dimanche 27 septembre 2020

 

 

In orante covidianità 

      Causa virus i luoghi di culto sono stati tra i primi a chiudere le porte e tra gli ultimi a riaprirle; tutto questo ci ha portati a tenerci in contatto con l’Alto in modo, è veramente il caso di dirlo, completamente «virtuale».

       È stato solo qualche mese fa che anch’io, al richiamo delle sue campane, mi sono recato nella Maria Ausiliatrice per il mio primo ingresso post-covid in chiesa: per il momento preferisco andare a messa a quella meno affollata delle cinque pomeridiane. Precluse da cordoncini colorati, in molte file di banchi è vietato sedersi per la nuova moda del distanziamento sociale; nonostante questo la presenza in chiesa, al pari del peso sulla luna, è ancora la metà della metà: cosa ti prende, mia cara gente? Hai paura del contagio anche nella casa di Dio? Suvvia, coraggio: penso che il Signore, almeno la Sua dimora, la tenga ben disinfettata!  Entro, prendo posto e, mascherina al volto come tutti gli oranti, mi guardo intorno. In alto, su due mensole ai lati del presbiterio, la Madonna da un lato e dall’altro san Giuseppe: la mamma e il papà di Gesù; tutt’intorno alla vasta navata, sui mosaici delle vetrate, i fatti salienti del passaggio del Cristo in terra; alla sinistra di chi guarda un vistoso crocifisso, ma lo sguardo viene immediatamente attratto dal Risorto illuminato dai potenti raggi di un sole radioso! Le braccia protese agli astanti il Figlio prediletto sembra dire: «Io sono la via, la verità e la vita».

       Ma cosa ha fatto l’umanità da duemila e rotti anni a questa parte? Quali momenti e quali azioni del figlio dell’uomo ha preso ad esempio per rendersi meritevole del regno promesso? Per comodo o per convenienza si è menata subito per la scorciatoia; ha scartato le rinunce ed i sacrifici e si è messa orgogliosamente sul cammino che porta alla gloria; ha scansato le ombre e si è immersa nella luce; senza passare dal Golgota ha scalato repentinamente il Tabor non considerando che tale corsa  poteva costarle cara: ha fissato lo splendore, ma l’improvviso bagliore l’ha accecata! La vista abbagliata ha perso il controllo delle sue cose e non ha più saputo gestire i tempi del suo operato; è caduta in confusione e, dinanzi alle provette del suo laboratorio, invece di schiacciare il bottone della vita ha digitato quello della morte, dando la colpa al covid per le tenebre che sono venute ad oscurare il cielo sul suo capo.

       Nella Maria Ausiliatrice, dopo l’ite missa est, non si esce più dall’entrata pricipale, ma bisogna farlo da quelle laterali che danno nel parcheggio; seguendo le frecce per l’uscita sulla sinistra bisogna passare sotto il crocifisso e attraversare la cappella delle mamme coi bambini: non sarà che per diventare buona, l’umanità, debba pentirsi e ritornare bambina?

 Ma non dimentichiamo che l’umanità non è un termine astratto: l’umanità siamo ognuno di noi!   

samedi 19 septembre 2020

 

In lavorativa covidianità      

        Scongiuri di rito ed amuleti di buona fortuna alla mano onde evitare un’eventuale seconda ondata del covid 19, sembra quasi che le lancette dell’orologio stiano pian pianino riprendendo il loro quotidiano ticchettìo intorno al mondo. Intanto bene o male già ci siamo quasi adattati a quelle nuove modalità di vita che il virus ci va imponendo; ed infatti sono già parecchie le nuove normalità a cui ci stiamo assuefacendo per camminare sottobraccio alla covidianità.

       Naturalmente uno scossone di vasta portata lo sta subendo di certo il settore lavorativo: manuale, di concetto o digitale che sia. Le fabbriche ancora non si riprendono, il mondo dello spettacolo è ridotto al minimo e in tutti gli altri settori o ci si arrangia o si arranga. Comunque in nessun posto di lavoro il buon giorno del mattino, il saluto della chiusura, le pause caffè o la sosta pranzo sono come quelli, lieti e spensierati, dell’anti covid. Si fa di tutto per rimettersi in sesto, ma l’umore collaborativo e il contatto fisico di una volta sembrano quasi essere stati messi sotto gamba dal lavoro a distanza. Si lavora per la stessa impresa, ma non ci si può guardare in faccia, non ci si può scambiare sguardi di complice sostegno né, tantomeno, sentirsi uniti dalla soddisfazione di collaborare tutti insieme lì, presenti in loco. In poche parole va sempre più prendendo piede il telelavoro, che prima della pandemia era appannaggio di pochi eletti privilegiati. Ma quello che è più preoccupante è come gestire in sanitaria sicurezza quei lavori prettamente manuali che, magari, richiedono anche una collaborazione gomito a gomito. Il virus si è già messo alle spalle la prima metà di questo sconcertante 2020 e intanto l’uomo si chiede ancora che ne sarà del nostro immediato domani ed anche di quello più lontano: che scia lascerà nel futuro questo drammatico presente? C’è all’ordine del giorno una nuova normalità, una diversa maniera di agire a cui adattarsi per poter sopravvivere: saprà, l’uomo, travare la giusta via per continuare il cammino? È preparato ad affrontare questo differente modus vivendi?

       Ma vogliamo ritornare per un momento indietro nel tempo? Anche in passato ci sono stati dei momenti che ci hanno dato delle preoccupazioni economiche. Ricordo, negli anni 70, lo sbarco in fabbriche ed aziende di robot e mezzi computerizzati: erano macchinari che potevano rimpiazzare la manodopera di più lavoratori e, quindi, avevano la capacità di aumentare gli introiti diminuendo le paghe e di mettere, di conseguenza, gente sul lastrico! E quale gente finiva sul lastrico? Le vecchie manovalanze che, sebbene esperte e competenti, non erano pertanto in grado di familiarizzare con i nuovi congegni della tecnica moderna. Intanto, col tempo, quegli allarmi di allora si sono andati man mano attutendo ed ognuno si è automaticamente assuefatto a quel nuovo fare che, ormai oggi giorno, è anch’esso invecchiato. In quel frangente ebbi a scrivere in qualche mio componimento che, forse, l’uomo «per suo danno il suo progresso impasta» ed in un altro punto che «avvantaggiando il futuro dell’umanità, spesso il progresso rovina il presente dell’uomo». Cabala o non cabala, corsi e ricorsi storici che dir si voglia, mi sembra che si tenta spesso di assestare l’economia mondiale favorendo le fulve chiome giovanili e quelle dorate delle genti mature a scapito di quelle argentate della canizie senile. Non è giunta anche al vostro orecchio la teoria del ringiovanimento della specie umana per ristabilire un giusto equilibrio nell’economia sociale?

        A tale proposito un bel bravo a te, uomo: quanto sei grande! Dopo essere riuscito a creare la vita in vitro, adesso vai anche rimproverando Iddio per aver messo troppa gente sulla faccia della terra!

samedi 5 septembre 2020

GENTE NOSTRA: dal telecomando al voto

La programmazione di Rai International e il voto per gli italiani in Canada, fino a qualche decennio fa, erano due sogni da vera utopia; oggi giorno, intanto, sono due realtà da fiore all’occhiello per tutti noialtri italo-canadesi e non solo. Ormai ci rechiamo alle urne quando il dovere ci chiama ed accendiamo la televisione in lingua italiana come se niente fosse, o meglio come se fossero due prerogative che ci spettano di diritto. Intanto abbiamo dimenticato le battaglie campali che furono affrontate e sostenute affinché divenissero un fatto compiuto. Essendo stato appunto Giovanni Rapanà l’unico paladino, anche se a guerra finita sono stati in tanti a salire sul podio della vittoria, ad avere innalzato la bandiera di questa schietta e «patriottica» italianità, mi fa piacere aggiungere anche il suo profilo nella mia raccolta di «gente nostra».

       Giovanni nasce a Calatone in provincia di Lecce, nel Salento, il 6 novembre del 1957 e, per quel che riguarda il suo curiculum scolastico, frequentò l’università di Genova presso la facoltà di Economia e Commercio. Mentre per la sua carriera professionale nel 1978 entrò al servizio della Marina, sempre nella città di Genova, col grado si sergente: esperienza di vita che lui stesso definisce «una straordinaria esperienza umana, nonché fisica e psicologica»; se posso dire anche la mia, sin da quando l’ho visto per la prima volta il suo naturale portamento mi ha subito dato l’impressione di un graduato militare. Ha solo ventidue anni quando inizia a prestare servizio in una imporante istituzione bancaria che sarà per lui una formazione di base in materia di economia e gli darà la possibilità di spostarsi spesso e di conoscere meglio il suo Paese. Si affaccia per la prima volta in America nel 1986, per una breve visita, dietro invito di una sua conoscenza ed è subito amore a prima vista con New York e con il Quebec innevato. Intanto il Canada è sempre stato «il sogno della sua infanzia dove vivere in piena libertà in una piccola capanna dinanzi ad un immenso lago»; vi ritorna dopo tre anni e si stabilisce definitivamente a Montreal dove apre una modesta importazione di vestiti…che, purtroppo gli andrà male. Ma, essendo uno che «guarda sempre il lato positivo delle cose», non si abbatte anche perché «il ricominciare non gli fa paura».

        Ingrana una nuova marcia, riprende il cammino e si mette al servizio dei valori socio-comunitari della sua etnia. E questo percorso gli darà soddisfazioni morali e riconoscimenti onorifici come Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e Grande Ufficiale della Solidarietà Italiana. Intanto le scuole pubbliche del Quebec sono testimoni della sua professione di insegnante e l’italianissimo ospedale Santa Cabrini ha usufruito delle sue capacità amministrative. Ma è come più volte presidente del COMITES e come Vice-Segretario generale del CGIE (Consiglio Generale degli Italiani all’Estero) che non si è mai risparmiato di scendere in campo a difesa dei valori e dei diritti dei suoi connazionali in terra canadese. È grazie all’impegno preso in mome di questi due Enti che è divenuto «popolare» ed è entrato nel cuore della gente nostra: quella semplice, schietta e sincera di tutti i giorni! È  da svariati anni, ormai, che serve la comunità in veste di consigliere municipale in quel di Rivière des Prairies-Point aux Tremble, la mia municipalità e, quindi, vi prego di credermi quando affermo che il suo interesse per il quartiere e per i suoi cittadini fa parte integrante del suo pane quotidiano!

       L’attuale senatrice Francesca Alderisi, allorché animatrice di Sportello Italia, intervistò l’allora ministro per gli italiani nel mondo Mirko Tremaglia che, a proposito di noialtri emigranti disse: «Me ne sono per sempre innamorato; ed essere innamorato vuol dire sicuramente fare una battaglia fino all’ultimo giorno della propria vita». E la battaglia di cui parlava il Tremaglia era il voto per gli italiani all’estero che senza di lui forse sarebbe ancora un sogno. Intanto bisognava stabilire contatti e trattative pure nelle giuste sedi dei governi canadese e provinciale; ed a fare da ponte tra l’Italia e il Canada a tale riguardo c’è pure il nostro Rapanà. Difatti è appunto a lui che l’allora ministro Pierre Pettigrew, il 24 novembre 2005, annuncia la decisione del governo federale di consentire agli italiani in Canada il diritto di voto alle elezioni politiche in Italia; ed infatti proprio nell’anno successivo lo stesso Tremaglia annunciava che «gli italiani che risiedono in Canada potranno votare ed essere votati nelle prossime consultazioni politiche del 2006 per il parlamento italiano».

       Ormai, telecomando alla mano, è divenuta una giornaliera abitudine sintonizzare la tv sui programmi in lingua italiana 24 ore su 24. Poiché sto parlando di Giovanni, mi fa piacere rendergli onore nel sottolineare i passi che dovette fare e le porte a cui dovette bussare e le tante firme che dovette raccogliere prima di riuscire a farci ottenere questo singolare privilegio. Bisognava convincere la CRTC che «al pari degli altri gruppi etnici del Canada, anche gli italiani hanno il diritto di esigere una programmazione televisiva nella loro lingua». Appunto con in mente quest’altro sogno da far divenire realtà, lottò a spada tratta finanche per cambiare ed addirittura per far creare nuove leggi che ci consentissero di tenerci in contatto con la nostra terra di origine attraverso le moderne vie satellitari. A parte questo, ho conosciuto Giovanni Rapanà sui banchi di scuola del PICAI e quindi non posso non mettere in risalto il suo entusiasmo per l’insegnamento dell’italiano sia nelle scuole del sabato mattina che in quelle pubbliche: se oggi esiste il CESDA è perché è stato proprio lui a fondarlo e consegnarlo alla comunità italiana onde evitare conflitti di interesse col Comites e con il Cgie. Cos’è il CESDA? È il più recente ente comunitario che si prefigge di integrare l’insegnamento della nostra lingua nel maggior numero di scuole pubbliche possibile! Il CESDA quindi è lo stesso avvenire linguistico dei nostri figli; è, di conseguenza, il rilancio della nostra cultura nel futuro: grazie Giovanni per quest‘altro tuo stupendo pensiero proiettato nel nostro domani!