ANCHE QUESTA È AMERICA ©
(I racconti di
Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)
IL MIRACOLATO
È
fuori discussione che ne avete sentito parlare pure voi di miracoli. A
proposito, cosa ne pensate di questi fatti del tutto soprannaturali? Il
miracolo è un qualcosa talmente eccezionale che è ben difficile dargli un
giusto valore in tempo reale e nessuno, pertanto, può affermare con estrema
sicurezza di averne visto verificarsi qualcuno. D’altro canto di persone
miracolate ne esistono eccome e a tutti indistintamente sarà stato additato un
Caio o Sempronio come singolare destinatario di un qualche simile portento. A
volte magari ci abbiamo creduto; altre volte, invece, siamo rimasti stupiti o
confusi, se non addirittura scettici. Comunque di miracoli ne fanno solo i
santi e non penso affatto che un santo, dopo averne operato qualcuno, venga a
rivendicarne la paternità: mancherebbe di modestia e non avrebbe più tutte le
carte in regola per continuare a portare la sua aureola in testa. Nella nostra
quotidianità di comuni mortali si presentano di sovente episodi che fanno
gridare al miracolo; solo che subito dopo riprendiamo la mormale routine come
se nulla fosse accaduto, senza preoccuparci minimamente di dover ringraziare
qualche santo o ritenendo proprio di non doverne essere riconoscenti ad alcuno.
Il miracolato di questo mio racconto avrei dovuto chiamarlo “Fortunato”, ma non
l’ho ritenuto opportuno perché lui né vuole ammettere il miracolo, né tantomeno
si ritiene fortunato. “Si vede che non era ancora giunta la mia ora!”, va
ripetendo, ancora adesso a distanza di tempo, a chi gli ricorda che quel giorno
ebbe la vita salva per miracolo. In ogni modo, bando alle chiacchiere ed eccovi il fatto per filo e per
segno. Dopo averlo letto sarete voi a stabilire se fosse stato
il caso di alzare gli occhi al cielo o fosse bastato semplicemente dar merito
alla dea bendata o pensare scetticamente alla mancata ora del destino.
La
fabbrica in cui prestava servizio Giuseppe, allorché avvenne il fatto, era una
di quelle in cui molti macchinari e quasi tutti gli utensili da lavoro venivano
alimentati da un sistema funzionante ad aria compressa. Essendo state comprate
delle nuove macchine, si dovette procedere al prolungamento dei tubi che
conducevano l’aria attraverso i vari settori dello stabilimento. La diramazione
dei conduttori d’aria, posta in alto sotto il soffitto, a tratti scendeva giù
nei posti voluti in modo da non dar fastidio agli operai mentre lavoravano.
Ebbene, un bel mattino arrivarono due meccanici con un carrello montacarichi e
si avicinarono al tavolo di Giuseppe in quanto alcune connessioni dovevano
essere effettuate esattamente lassù sul suo capo. “Questione di qualche quarto
d’ora” lo rassicurarono, precisando che lui avrebbe potuto continuare a lavorare
tranquillamente una volta che essi si erano istallati così come la situazione
richiedeva. Gli chiesero solo di spostarsi un attimo: il tempo necessario a far
montare una gabbia di ferro sostenuta dalle palette anteriori del carrello e
dove si trovava l’uomo che avrebbe dovuto fare l’attacco dei tubi. Il
montacarichi salì e ognuno riprese la sua normale attività. Erano trascorsi una
ventina di minuti e il meccanico in alto doveva essere quasi al termine del suo
lavoro. In quel mentre, intanto, un altro operaio si avvicinò a Giuseppe e gli
fece: “Sai una cosa? Ti vedo proprio male con quella gabbia di ferro sul capo.
Perché non vai a occupare quel tavolo libero laggiù in fondo?”. Il miracolato ,
uno di quei tipi che sono portati a fare sempre il contrario di quello che gli
si dice, quel giorno però non ebbe proprio nulla da ridire e si spostò placido e
tranquillo…semplicemente burlandosi dell’amico che non aveva “troppa fiducia
nei congegni della tecnica moderna”.
Che
ci crediate o meno, si era appena allontanato dal suo posto che il manovratore
del carrello elevatore azionò il pulsante che avrebbe dovuto far scendere
“lentamente” giù le palette con la gabbia di ferro. Cosa mai non funzionò per
farla piombare giù in caduta libera e andarsi a schiantare sul tavolo dove il
nostro Giuseppe fortunatamente non si trovava più? Il tavolo, legno duro e
metallo, lo si vide spacato in due in un baleno; l’uomo nella gabbia aveva
avuto la prontezza di riflessi di tenersi attaccato a essa e ne uscì pure lui
miracolosamente illeso. E Giuseppe? Osservò con occhi increduli quanto era
accaduto e fu guardato da tutti con sguardo tra l’attonito e il perplesso! Per
un attimo nessuno battè ciglia né alcuno fu capace di dire una parola.
Sconcerto passeggero, però, perché dopo qualche attimo tutto ritornò alla
normalità e nessuno parlò mai più né di caso fortuito, né di miracolo. E i
santi? A favore fatto se ne tornarono, forse come loro abitudine in simili
frangenti, senza ringraziamento alcuno… pazienti e silenziosi in cielo!
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