacanziero. È da una vita che lavoriamo e ci sacrifichiamo per pagarcela e tenerla in buono stato e poi, nelle rinomate vacanze della costruzione ce ne siamo andati in riva al mare a far sì che anche gli albergatori di quei posti potessero pagare i loro alberghi a varie stelle. Detto per inciso, prima le vacanze si prendevano solo a luglio, ma ultimamente si è arrivati a prenderle quando e come meglio si vuole…addirittura anche se non si può! Meno male che quest’anno il tuo silente stare in mezzo a noi ci ha «costretti» a mettere in pratica un tuo saggio consiglio: «Godetevi le modeste spiagge di balcon-ville e back-la-yard beach: risparmierete soldi ed alloggerete gratis!». Estate: stagione di pin-nic, feste campestri e patronali, periodo della settimana italiana! Ed anche in queste ecco pure te, come il prezzemolo, a condizionare suddette celebrazioni di carattere ancestrale; ragion per cui anche qui: niente riunioni sui prati, niente combriccole festaiole, niente processioni e messe all’aperto, niente moda sotto le stelle, niente concerti e niente esibizioni dei nostri giovani artisti; e nessuno sprazzo di luci pirotecniche a rischiarare l’oscurità dei nostri cuori!   

Ma chi l’ha detto che queste celebrazioni estive non possono essere benefiche anche quest’anno? Sia pure senza contati fisici e a debito distanziamento sociale, grazie ai mezzi della tecnica moderna «virtualmente» si può dare ugualmente libero sfogo al nostro spirito festaiolo: ci stai permettendo, caro coronavirus, di arricchire i nostri animi di buone «virtù»; come ti ho detto già nella mia precedente lettera, questa tua bastonata, che ci ha fatto abbassare la testa a terra, ci ha permesso di alzare gli occhi al cielo e di diventare veramente «virtuosi»; penso proprio che tu  abbia proprio voglia di mettere sul nostro capo l’aureola dei santi! Metto fine a questo mio scritto augurando, pur se non lo meriti, una buona estate anche a te dandoti appuntamento al prossimo autunno con il rientro a scuola e con il lieto evento di Halloween…che mascherina indosserai tu in occasione di quella movimentata notte?

mardi 30 juin 2020


Riflessioni meditate nel silenzio della quarantena



Coronavirus:



pensiero fisso di inizio 2020 a sbandare i passi dell’umanità in cammino.



IO, che mi sono orgogliosamente chiuso in quarantena, diventerò quel modesto io capace di rispettare anche gli altri?



Anche l’orgoglio ha il suo picco; appena lo raggiungi ti fa capire chi realmente sei!



Eccoci tornati ad essere quelli che non accettavamo di essre: uomini normali!



Grazie per averci permesso di abbasare la testa per terra e di alzare gli occhi al cielo.



«Resto a casa», in questo silenzio che sembra parlare all’animo, ascoltiamola, finalmente, la voce della nostra coscienza.



Lavarsi le mani per evitare il contagio; sciacquarsi la bocca per non creare panico!



Grazie camici bianchi; medici in prima linea, crocerossine al fronte, angeli custodi della salute altrui.



Vestito di bianco, pastore senza gregge, papa Francesco, camminando a passi lenti per Piazza San Pietro, medita sotto  la sua finestra vuota.



Nuovi modi e abitudini di vita all’orizzonte…adattarsi a convivere col nemico.



La memoria umana è così corta che si scorda troppo presto proprio delle cose di cui non dovrebbe dimenticarsi.



Che ordine e che disciplina nei supermercati e centri di acquisto! Non si potrebbe estenderlo a sempre suddetto comportamento civico?



Stretta quarantena soprattutto per gli over 60. Molto bene! Ma perché in determinati orari ci sono supermercati aperti esclusivamente per le persone anziane?



Il nostro nuovo,  sia pur scomodo compagno di vita!



Quando Dio creò il mondo non gli diede una data di scadenza; gli prescrisse solo dei «ricostituenti» geologici con cui rigenerarsi.



Il progresso dell’uomo è come la scalata di un monte; quando raggiungi la cima,  non rimane che il discendere.



Grazie per le città disintossicate dallo smog e per i cieli purificati dalle piogge acide.



Se l’uomo fosse stato capace di diventare migliore, avrebbe utilizzato la peste del Peleponneso come trampolino di lancio per tuffarsi nei mari della bontà!



Contrito, l’uomo si è inginocchiato dinanzi a Dio per confessarsi. Fino a quando resterà nel suo cuore questo proposito di bontà?

Un anormale necessario ritorno alla normalità!



Se si è preparati alla vita, si dovrebbe essere pronti ad affrontarla in ogni evenienza.



Ereditario fiore all’occhiello dell’umanità in cammino, ecco di qua i camici bianchi figli di Abele; e di là gli sciacalli figli di Caino.



Il contagio ammazza, lo sciacallaggio degrada, ma l’uomo resta sempre lo stesso.



Mamma mia quanta gente si è insavita e istruita con questa pandemia. Tu, però, ascolta tutti e non credere a nessuno; non vorrei che, oltre al contagio, si propagasse pure il panico. Ed allora: se ci si lava le mani per evitare quello, sciacquamoci pure  la bocca per non diffondere questo.



La prima visita di dovere dopo la pandemia è da farsi al cimitero: per rendere il mancato omaggio a quelli che vi sono stati portati, e per rendere grazie a Dio per non esserci stati portati.