ANCHE QUESTA È AMERICA ©
(I
racconti di Giuseppe scritti dal Maestro Cuore)
LE COMARI
“Hai
capito la bionda che è arrivata solo qualche settimana fa?”, fece Fulvia
all’amica Elvira che chiese a sua volta:
“Quale, quella che ha portato lui?”. “Esatto, proprio lei. Già prende cinque
soldi in più di noi!”. “E a te chi l’ha detto? Come fai a saperlo?”. “Giovedì
scorso le è caduta la slippa paga per terra e io sono riuscita a vedere quanto
prende!”. “E bravo il nordico! –continuò commentando Elvira- Sembra un tedesco
con i suoi modi di fare, eppure…”. “Eh no, -l’interruppe Fulvia- tra quei due
deve esserci del tenero. Secondo me qui gatta ci cova!”.
Lui
intanto era Volfango, il manager della manifattura di vestiti da uomo dove
lavoravano Fulvia ed Elvira, meglio conosciute come “le comari” a causa dei
loro continui pettegolezzi. Era originario del nord Europa ed era un tipo
rigido e severo, giusto e imparziale, amato e temuto al tempo stesso. Lei
invece, la bionda, era una sua compaesana ed era stato proprio lui a portarla a
lavorare lì da loro. Serio ed equibrato com’era, intanto, si era concesso il
lusso di assumere la bionda a cinque soldi in più delle comari che, avendo
scoperto ciò, non si davano pace per la gelosia e minacciavano lo scandalo. Elvira: “Ah no, bisogna tenerli d’occhio i piccioncini!”. E Fulvia: “E
poi, mica lavora meglio di noi per prendere di più!”. Poco lontano da loro
lavorava Angela, la moglie di Giuseppe che, però, svolgeva tutt’altra attività
altrove. Sentendole bussare ripetutamente a denaro pensò: “Meno male che non
sanno quanto prendo io, le pettegole. Se sapessero che ho dieci soldi all’ora
più di loro, di certo mi metterebbero sul giornale, ammesso che non mi
scaglierebbero nella più profonda bolgia dantesca!”.
Era
un giorno d’estate afoso e umido. La bionda di tanto in tanto si ventilava con
la blusa per sentirsi più fresca. Mentre faceva un tale gesto si trovò a
passare Volfango che le fece un cenno di saluto e una strizzatina d’occhio. Non
l’avesse mai fatto! Apriti cielo le nostre comari! “Hai visto? Che ti dicevo?”
commentò Fulvia ad alta voce. “Parla più piano. Ti sentono tutti!” l’ammonì
Elvira. “E che me ne importa. Devono conoscerla tutti la ragione delle
preferenze. Il mio naso ha buon fiuto!”. Fortunatamente Volfango non aveva
motivo di aggirarsi spesso nei locali della fabbrica; quelle poche volte che
doveva farlo, comunque, subito le comari si mettevano sul chi va là fiduciose
di coglierli in flagrante. Un giorno, per esempio, passando nei pressi della
sua macchina le abbozzò un gran sorriso che lei ricambiò con un bacio
frettoloso mandato sulla punta delle dita. Dio ce ne scanzi e liberi! Adesso sì
che era tutto chiaro! Quello sì che confermava la fondatezza dei loro sospetti!
Ragion per cui Fulvia presagì: “Voglio proprio vedere cosa succederà al party
di Natale. Lì, tra un goccio e l’altro, qualche altarino lo si scoprirà di
certo!”. Come ogni evento
atteso con ansia, sembrò lungo ad arrivare, ma giunse puntuale il giorno della
festicciola natalizia. Qualcuno aveva portato pure un giradischi per
movimentare il festino con della bella musica. E infatti si passò un lieto
pomeriggio in simpatica armonia e in amichevole compagnia. In tale circostanza,
comunque, occhio delle comari puntati sulla preda, si venne a conoscenza di un
aspetto tutto nuovo della bionda. Da taciturna e dimessa, quale appariva sul
lavoro, diede a capire di essere pure un tipo allegro, spigliato e sbarazzino,
ma serio al tempo stesso. In effetti, capovolgendo la situazione, riuscì a
scornare le comari in maniera del tutto insolito e brillante.
Il
direttivo e il personale di concetto giunse nell’improvvisata sala party quando
ormai quasi tutti si erano già serviti. Appena il manager si avvicinò alla
tavola fredda la bionda subito gli si accostò e gli andò suggerendo, via via,
le cose più buone da prendere. E vi pare che quelle premurose attenzioni
passassero inosservate allo sguardo vigile delle nostre pettegole? “Ma guarda
solo che confidenze!”, fece l’una; e l’altra: “Quanto ci scommetti che stasera
i piccioncini li vedremo tubare?”. Si mangiò, si bevve e si cominciò a ballare.
Echeggiarono le note di un appassionato lento e lei, ondeggiandosi al ritmo di
quelle, andò a invitare lui per quel ballo… e ballarono con tanto affiatamento
e sintonia da essere la coppia più ammirata; e ballarono con tanta passione e
trasporto da trovarsi spesso in un ravvicinato guancia a guancia. Ed eccoti subito Fulvia sbottare: “Mamma mia, hai visto che t’hanno
fatto?”. Ed Elvira non tardò a
rincarare la dose: “Non ci vogliono più conferme: se la in-ten-do-no!”. A ballo
terminato lui cacciò il cellulare e parlò con qualcuno. Lei, ancora mezza
affannata, andò a riempirsi il bicchiere e, passando davanti a tutti quelli che
stavano seduti, “cin cin” andava dicendo ad ognuno. Arrivata dalle comari,
fingendo di volersi riposare, si sedette in mezzo a loro. Queste si guardarono
in faccia stupite e imparazzate, ma non poterono fare a meno di intrattenersi a
discorrere con lei. Nel bel mezzo della conversazione eccoti arrivare un
distinto signore. La bionda, che bazzicava un poco d’italiano, vedendolo
esclamò: “Ecco `rivato marito mio!”. “Tuo marito!” fecero quasi all’unisono
Fulvia ed Elvira. “Sì, marito mio quello. Perché non sapere voi io essere
sposata?”. Mentre lei diceva così il marito le si avvicinò e le diede un bacio
sulla bocca. Dopo di che lei gli consigliò, nella lingua del suo paese, di
andare a salutare il fratello. Poi, rivolgendosi di nuovo alle sue
denigratrici, riprese in tono canzonatorio: “Bello marito mio, eh? Io dicere
suo fratello, nostro manager, chiamare lui qui!”. E senza ombra di dubbio era davvero un pezzo
d’uomo, ancora più simpatico del fratello Volfango. Dovette essere appunto per
questo significativo particolare che la sconfitta delle nostre care pettegole
risultò di un sapore alquanto più umiliante.
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