ANCHE
QUESTA È AMERICA ©
(I racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)
SUI PASSI DEL PROGRESSO
Correvano i tempi in cui la tecnologia
computerizzata andava prendendo possesso, a passi sempre più incalzanti, anche
di fabbriche e manifatture e di aziende e ditte; insomma, anche dell’intero
mondo del lavoro. Di frutta al mercato, infatti, chi prima ne porta prima ne
vende.
Fischiettando l’ultimo motivo ascoltato alla
radio entrò pure quel mattino in fabbrica, ma non gli passò nemmeno per
l’anticamera del cervello che quella sarebbe stata anche l’ultima volta che ne
varcava la soglia. Mentre si dirigeva verso la sala mensa per deporvi il
cestino della colazione, andava salutando con ampi gesti della mano i vari
gruppetti di operai che, qua e là per la manifattura, aspettavano
chiacchierando la campana delle otto.
“Ha finito di fare il gradasso! -sussurrò
l’addetto alle pulizie ad un compagno di lavoro dopo che Giuseppe si era
allontanato- Oggi lo mettono sulla macchina automatica. Staremo a vedere come
se la cava il nostro esperto!”. “E tu che ne sai!”, “Cosa vuoi dire con
questo?” chiesero alcuni del gruppo sorpresi e incuriositi. “Oggi ve ne
accorgerete. -ribatté lo scopino- Non è forse vero che certi intrighi di
palazzo, oltre al re, può conoscerli pure lo stalliere?”.
Si
vociferava già da tempo, infatti, di una macchina robot che avrebbe svolto il lavoro
di almeno due o tre persone con un rendimento, sia qualitativo che
quantitativo, di gran lunga superiore. Il tanto decantato aggeggio computerizzato era arrivato solo da qualche
mese ed era già pronto a dare frutti e a ridurre manodopera, a tutto vantaggio
e profitto dell’azienda naturalmente.
In quell’ultimo mese lo sfondo unico di ogni ragionamento era stato solo
la capacità del nuovo macchinario di produrre molto, bene, con minori spese e
poco personale. È appunto in rapporto a quest’ultima nota dolente che è bene
ricordare perché Giuseppe era stato soprannominato “il gradasso”. Lavorava lì
da più di trent’anni, era uno dei più anziani, si era dedicato sempre con
impegno ed efficienza all’espletamento delle sue mansioni; per le sue ottime
competenze avrebbe potuto occupare addirittura il posto di caporeparto, ma non
gli era mai andato a genio avere delle responsabilità sulle spalle: aveva
sempre preferito restare un semplice operaio senza grattacapi per la testa. Adesso che, a causa
di quel nuovo macchinario, qualche licenziamento di certo ci sarebbe stato, chi
avrebbe potuto toccare proprio lui con all’attivo quell’ineccepibile curriculum professionale?
Scoccarono
le otto e la campana suonò e ognuno si recò al suo “posto di combattimento”
come erano soliti chiamare, forse per alleggerire un tantino la pesantezza
della fatica giornaliera, le loro postazioni di lavoro. Anche il nostro fece
automaticamente la stessa cosa ma, giunto al suo posto, non vi trovò sessuna
“arma da combattimento”. Era lì ad attenderlo, invece, il suo diretto superiore
che, dopo il rituale buongiorno gli disse: “E
adesso, signor Giuseppe, vieni con me. Ho una giobba speciale oggi per
te!”. Il “gradasso”, intuendo tutto già dall’antifona, cominciò a sudare freddo
mentre un brivido gli attraversava tutto il corpo. Come avrebbe fatto a
manovrare quel marchingegno della tecnica avanzata? Intanto la sua maggiore
preoccupazione era la figuraccia che avrebbe fatto con i suoi compagni di
lavoro. Eh sì, il millantare in precedenza le sue virtù professionali non era
stato altro che un fare i conti senza dell’oste; allorché lo faceva non poteva
mai immaginare che sarebbe stato proprio lui il prescelto alla digitazione di
quel nuovo gioiello delle umane invenzioni. Inghiottendo amaro, simulando una
certa padronanza di sè, ma internamente teso, si mise a disposizione del
givinetto imperbe che gli avrebbe fatto da istruttore fino a quando non sarebbe
stato in grado di operare autonomamente. Ascoltava attentamente, eseguiva gli
ordini, si affannava a fare del suo meglio, ostentava spigliatezza e
sicurezza…ma si vedeva da lontano un miglio che quell’aggeggio tutto pieno di
bottoncini e luci era un qualcosa di superiore alle sue pur più che brillanti
capacità lavorative: era un nuovo sistema di lavoro che poco si confaceva alle
sue vecchie conoscenze di operaio comune. Fingendo di non notare le espressioni
ironiche e i sorrisetti sarcastici dei “cattivelli” che avevano bene intuito il
suo stato d’animo, riuscì a portare ugualmente a termine quella lunga e sempre
più demoralizzante giornata.
L’indomani,
allorché non lo si vide rientrare in fabbrica, solo qualche fidato sapeva che
la casetta pagata e un buon gruzzoletto in banca gli avevano suggerito, da
ottimi garanti, di tirare avanti in un modo più libero e spensierato, senza
padroni e lontano da robot. Intanto nessuno lo aveva messo fuori; era stata una
sua, pur se sofferta, libera scelta. La diplomazia aziendale, infatti,
affidandogli quel delicato compito non aveva fatto altro che rispettare ogni
suo diritto di anzianità e di competenza. Erano state le esigenze innovatrici
della scienza a mettere in testa a Giuseppe il pensierino della prepensione.
Era stata l’impellenza della
computerizzazione a fargli capire che a un certo punto si deve pure far largo
ai giovani. Perciò nessuno gli aveva fatto il torto di metterlo alla porta: era stato
l’inesorabile cammino del progresso di
cui nessuno si rende conto che, pur avvantaggiando il domani dell’umanità, a
volte purtroppo rovina l’oggi dell’uomo!
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