ANCHE QUESTA È
AMERICA ©
(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)
LA CALUNNIA
Correvano
i tempi in cui Giuseppe attaccava a lavorare alle sei in punto del mattino:
immaginate voi a che ora doveva alzarsi. Fortuna che, data l’ora mattutina, con
una mezz’oretta ce la faceva a recarsi in fabbrica! Nel reparto di cui era
responsabile c’era pure il turno dalle quattro a mezzanotte ed era sua mansione
ritirare il lavoro fatto la sera precedente e approntare quello da farsi dalle operatrici del giorno. Era d’obbligo,
quindi, trovarsi lì di buon’ora perché quelle alle sette precise già stavano
con i piedi sui pedali delle overlock e non volevano perdere neanche un minuto:
lavoravano a cottimo e ogni attimo perso voleva dire qualche soldino in meno
sulla busta paga. Cosicché quando arrivavano i “signori delle otto” lui già
aveva sulle spalle due ore di lavoro a tamburo battente. Ma, siccome tutto è
relativo, sentite questa. Un mattino, verso le otto meno un quarto, se ne
arrivò uno ancora sbadigliando e gli occhi pieni di sonno. Giuseppe,
indaffarato com’era, non fece caso a salutarlo. “Ehi, -gli fece quello
bonariamente- non si dice più buon giorno alla gente la mattina presto?”.
Ditemi di grazia, se per quello alle otto era mattina presto, cos’era per
Giuseppe alle sei? Una di quelle vere mattine presto, parcheggiando la macchina
come d’abitudine, scorse poco lontano alcune delle sue operatrici in preda al
panico perché i mariti di due di loro stavano litigando animosamente. Fortunatamente
il passaggio di una volante calmò gli animi bollenti ed evitò loro di venire
alle mani. Il come e il perché di quella mattutina rissa eccovela spiegata il
più brevemente possibile. Due di quelle nobildonne, giorni prima, una parola
tira l’altra, vennero alle corte arrivando a darsi, naturalmente, pure
l’appellativo di “buone donne”. L’eco di quei poco graditi complimenti giunse
all’orecchio dei rispettivi mariti che, non trovando di meglio, scesero in
piazza per la resa dei conti.
(Prima di arrivare
alla calunnia del titolo, comunque, bisogna premettere qualcos’altro.
L’industria tessile in cui il nostro lavorava prima, a causa di una
sottoscrizione maggioritaria degli operai in favore di un sindacato, chiuse le
porte. Per Giuseppe detta chiusura cadde come una manna dal cielo; infatti
trovò lavoro dove accadde il fatto della calunnia,
appunto, ma dove aveva avuto pure la
fortuna di entrare a far parte dei “signori delle otto”. E non è tutto perché
in occasione delle feste natalizie ebbe un’altra piacevole sorpresa. Nel
periodo festivo, pur non avendo settimane complete, le paghe risultarono uguali
a quelle di ogni altra settimana regolare. Pensando a qualche errore, andò a
chiedere spiegazioni e si sentì rispondere: “Tu sei pagato a settimana e devi
essere pagato pure per i giorni che siamo chiusi per motivi di festa. Perché
dove stavi prima ti tagliavano la paga?”. E in effetti era proprio così: lo
avevano fatto fesso, dove stava prima! Ma lasciamo da parte simili quisquilie e
cerchiamo di arrivare alla calunnia.)
Intanto in questa
nuova fabbrica si trovava fin troppo bene e anche con le sue dipendenti
sussistava un clima di ottima intesa e di sincera simpatia. Anzi, alcune di
esse le aveva fatte venire lui stesso lì allorché aveva chiuso i battenti
l’altra manifattura di calze. Ma in generale era ben voluto e stimato da tutte
per il suo fare equo e imparziale: da non dimenticare che anche lì le sue donne
lavoravano a cottimo! Eppure ci fu qualcosa che venne a turbare quel raro
equilibrio di reciproca simpatia e buona collaborazione. Un mattino, ancor
prima di arrivare nel suo reparto, avvertì uno strano brusìo e una certa
agitazione in mezzo alle sue operatrici: appena varcata la soglia, però, tornò
tutto improvvisamente alla normalità. Fingendo a sua volta di non aver udito
niente, salutò come sua abitudine senza distinzione di lingua o di razza: “Buon
giorno, Bon jour, Good morning, Kalìmera” e si diresse al suo tavolino. Intanto
quella della macchina in fondo a tutte, con l’indice della mano destra sulla
bocca, gli fece capire di starsi zitto; poi, roteandolo ripetutamente, gli
diede a intendere che gli avrebbe spiegato tutto più tardi. In attesa di quel
“più tandi” se ne andò nel reparto tessitura a prendere il lavoro da
distribuire durante la giornata. Tornando col carrello pieno incontrò il
manager con cui, dopo il “buon giorno” di rito, continuò il cammino insieme. E
insieme avvertirono il brusìo sospetto di poco prima. “Ma che hanno stamattina
le tue operaie?”, chiese il manager a Giuseppe che rispose: “Boh, anche
poc’anzi ho notato una specie di trambusto; ma poi si sono calmate. Vattelappesca
cosa passa loro per la testa!”. Cosa passava loro per la testa glie lo fece
sapere la donna del dito sulla bocca. Chiamandolo con la scusa della macchina
che non andava bene, gli lasciò scivolare un bigliettino tra le mani. Giuseppe non finì nemmeno di leggerlo che subito corse a farlo vedere in
direzione. “Ecco svelato il mistero del putiferio di stamattina! Sono proprio
io il diretto interessato: leggi qui!”, disse porgendo il bigliettino al suo
capo e poi continuò: “Una di quelle streghe ha calunniato quella befana della
seconda macchina di avere avuto un figlio da me!”. E tutto impaurito e
sconcertato raccontò il fattaccio dei mariti gelosi avvenuto alcuni anni prima
dinanzi alla vecchia fabbrica. E, quasi per dare una prova convincente della
sua innocenza, concluse: “Mia moglie la conosci anche tu: ti pare possibile che
avrei cambiato l’occhio per la coda?”.
Prima
della chiusura dell’azienda il manager si premurò di rassicurarlo: “Ho chiamato
a casa della tua “amante” e il marito in persona mi ha confermato di esserne già al corrente e che sono tutte
calunnie mosse alla moglie per gelosia. Perciò torna a casa e dormi a sette
cuscini…ché nessuno ti impedirà campare cent’anni e più!”.
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