ANCHE QUESTA È AMERICA ©
(I
racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)
LA GAVETTA
(Parte seconda)
Tempo
dopo Giuseppe fu raccomandato a un grande industriale italocanadese. Un pezzo
grosso che conosceva mezzo mondo e che un posto come si deve glie lo avrebbe
trovato di sicuro. Perciò una sera, dietro appuntamento, si recò a casa di
questi per un colloquio. E tu me la chiamavi una semplice casa quella lì? Ma
quella era una reggia! Seminterrato, salotti e salottini, sale a dritta e
camere a manca, accessori vari, giardini, giardinetti e altro ancora…un villino
in piena città. La gente si meravigliava e lo squadrava da capo a piedi il
fortunato signore che possedeva “tutto quel casacchione”. Ma che bisogno c’era,
poi, di stupirsi tanto? Chi ha polvere spara! In fin dei conti era lui che
doveva badare alla sua manutenzione e pagarne le tasse. Ma sì, che se la
godesse per cent’anni quella casa: ne aveva fatti di favori e piaceri anche
agli altri. Ne aveva sistemata di
gente appena arrivata dall’Italia, come ora stava appunto facendo con Giuseppe.
Entrò,
fu ricevuto nello studio e fu posto a un confidenziale interrogatorio onde
venire a conoscenza del suo curriculum vitae. E quel signore, che gli avevano
descritto come uno dei massimi esponenti della Montreal di allora, si dimostrò
abbastanza disponibile a soddisfare come si doveva le esigenze del nostro
fresco italo emigrante. Nel bel mezzo della conversazione prese il telefono e
cominciò a parlare con qualcuno che doveva essere un suo vecchio amico da lunga
data. Discorrendo con quello, in italiano ma a tratti pure in inglese, gli
chiese se nel suo ristorante avesse qualcosa per un giovanotto appena arrivato
dall’Italia. “Bene, my dear, -fece concludendo- domani te lo porto!”. Mentre lui riattaccava la cornetta Giuseppe
pensò: “Ma se ha un’industria tutta sua, perché non mi prende con lui?”.
La risposta a quel suo interrogativo l’ebbe
il giorno dopo allorché l’insigne mecenate, in un lussuoso Cadillac dell’epoca,
l’accompagnava dal suo amico ristoratore. “Ieri sera mi hai fatto capire che in Italia hai studiato, vero?” chiese
a Giuseppe che rispose: “Si ho studiato da maestro!”. E quegli di rincalzo:
“Allora, avendo studiato anche storia, saprai di certo che i più grandi
generali sono proprio quelli che hanno avuto la gavetta più dura! Io la mia, per
esempio, l’ho inziata qui, nella cucina del padre di questo mio grande amico!”.
E nella cucina di quel ristorante ne lavò di piatti e ne sbucciò di patate pure
il nostro nuovo…soldato a prendere il rangio dalla sua gavetta! In compenso,
però, ebbe l’occasione di contattare gente di differenti culture e ceto
sociale. Per quanto riguarda poi l’apprendimento delle lingue locali, tale
opportunità si rivelò quasi come una manna piovuta dal cielo. Nel pomeriggio andavano
a lavorare lì alcuni studenti con cui potè praticarle e approfondirle
maggiormente. Si diede anche il caso che uno di quei giovani, avendolo preso in
simpatia, gli suggerisse di recarsi in un certo posto dove richiedevano
personale serio e volenteroso. Giuseppe ci andò e ci rimase pure. Infatti per
le buone possibilità di guadagno e per le lusinghiere prospettive di
avanzamento che gli venivano offerte valeva la pena mettere da parte gli studi
fatti e volgere la testa a ideali di tutt’altro genere. D’altronde, se ebbe la
forza di volontà di attaccare al chiodo carta, penna e calamaio, si vide pure
baciato in fronte dalla fortuna che, facendogli abbandonare scopa, patate,
piatti e gavetta, diede modo anche a lui di intraprendere la sua brava vita di
carriera, che gli avrebbe dato anche modo si sentirsi più realizzato…in qualità
di caporeparto, alias boss, in una
manifattura di trapunte e ricami, che gli permise per parecchi e parecchi
annetti di sbarcare il lunario con decente orgoglio.
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