jeudi 4 décembre 2014


SOTTO A CHI TOCCA

Chi seguiva i miei articoli in “xxi-secolo”  ricorderà di certo il motto latino “res non verba” di cui parlavo in occasione del 125mo della cittadina di San Leonardo. Queste vecchie sagge parole, infatti, rappresentano quasi la parola d’ordine di detta municipalità tutta italiana…stampate così come sono su quello stemma comunale. Fatti dunque e non parole, perché quelli restano e queste se ne vanno via col vento; fatti e  non parole anche nei nostri impegni sociali affinché le nostre parole non  siano voci nel deserto. Voci nel deserto potrebbero diventare quei tanti incontri che si organizzano per sensibilizzare la gente su determinate iniziative allorché poi, senza fatti concreti…passata la festa gabbato lo santo; voci nel deserto, per esempio, potrebbero risultare i due primi incontri sulla campagna a favore dell’integrazione dell’italiano nelle scuole pubbliche, se non li concretizziamo con l’azione; sarebbe un vero peccato se lo spirito con cui sono stati organizzati  fosse quello di una semplice lavata di faccia o una rituale routine a sfondo accademico.

Se mi permetto di ritornare sull’argomento è per chiedermi e per chiedervi da chi e come l’appena iniziata campagna in proposito debba essere continuata affinché sì nobile sogno non resti nel cassetto. Innanzi tutto, e naturalmente, dovremmo continuare a pedalare noialtri che la bicicletta l’abbiamo voluta. Ed allora, noi che il 24 ottobre e il 16 novembre siamo andati a tributare o a ricevere applausi, prima al Centro da Vinci e a quello Santa Famiglia poi, cerchiamo di coinvolgerci pure in  fatti pratici per non essere di quelli che predicano bene e razzolano male. Quanti sono gli Enti e quante sono le Istituzioni volute e sovvenzionate dal governo italiano per venire incontro alle necessità e ai diritti degli italiani all’estero? Fra tutti questi penso che dovrebbe pur esserci qualcuno  o qualcuna che, avvalendosi delle proprie responsabilità, potrebbe prendere a cuore il futuro linguistico dei nostri figli e supportare la causa in questione. Tanti e tante sono pure i sodalizi e le associazioni di stampo paesano che si vantano di mantenere vivo il nostro folclore, attive  le nostre tradizioni, nonché di dare un orientamento all’italianità dei figli. Il testimone di quali valori cerchiamo di mettere nelle loro mani, se ci tiriamo indietro  proprio ora che abbiamo l’opportunità di abituarli a parlare la nostra stessa lingua? Di conseguenza: almeno quelli che si fregiano dell’appellativo di «culturale» potrebbero dare l’esempio facendo il primo passo! Spesso e volentieri si scende prontamente in piazza per raccogliere firme e sottoscrizioni in favore di questa o quell’altra causa comunitaria o sociale che sia. Il futuro della nostra lingua, mi chiedo, non meriterebbe di essere presa in considerazione con lo stesso fervente entusiasmo? La campagna in questione, a mio avviso, è uno di quei valori che non dovrebbero avere né prezzo né frontiere. Ciò premesso sono particolarmente fiero di poterla sostenere in modo chiaro e trasparente, da milite non assoldato: come insegnante ho appeso la penna al chiodo, chi continua a scendere in campo è il Maestro Cuore…l’educatore di italianità!  Tutto sommato, inoltre, detta campagna dovrebbe essere super partes: al di là della riva bianca, al di là della riva nera; né dovrebbe esserci il signor capitano a dire «tu soldato non sei dei miei». Qualora dovessero esserci vessilli a sventolare…io sono per la  nostra stupenda lingua italiana! E beh sì, ecco qui oltre che alla prova del nove, addirittura un banco per provare di essere quegli onesti cittadini a servire la comunità e non a servirsi di essa.

Non so quando e non so come, ma sono pronto a mettermi in gioco a 360 gradi in questa semina che potrebbe dare, un indomani, buoni frutti alla nostra parlata dantesca. Mi dispiacerebbe comunque dover essere la solita unica rondine che lascia il tempo che trova. Se c’è qualche altro ben intenzionato a volere accompagnare il mio cammino, mi dia una voce ed insieme ci sarà più facile vedere da dove e come muovere i primi passi per poi continuare più speditamente la strada. Se su questo trampolino di lancio salissero pure gli enti, i sodalizi e le istituzioni comunitarie, allora sì che si avrebbe un intero stuolo di rondini…a far primavera.

mercredi 19 novembre 2014


CAMPAGNA PRO ITALIANO NELLE SCUOLE

Domenica 16 novembre 2014, ore 15 presso il Centro Santa Famiglia: queste le coordinate del secondo incontro pro integrazione dell’italiano nelle scuole;  è la seconda tappa di una campagna di sensibilizzazione voluta e promossa dalla direttrice didattica Maria  Cristina  Mignatti. Dando il benvenuto ai presenti la Mignatti ha chiarito di aver preso questa iniziativa per far divenire realtà la possibilità  di fare integrare la lingua italiana come materia di insegnamento nelle scuole pubbliche. Dopo di lei il console Lonardo ha sottolineato che suddetta campagna è utile alla nostra stessa identità che è ben più sentita  qui all’estero che  in Italia. In seguito sono stati proiettati alcuni filmati sulla lingua italiana nel mondo: sua salute, suo  studio e utilizzo e sua importanza;  alquanto significativo  quello in cui Benigni esalta, appunto, l’importanza della nostra lingua e la grandezza di tanti italiani, specialmente del sud, che sono il simbolo  di un rinascimento italiano nel mondo.

       Sono quattro le scuole dove l’italiano è già stato integrato: De Coubertin, Dante, General Vanier e East Hill, le ultime due delle quali…hanno dato anche spettacolo nel corso della serata. Carmela Bonifacio, della General Vanier, ha fatto notare che l’italiano  è una lingua di cultura, di studio e di lavoro; tre suoi alunni: Lucia D’Ambrosio, Leila Pozzi e Melissa Petriello si sono esibite nella recita di una favola di Esopo intitolata «L’asino e l’uomo». Per Giovanna Giordano, della East Hill, bisogna insegnare l’italiano anche per dare un senso all’italianità dei nostri studenti; alcuni dei  suoi: Fabrizio Stoppino, Gianpaolo e Massimo Di Dio e Dora Marrone hanno preso la parola per spiegare il motivo per cui studiano l’italiano; Dalia Petruccelli ha cantato accompagnata dalla chitarra di Alessia  Petruccelli. Per qualche minuto è stato concesso il microfono pure a me ed ecco cosa ho detto. “Quello che oggi è storia, ieri fu giornalismo; la quotidianità contemporanea sarà, in appresso, quel dato di fatto che stiamo costruendo noi adesso…anche nel contesto di questo frangente linguistico culturale che ci riguarda.

Le scuole di italiano del sabato mattina sono il frutto di una conquista fatta ieri, allorché nacquero pian pianino, anno dopo anno. Intanto l’ente che le ha gestite fin’ora sta chiudendo i battenti; però è oggi come oggi che possiamo far sì che a questa porta che si chiude, si apra il portone delle scuole pubbliche: la motivazione per cui siamo qui oggi!

Qualche settimana fa si è spento una personalità che mi è piaciuto definire «un modello di emigrazione e un maestro di italianità»; ci è venuto a mancare Ermanno La Riccia, colui che combatté una strenua lotta con la Commissione Scolastica di Montreal per l’ottenimento delle aule necessarie all’insegnamento del sabato mattina. Non vi sembra giunta l’ora di saperne raccogliere il testimone e prenderlo come esempio in questo analogo problema linguistico che si pone al nostro orizzonte?

È nel tempo presente che si gettano le basi per un buon futuro. Diamoci da fare; rimbocchiamoci le maniche e facciamo in modo da non dover chiedere al domani quello che non gli abbiamo saputo preparare oggi: è questo il momento di chiedere l’integrazione dell’italiano nelle scuole pubbliche, onde assicurare un futuro alla nostra bella lingua italiana. Tocca a noi saper mettere il nostro retaggio nelle mani dei nostri figli…oggi perché è il presente il trampolino di lancio per il futuro! Domani porebbe essere troppo tardi!”. Ben pertinente al caso l’intervento, durante il  periodo delle domande, del prof. Carlo D’Avirro che anni fa ritardò di ben quattro anni la sua «entrata in pensione» per permettere l’integrazione nelle prime scuole.

       Siamo stati in tanti domenica 16 novembre al Centro Santa Famiglia, ma potevamo esserci molti di più. Dal momento che quest’anno non insegno, mi sarebbe piaciuto poter stringere la mano a tanti colleghi che non vedo da tempo…sarà per un’altra volta! È mancato all’appello pure quell’associazionismo che durante tutti questi anni di emigrazione si vanta di aver contribuito a cambiare l’aspetto politico, economico e sociale del vasto Canada. Non lamentiamoci, poi, se i nostri sodalizi fanno registrare una carenza di partecipazione giovanile; anche adesso, per esempio, stiamo perdendo il treno che ci porterebbe a motivarli seriamente «a parlare la nostra stessa lingua». Vogliamo applicare una pagina di filosofia a questo momento poco sereno della vita del nostro italiano a Montreal? Secondo voi, chi è più grande Platone oppure Aristotele? Ah sì, sono tutti e due dei colossi del pensiero umano?! Ed allora, affinché  questa campagna promossa dalla dott.sa Mignatti  non resti un evento accademico, o platonico se più vi aggrada, cerchiamo di tradurlo peripateticamente in pratica, magari anche attraverso  qualche passeggiatina…porta a porta: qualora fosse necessario, io ci sono! Battiamo il ferro quando è caldo: adesso, prima che finisca il mandato della direttrice didattica accreditata presso il  consolato generale d’Italia a Montreal., che ringrazio  a nome di tutta l’italianità locale per la previggente idea che ha avuto di lanciare questa campagna a tutto vantaggio del  «dolce sì che suona». 

mardi 4 novembre 2014


SETTIMANA DELLA LINGUA ITALIANA

La nostra cara lingua italiana: da dove viene e dove va? Noi, gente del secondo decennio del terzo millennio, siamo ormai ben lontani dal suo giorno natale ed altrettanto lontani da quello…che nessuno vedrà mai perché una lingua né nasce, né muore; semplicemente si trasforma sempre senza mai estinguersi; infatti, cammina col tempo! Semplicistico e scontato dire che deriva dal latino, ma questo da dove deriva a sua volta? Dai rivoli, scaturiti da non so dove, scesi giù dai sette colli, nella Roma antica si formò un laghetto linguistico da cui si diramarono tanti fiumi che ancora oggi vanno a sfociare nei mari del mondo  a forma di delta: creando, cioè, tante altre parlate a loro volta. Il motivo di questo mio prologo è dovuto al fatto che l’argomento «La lingua italiana nel tempo: da dove viene, dove va?» fu il tema trattato nella prima edizione di quella che, ormai da quattordici anni, celebriamo come «La setimana della lingua italiana nel mondo».

Ricorreva, infatti, l’anno 2001 allorché Francesco Sabatini, l’allora direttore dell’Accademia della Crusca,  prendeva l’iniziativa di istituire «l’anno europeo della lingua».  Per quanto riguarda quella nostra nello specifico, essa è curata, oltre che dall’Accademia della Crusca, dal Ministero degli Affari Esteri della Farnesina  ed è patrocinato del presidente della Repubblica Italiana. Da noi all’estero, intanto, è promossa e tenuta in auge dai  consolati, dagli istituti  di cultura, dai Comites, da altri enti locali e, naturalmente dalla Dante Alighieri di carducciana memoria. Lo scopo di questa manifestazione annuale è quello di promuovere e dare un impulso alla lingua italiana in tutte le sue sfaccettature; onde assicurarne un avvenire, poi, è stato inserito proprio ad hoc lo «scrivi con me»: un concorso di scrittura per gli studenti di italiani all’estero che rappresenta quasi il momento clou Della manifestazione. Scendendo in altri paricolari, l’evento si propone di promuovere l’italiano come lingua di cultura classica e contemporanea;  come già detto viene orgonizata dalla Farnesina che l’ha messa in agenda nella terza settimana di ottobre ed è imperniata intorno ad un tema conduttore che, pur variando di anno in anno, è sempre strutturato in base a conferenze, mostre, spettacoli, incontri tra scrittori, e quant’altro cade a proposito onde valorizzare ed allargare il centro di azione del nostro idioma…dantesco; altro punto di base è quello di mettere in risalto il nostro patrimonio culturale, e di incentivare la creatività e la forza della nostra lingua…che, oggi come oggi, è la quarta più studiata al mondo. Oltre al tema del 2001 che, come detto sopra, riguardava l’origine e gli orizzonti  dell’italiano, eccovi pure quelli di tutte la altre edizioni; 2002: L’italiano e le arti della parola; 2003: Temi vari da nazione a nazione e da continente a continente; 2004: L’italiano come lingua di poesia; 2005: La lingua italiana tra narrativa e cinema; 2006: Il cibo e le feste nella lingua e cultura italiana; 2007: La lingua italiana e il mare; 2008: L’Italia in piazza; 2009: L’italiano tra arte, scienza e tecnologia; 2010: Una lingua per amica: l’italiano nostro e degli altri; 2011: Buon compleanno Italia; 2012: L’Italia dei territori e l’Italia  del futuro; 2013: Ricerca, scoperta, innovazione: l’Italia dei sapori; ed infine 2014: Scrivere la nuova Europa! 

E qui a Montreal, come è stata commemorata la nostra lingua nella terza settimana di ottobre? Mi soffermo a parlarvi di quella più significativa tenutasi venerdì 24 ottobre al Centro Comunitario Leonardo da Vinci. Sotto il patrocinio del console generale d’Italia a Montreal, la direttrice didattica Maria Cristina Mignatti  ha organizzato una serata per sensibilizzare i genitori dei nostri studenti a chiedere l’insegnamento dell’italiano nelle scuole pubbliche: finora l’italiano è integrato come materia d’insegnamento in solo quattro scuole…si vorrebbe che ciò avvenisse in tutte le scuole; ma sono i genitori a dover chiedere ai direttori dei relativi istituti detto insegnamento al più presto possibile! Ritornando all’incontro del 24 ottobre, eccone i punti salienti. Parola introduttiva del console; messa a punto dell’integrazione fatta dalla direttrice; testimonianze delle insegnanti Carmela Bonifacio e Giovanna Giordano; esibizione artistica di alcuni studenti; filmati adatti al tema trattato ed esecuzioni musicali; presentazione della lettera da inoltrare alle direzioni scolastiche per chiedere l'integrazione dell'italiano. Anche qui a Montreal, dunque, questo spirito di sensibilizzazione sta divenendo un vero e proprio cavallo di battaglia; sarebbe veramente una manna dal cielo se, adesso che il Picai sta chiudendo i battenti, la lingua italiana venisse integrata in tutte le scuole di Montréal: si verrebbe a confermare il proverbio che se si chiude una porta si apre un portone. Ricordate Ermanno La Riccia e la strenua lotta da lui combattuta per l’ottenimento delle aule per i corsi del sabato mattina? Ci ha lasciati da poco, ebbene onoriamone la memoria «ricombattendo» per una stessa giusta causa. Se mettere il dito nella piaga può servire a rimarginare la ferita, perché non metterci dentro addirittura tutta la mano? Ci siamo appena recati alle urne per la rielezione dei commissari scolastici; ho seguito con attenzione la propaganda fattasi dai candidati, molti dei quali italiani doc; ma lo saranno  anche puro sangue, visto che nelle promese di nessuno ho riscontrato un accenno alla suddetta integrazione che ci sta tanto a cuore? Primo: chiedo scusa se non è materia di loro competenza; secondo: mi rammarico per chi avrebbe dovuto sensibilizzare pure loro in tal senso e non l’ha fatto. Tutti noialtri insegnanti del Picai stiamo dando l’addio al nostro Ente scolastico; magari, da più parti si sta puntando il dito contro i presunti responsabili della disfatta, senza chiederci affatto se ne abbiamo un pò colpa anche noi; invece di piangere il morto perché non ci organizziamo sin d’ora, in vista del prossimo anno scolastico, a schierarci uniti e compatti in favore della tanto decantata integrazione?  

Affinché questo mio scritto non risulti una cattedrale nel deserto, ho promesso a chi di dovere di dare spesso una voce alle nostre coscienze…all’italiana, affiché non cada nel nulla l'iniziativa già presa della lettera di cui sopra e che la sognata integrazione divenga cosa fatta e sogno realizzato. E, poiché ogni promessa è debito, vi assicuro che i debiti li ho sempre pagati!

p.s. Non mi riservo nessun diritto di autore a questo scritto; anzi, ne chiedo un vostro «mi piace» con relativa condivisione!        

dimanche 19 octobre 2014


LETTERA AD ERMANNO  (da Gente nostra)

Ciao Ermanno, maestro di italianità, modello di vita emigrante. La lingua italiana in Canada…spero se la cavi anche senza di te. Non mi sono permesso di dire «ciao professore» perché non sei mai stato uno di quelli che si danno arie da cattedra, pur avendone  tutte le carte in regola quasi honoris causa. Al contrario sei sempre stato l’uomo comune del quotidiano; una personalità che tutti hanno ammirato e apprezzato per la sua modesta semplicità; sei stato quella preziosa goccia che scava la pietra non con la sua forza, bensì con il suo lento e costante cadere. Ed ecco che questo silente ma coscienzioso impegno di tutti i giorni ti regalava l’onorificenza di Molisano dell’anno nel 2004 e di Cavaliere della Repubblica italiana nel 2008…sì, tu che amavi ritenerti «figlio di contadini», venivi insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica! 

Per me personalmente sei stato un esempio da seguire; anzi, spesso e volentieri, i nostri passi si sono trovati sullo stesso cammino pur senza conoscerci. Su nel tempo nell’allora neonata chiesa del Monte Carmelo in San Leonardo assistevo, una domenica, alla cresima di un mio nipote; tra i cantori della corale il mio occhio si posò su di uno dallo sguardo serio e pensoso, bonariamente burbero ma che al contempo sprigionava tanta serenità: eri tu che già mi dicevi tanto come connazionale all’estero. Sul finire degli anni sessanta padre Domenico Rodighieri fondava il settimanale Insieme e la prima cosa che facevo era di andarne a leggere l’articolo di fondo; una domenica, dopo la messa del pomeriggio, ero andato a trovare padre Rodighieri in redazione e dopo poco vi giunse pure quello stesso signore della chiesa del Monte Carmelo che portava a padre Domenico il suo articolo per il settimanale: e, guarda caso, non eri proprio tu l’autore di quello scritto che, immancabilmente, andavo a leggere con particolare attenzione? Un sabato di vari anni fa ero in una sala da ricevimento per lo sposalizio di una mia nipote; ebbene, durante la festa non rivedo ancora te che ti trovavi lì perché amico del padre dello sposo? Un altro giorno, sempre su nel tempo, venne a mancare al nostro affetto un caro cugino di mia moglie, insegnante di italiano per conto del Picai…ed anche in detta circostanza i nostri passi si incrociarono perché Domenico «il  maestro» era pure un tuo grande amico.

A proposito di Picai, ne va da sé che il dente dolente dove va a battere la nostra «lingua» è lo stesso. Infatti dal 1992, venendo assunto come insegnante del sabato mattina, divenivo, e lo dico con orgoglio, un tuo collega in lingua italiana. Ma in seno al Picai il tuo lavoro e il tuo contributo per la lingua e la cultura italiana sono di tale e tanta imponenza da essere divenuto una colonna portante dell’Ente stesso. Significativa, infatti, la strenua lotta che sostenesti presso la Commissione Scolastica di Montreal per l’ottenimento delle aule necessarie ai relativi corsi del sabato mattina. E che dire, poi, della tua solerte dedizione ad essi come insegnante, come direttore e addirittura come redattore degli stessi programmi scolastici? Hai sentito la triste nuova a proposito di questa istituzione per il cui buon funzionamento ti sei prodigato per anni ed anni? Questo è il suo ultimo anno di attività: dopo di che scomparirà dall’agenda della nostra comunità! Mi vien fatto di chiederti una cosa: «Non sarà stata per caso questa sconcertante nuova a spezzare il tuo grande cuore di vecchio emigrante?». Comunque, lasciami dirti un’altra cosa; almeno per me, insegnante di lingua e cultura italiana, non sei stato un semplice maestro: sei stato uno di quei «mastri» che in Italia, nell’immediato dopo guerra oltre che il mestiere, insegnavano ai loro discepoli anche un tenore di vita onesto e corretto. Correva l’anno 1962 allorché la nostra stazione radio CFMB apriva i battenti. Ed ecco lì anche te sia come collaboratore di una delle sue prime rubriche «Il piccolo programma», sia per commentarne lo sport via telefono. Riprendendo il discorso sulla stampa scritta, oltre all’oramai estinto Insieme, svariati altri sono i giornali e i settimanali dove hai messo la tua firma: Il Progresso Italo Americano, La Tribuna Italiana, Il Mezzogiorno, La Verità, Il Corriere Canadese, Il Corriere Italiano, Il Cittadino Canadese, Il Ponte…senza dimenticare, cattolico praticante qual’eri, Il Messaggero di Sant’Antonio; dulcis in fundo mi piace ricordare pure l’ex rivista trimestrale L’Altra Calabria, edita dai comuni amici i Calabresi nel mondo: grazie ad essi, oltre che a collaborare per la stessa causa, avevamo pure il reciproco piacere di conoscerci di persona. E non finisce qui perché, ingegnere nei cantieri aerei della Prath & Whitney durante la settimana, nei ritagli di tempo, qual poeta della domenica, ti dilettavi a scrivere il romanzo «La padrona», la collana di poesie «La voce delle pietre» e ben tre raccolte di racconti: «Terra mia», «Amore infinito» e, guarda caso, «Viaggio in Paradiso»…viaggio che hai intrapreso a tua volta lasciando questo mondo per andartene lassù: al cospetto dell’Eterno e in compagnia di Sant’Antonio di cui con la penna, con la parola e con l’azione ne sei stato un devoto e fedele «messaggero» in terra canadese.

Oggigiorno di svaghi ricreativi ce ne sono tanti, anche grazie ai mezzi telematici che la scienza moderna ci offre. Tempo fa, però, non era così, ed erano i gruppi teatrali e i complessi folk a dare uno stacco di allegria alle nostre giornate lavorative. Nemmeno in questo contesto è mancato il tuo zampino nella nostra comunità, anzi anche in tal senso l’hai fatta da padrone e pure alla grande; l’immaginario  paesino di Schiaccianocelle ed il Coro Alpino, i tuoi cavalli di battaglia con cui eri solito intrattenerci nei fine settimana, farci rivivere la spensieratezza paesana e irradiare nei cieli di Montreal i colori del nostro folclore. Che tuffo al cuore, sabato mattina 16 ottobre, udire il coro da te fondato accompagnare la messa cantata in tua memoria. Che ulteriore emozione, a fine cerimonia, quando l’attuale  sua direttrice è venuta a chiamare, nella fila dei banchi davanti a me, il suo predecessore Costanzo Colantonio per affidare a lui, la direzione dell’ultimo canto in programma: il «Va pensiero» di Verdi…che è sembrato quasi scortare il tuo volo dalla terra al cielo; il tutto proprio lì, in quella chiesa del Carmelo  dove ti ho visto per la prima volta e dove ho preso la parola per darti pure il mio ultimo saluto. 

Questa lettera che ti ho voluto scrivere la conserverò tra le mie cose come il fiore all’occhiello di questa mia penna per l’italianità. E mi piace terminarla sottolineando che con te se n’è andato un altro tassello di quella ‘gente de crejanza, come dite voi molisani, che va sempre più scomparendo. Con te si è spento  altro di quei bravi lavoratori dei campi che seminano e se ne vanno, per lasciare agli altri i frutti del raccolto. A…Dio Ermanno, cioè arrivederci in Dio e buon viaggio in Paradiso, dove sei andato ad aspettarci e, certamente, a preparare un posto anche per noi …e così  sia!     

© diritti di autore riservati

vendredi 3 octobre 2014


GENTE NOSTRA

La testimonianza pro italianità che vi ho dato in lettura nel mio ultimo articolo potrebbe anche essere data per scontata in quanto  il suo protagonista era un emigrante di prima generazione; ragion per cui è normale che il suo sentirsi italiano è una questione di dna. La testimonianza della mia presente chiacchierata, invece, ha come attori principali una giovane coppia di terza generazione che, incredibile ma vero, vivono in famiglia una italianità da non credere; e se ve ne parlo è proprio perché li ritengo un esempio da seguire! Abito in un quartiere centrale di Rivière des Prairies su di una strada alquanto movimentata; sul retro fino a sei o sette anni fa c’era un vasto terreno  incolto dove ora invece si può godere la vista di un bel quartiere residenziale, con al centro un vasto parco da giochi per bambini. Eh sì, quest’area ricreativa per i piccini ci voleva proprio perché i neo residenti della zona sono, per lo più,  giovani coppie che vanno mettendo su famiglia. Abito al terzo piano di un condomio e dalla mia spaziosa terrazza ho potuto seguire passo dopo passo le varie fasi della costruzione e la successiva presa di possesso delle abitazioni da parte dei proprietari.  Le case confinanti col terreno del condomio sono state le prime ad essere abitate e sin dai primi giorni sono rimasto ammirato dal fare spigliato e socievole di una giovane ragazza nostra nuova dirimpettaia. “Quella coppia deve essere di origine italiana” dissi con mia moglie a quei tempi e…non mi sbagliavo perché, infatti, anche lì di fronte a noi  l’italianità la fa da padrona! Un pomeriggio, tornando dal lavoro, trovai mia moglie che parlava confidenzialmente  con la nuova vicina. “Già hai fatto breccia tra i nuovi arrivati!” le feci ironicamente; «È lei che mi ha salutato per prima ed io ho risposto. È figlia di italiani ed è una brava ragazza!»…e, quindi, rifiutare una simile amicizia sarebbe stato un vero e proprio peccato.

Intanto, stando anche ad una vecchia canzone, gli anni son passati, i bimbi son cresciuti e pure noi siamo tutti un pò invecchiati. Quello che è più bello però è che la zona si è arricchita di armonia infantile e pure il parco al centro del caseggiato adesso ha gli assidui frequentatori dei suoi giochi. Ed anche noi, dulcis in fundo, se prima parlavamo solo con Caterina e col marito, ora abbiamo pure i loro radiosi figlioletti Alessandro e Roberto, a mandarci il loro: «Ciao Lina, come stai? Dove sta Peppino?»…e tutto e sempre in perfetta lingua italiana, perché è questo il sine qua non di questa mia chiacchierata. La nostra giovane vicina con i figli e col marito non l’ho mai sentita parlare in francese o in inglese, ma soltanto in italiano: un’italiano così perfetto che non ho mai avuto il coraggio di parlarle dei corsi del Picai; spesso tra me e me penso e rifletto che, se io sono un semplice insegnante di italiano, lei può essere considerata addiritura una maestra di italianità!  Con i  vicini italiani comunque lo parlano l’inglese; ma pure con loro spesso e volentieri li sento utilizzare la madre lingua dei genitori. Un giorno mia moglie le chiese con soddisfatta ammirazione il perché parlasse solo in italiano con i suoi figli; e lei rispose che il francese e l’inglese avevano modo di impararlo a scuola e che intanto era suo dovere impartire loro, almeno in casa, un’educazione tutta all’italiana. Ho sentito un giorno alla radio che già nella scelta dei nostri nomi di battesimo c’è qualcosa del nostro carattere e delle nostre inclinazioni. Ebbene, questa giovane mamma, che in famiglia prova gusto ad esprimersi in italiano, non si chiama Caterina? E santa Caterina non è, guarda caso, la patrona d’Italia? Voglio anche aggiungere che mi sento particolarmente orgoglioso quando in quelle nuove abitazioni lì di fronte al mio condominio  arrivano i nonnini di questi italo fanciulletti a valorizzare ancor più la nostra cultura e le nostre tradizioni. Prima di pubblicare quest’articolo ho telefonato a Caterina per chiederle il permesso di parlare di lei nel mio blog. E, parlando parlando, sapete cosa sono venuto a sapere? Che il nome di suo marito è Ricardo, con una sola «c» perché è nato in Argentina da papà spagnolo e mamma italiana: un altro punto a vantaggio della sua e nostra accattivante italianità, dunque. Non penso, tutto sommato, che questa giovane coppia sia la rara mosca bianca, né l’unica rondine che non fa primavera; ce ne saranno eccome sull’isola di Montreal altri italiani di terza e quarta generazione a sentirsi fieri di dare atto del loro spirito di appartenenza applicandolo con convinzione alla loro duplice identità di italocanadesi.

Detto questo mi sento quasi in dovere di affermare con certezza che il nostro idioma avrà ancora lunga vita: tanti passi ancora da muovere e tanta strada ancora da fare. Se qualcuno non è d’accordo con me, non me lo dica aggi che non condivide le mie idee; venga a dirmelo fra un migliaio d’anni…tutti quegli stessi anni che ci son voluti alla madre lingua latina per trasformarsi in francese, spagnolo, italiano ed altro ancora; perché il cammino del tempo e delle cose non è nel restare quelle che sono, ma nel loro trasformarsi lento e continuo!

vendredi 19 septembre 2014


GENTE NOSTRA

«Settembre poi verrà e sulla spiaggia più niente resterà», ma si riempiranno di gioia e di armonia le aule delle scuole, i loro corridoi e cortili, nonché tutte le vie d’intorno; in ogni quartiere della grande Montreal si sentirà echeggiare il dolce sì che suona. Romanticismo e reminiscenze scolastiche a parte, si sono riaperte le scuole di lingua e cultura italiana del sabato mattina, gestite dal Picai. Furono volute, nel 1958, da Mons. Cimichella per garantire un futuro alla nostra lingua; e questa continuerà il suo cammino nel tempo così come lo ha sempre fatto nel passato, nonostante gli immancabili scettici e i soliti insoddisfatti brontoloni che se è bianco dicono nero e viceversa. A loro dispetto e a nostro vantaggio, la parlata della Divina Commedia, dei Promessi Sposi e del Gattopardo qui da noi si trasformerà in italianese, italiese, italiense che dir si voglia…ma sfiderà il tempo e le sue intemperie così come già fu e così come ancor sempre sarà; resterà una lingua in continuo cammino nel suo essere e nel suo divenire, a somiglianza di ogni altra creatura vivente che cambia e si trasforma pur restando sempre sé stessa. A garantire questo suo processo lento e continuo c’è gente, di ieri e di oggi, a dare buone speranze in merito. Eccovi per ora qualcuno di ieri, la prossima volta vi parlerò di qualcuno di oggi.

Accennavo prima a Mons. Cimichella; ebbene una volta parlò di suo padre come uno di quelli che provano il gusto di essere italiani e che scelse per i suoi figli una scuola dove c’era la possibilità di apprendere questa lingua. E lui stesso degno figlio di tanto padre, divenuto grande ed ancora semplice sacerdote, pensò di istituire le scuole del sabato mattina per permettere un familiare dialogo tra i genitori e i loro figli che il giorno frequentavano la scuola nelle lingue locali. Personalmente è già da 21 anni che insegno per conto del Picai e spesso sono stato convocato pure per la giornata delle iscrizioni. In quei giorni lì ho avuto modo di conoscere un altro grande esempio di italianità che, anno dopo anno ho sempre più ammirato per il suo alto spirito Patrio, nonché per il suo attaccamento e rispetto per la nostra madre lingua. Arrivava sempre verso l’ultima mezz’ora delle iscrizioni; se c’era gente si metteva in un angolino ed aspettava; quando non c’era più nessuno si avvicinava, iscriveva chi doveva iscrivere e poi si intratteneva a parlare con noi insegnanti e col direttore. Seduto davanti a noi si informava circa l’andamento dei corsi del sabato; esprimeva i suoi pareri, i suoi pro ed i suoi contro; dava anche dei consigli, ma soprattutto si rammaricava per quelle famiglie che non prendevano a cuore la causa del sabato mattina…che per lui rappresenta una priorità nel volere affidare il passato al futuro consegnando oggi il testimone in questa nostra staffetta culturale. E non è mai mancato a nessun incontro con gli insegnanti e non ha mai mancato uno spettacolo di fine anno scolastico dove è sempre stato presente anche con sua moglie. E se questo non è un convincente modello di italianità…che cos’è? Durante i miei anni di insegnamento ho avuto sui miei banchi di scuola ben tre delle sue quattro figlie e tutte e tre sono state delle studentesse diligenti e ben motivate: ricordo di aver pubblicato, a suo tempo sull’Insieme, molte loro cose scritte che ora si possono consultare sul sito web del Picai nella pagina del Sabatino. E non è finita qui perché proprio l’anno scorso ho avuto nella mia classe una sua nipotina e in qualche classe delle elementari c’era anche una sorellina di questa; e spesso ad accompagnarle a scuola il mattino e a venirle a riprendere a mezzogiorno era ancora nonno  Cosimo Tropiano.

Dopo questo sprazzo di luce tutta tricolore, potrei anche fermarmi qui; ma mi sembra doveroso e giusto continuare per presentarvelo meglio dicendo qualcosa anche sulla sua vita di emigrante. Nato a Superiora Salve, in provincia di Reggio Calabria; il  18 settembre del 1971, nella chiesa di Porto Salvo, si sposava con Maria Gullone, nata a Siderna Marina sempre in provincia di Reggio Calabria. Il  9 aprile del 1972 emigravano a Montreal dove vi giungevano con un volo della compagnia di bandiera Alitalia. Nel corso della sua vita emigrante Cosimo si  è guadagnato onostamente il suo pane quotidiano, come tanti altri italiani emigrati a Montreal in quegli anni di boom migratorio, nella Eastern Code Paper. Permettetemi di terminare con una nota gioiosa che è risuonata in casa sua il 6 settembre scorso. Alcune settimane fa, via e-mail chiesi a Cinzia, la sua ultima figlia che ho avuto sui miei banchi di scuola a suo tempo, delle informazioni su suo padre per poter mettere giù quest’articolo; non avendo ricevuto risposta, dopo alcuni giorni le chiedevo spiegazioni circa il suo silenzio; mi rispondeva dicendomi: «Non sono in Canada» e mi dava il numero di telefono di casa sua…senza dirmi il motivo della sua assenza da Montreal. Dopo qualche giorno un’altra mia ex alunna, sua amica, mi manda su face book le foto dello…sposalizio di Cinzia Tropiano che, quindi, era fuori  i confini nazionali  per trascorrere la sua luna di miele!  Congratulazioni Cinzia e Chad: che la contentezza di questi momenti accompagni ogni passo del vostro cammino in due, che vi auguro lungo e sereno! E non mancare di essere una maestra di italianità a somiglianza di tuo padre.

 

 

 

 

 

 

 

mercredi 3 septembre 2014


AVE  CESARE

Mi diceva una volta una persona di straordinaria saggezza che il vero valore di un regalo non è tanto nella sua utilità o nel bisogno che ne hai, bensì nel fatto che ti fa realizzare di quanto sei ben voluto ed apprezzato; ed è appunto questo che te lo rende caro e prezioso. Detto questo, ad ogni ricorrenza ricordevole mia figlia non manca mai di farmi regali culturali o «scolastici»; ho virgolettato scolastici perché non alludevo alla corrente filosofica medioevale, ma semplicemente alla loro utilità per la mia professione di insegnante. Tempo fa mi regalò un libro intitolato «Rome, de ses origines à la capitale d’Italie»; l’ultimo capitolo di detto libro, che tratta «l’eritage de Rome au Quebec»,  l’ho trovato abbastanza interessante perché mette in risalto il modo in cui l’antico impero abbia condizionato pure la vita socio-culturale della Bella Provincia che ci ospita; ed è appunto per questo che ho deciso di parlarvene.

Eccovi allora per sommi capi quel che ho letto. Sono tre le città del continente antico che hanno dettato leggi nella società quebecchese: Londra, Parigi e Roma…per le ovvie ragione che noi tutti emigranti ben conosciamo. Per quanto riguarda quest’ultima, la sua influenza l’ha esercitata sia come capitale dell’impero romano, che come centro del cristianesimo; sia come caput mundi, che come Urbi et Orbi; sia come antica Roma, che come Roma pontificale. Da sottolineare che è proprio questa seconda a traghettare la prima sulle onde dell’andar dei secoli. Il retaggio romano in nordamerica si è materializzato attraverso vestigia architettoniche, come pure tramite concetti e terminologie legate alle istituzioni del suo impero: forum, arena, colisée. Comunque sono tre gli assi che hanno fatto da collegamento in uno scambio interculturale Roma-Quebec: l’educazione, la cultura giuridica e il sentimento religioso. Già nel 1600 le comunità religiose indirizzavano i loro alunni agli studi classici e all’apprendimento del greco e del latino: il greco come concezione del pensiero e della scienza, il latino come concezione dell’ordine giuridico e il cristianesimo come concezione di Dio e dell’uomo. Gli studi classici garantivano pure un metodo ben presciso nell’agire e una continuità e costanza nelle idee. Per quanto riguarda la cultura giuridica, un movimento di idee politiche, prefiguranti gli stati moderni, prende vita nella metà dell’800. Anche le grandi correnti che vi si annidano: liberalismo, nazionalismo, socialismo ed altre, trovano una solida base nella concezione romana della legge. La comprensione di detta concezione, che nella sua evoluzione viene ad interessare pure il Quebec, può essere acquisita solo attraverso la conoscenza stessa delle istituzioni del diritto romano. Il concetto religioso, infine, è quello che ha marcato maggiormente la presenza di Roma un pò dovunque nel mondo sia per l’apostolato dei padri missionari, e grazie pure agli emigranti che questo intimo sentimento l’hanno portato in tutte le terre dove sono andati a costruirsi un avvenire.

Ecco fatto, la città dei sette colli, che su nel tempo aveva allungato la sua mano a toccare ogni terra allora conosciuta, oggi giorno sembra allungare il suo zampino, quasi come virtuale rivincita, anche su queste terre d’America che, in suddetti giorni, erano «inesistenti» alla visuale umana. In questo mondo, oltre ogni dire sempre più globalizzato, le aquile romane sembrano aver raggiunto in volo ed essere venute a prendere sotto le loro ali protettrici pure i potenti e gloriosi Stati Uniti d’America! No, non sto dando i numeri: è la pura e semplice realtà dei fatti che, purtroppo, passa quasi inosservata a tutti in quanto viene considerata come scontata e del tutto in sintonia con l’andar dei tempi e delle vicende umane. Se continuate a leggermi capirete dove voglio andare a parare. Nel mese di agosto siamo stati per qualche settimana ad Atlantic City ed ho alloggiato in una suite dello Sheraton Hotel: quello in cui tutto parla di Miss America e dalla A alla Z di questo evento annuale! E ne ho viste di dette celesti creature, dalla prima all’ultima, che dalle loro nicchie illuminate mandano sorrisi di soddisfazione; là proprio nel piazzale davanti all’entrata il primo organizzatore della kermesse che, con la corona in mano, invita il gentil sesso a “sognarsi” miss America e farsi scattare una foto con lui. E non vi dico il sorpreso entusiasmo di mia moglie e mia figlia allorché, toccando con la testa la corona, partiva un canto: «Here you are…Miss America». A parte quest’inciso, saliamo in camera al 15mo piano, disfaciamo le valige, ci mettiamo a nostro agio; mi affaccio alla finestra e, udite udite, subito esclamo: “Ave Cesare!”. E sì, ero andato lì anche per togliermi lo sfizio di lasciare qualche soldino nel casinò dei “Caesars”, ma non mi aspettavo che me lo sarei trovato lì dinanzi a me a primo colpo; intanto il saluto glie lo rivolgevo ben volentieri la mattina alzandomi e la sera andando a nanna. Di ritorno a Montreal ho decantato la suddetta imponenza romana lì vista con amici di lavoro ed uno mi ha fatto: “Eh, si vede, mio caro Joe che non hai ancora visto il “Caesars” di Las Vegas! Quello sì che ti mette paura”.

A questo punto penso sia giunto l’ora di scoprire la morale della favola. Gli imperatori romani, non avendo potuto conquistare le Americhe perché a quei tempi non si trovavano ancora sulle cartine geografiche, lo stanno facendo ora in maniera del tutto moderna e consona alle odierne mentalità. Non stanno più sottomettendo i popoli con le armi, ma lo stanno facendo semplicemente invitando le genti a dare i loro tributi all’SPQR con volontaria euforia nelle moderne sedi delle gabelle, meglio conosciute col nome di casinò. Grande Roma; da educatore dell’italianità mi associo ad Antonelli Venditti per dirti  anch’io «grazie Roma» …città eterna!