Luci in fondo al tunnel: un volto nuovo marzo 2021
Assieme
a quello della prima comunione, il primo giorno di scuola è un atto solenne per
ogni bimbo che si rispetti: segna il suo primo passo in società! Da piccolo
ometto fa le prime amicizie, si confronta con i coetanei, fraternizza con essi
e, a volte, torna a casa con qualche occhio livido perché, magari, ha cercato
di «correggere» qualche punto di vista diverso dal suo: già sogna, per caso, di
divenire un uomo politico? A tu per tu con i compagni diventa a poco a poco
cittadino del mondo: in perfetta sintonia di contatti umani e nella bellezza di
quella comunicativa armonia con cui si sono andate formando le varie
società…almeno fino a qualche anno fa.
Il
coronavirus, purtroppo, è venuto a scombussolare pure questo sereno cammino che
ha permesso all’umanità di educarsi nel tempo: la pandemia ad esso dovuta è
divenuta, tra l’altro, la mamma della didattica a distanza. Un nuovo
insegnamento questo che ha portato di certo un qualche sbandamento nell’equilibrio
mentale dei nostri adolescenti e dei nostri giovani. Niente più contatti
fisici, niente più sguardi complici, niente più combriccole amichevoli, niente
più socializzazioni per stare insieme ed acquisire nuove esperienze di vita,
niente più lezioni in classe per nutrire la mente ed educare il loro animo di
futuri cittadini; addio innocenti flirt d’amore, addio romantica pansè affidata
alle pagine di un vecchio libro di latino. Il covid 19 è venuto a sgretolare i
gruppi scolastici e a distanziare i giovani sempre più assetati di compagnia e
di costruttiva collaborazione; è giunto a dare una svolta alla crescita della
stessa società e a prospettare una nuova visuale all’assestamento stesso
dell’indomani dell’uomo. L’interagire scolastico si vede relegato nello schermo
di uno strumento telematico, l’apprendimento collettivo si è ridotto ad
arricchirsi di nozioni in solitaria calma e silenziosa tranquillità. Lo
studente ormai è costretto a rinunziare al pratico e al tangibile; d’ora in poi
deve rifugiarsi nell’intimità del virtuale: usanza, questa, alquanto
inusuale…almeno fino a qualche anno fa!
La scuola prepara alla vita, anzi è sempre stata maestra di vita e continuerà ad esserlo anche in appresso. Ciò premesso, e soprattutto visto i tempi che corrono, mi faccio una domanda: «Una volta che sconfiggeremo il nemico -e lo faremo senz’altro- e i nostri visi si sbarazzeranno una volta per tutte di questa soffocante mascherina, quale sarà il volto della nuova società allorché si rimirerà nello specchio delle nuove abitudini, anche in conseguenza di questo imprevisto e nuovo metodo di insegnamento e alla luce di questa rinnovata modalità di preparazione alla vita»?
Luci in fondo al tunnel: la speranza marzo 2021
Dal
vagito al rantolo è la speranza a fare da colonna sonora alla nostra esistenza.
Lieto di vederci nascere ognuno spera per noi una miriade di cose belle; al
momento in cui due giovani sposi salgono l’altare ognuno augura loro una
famiglia serena e ricca di prole; quando si ode nell’aria un triste rintocco di
campana ognuno prega Iddio di accogliere il trapassato nei regni della pace
eterna. E mille e mille altre sono le rosee speranze che accompagnano i passi
del nostro cammino terreno e ci incoraggiano ad andare avanti anche a costo di
inciampi ed ostacoli da superare. Cosa dire mai della speranza in questo
sconfortante periodo di covidianità? È da quando è apparso il virus che essa è
divenuta la nota di sottofondo di ogni nostro pensiero e il ritornello di rito
in attesa dell’accorato «ritornerà il sereno». Segregati in quarantena, isolati
in zone rosse, chiusi in casa per il coprifuoco è stata solo la speranza a
consolare la mancanza di abbracci e a riempire il vuoto di esseri cari; e,
purtroppo, è ancora essa a dare ossigeno ai nostri respiri soffocati dalle
mascherine e a farci intravedere ancora sogni da cullare e desideri da
realizzare in attesa del Te Deum da intonare allorché raggiungeremo la fatidica
luce in fondo al tunnel.
Sembra
che dal vaso di Pandora sia saltato fuori un estremo malanno ad affliggere il
genere umano; fortunatamente la speranza, ultima dea, era lì anch’essa a dare
un senso al nostro futuro. Intanto, noi uomini, come lo abbiamo gestito questo
sentimento che ci sprona ad affrontare l’avvenire? La speranza, purtroppo, è pur sempre un
termine astratto e a mio avviso è il rovescio della medaglia del
destino perché siamo noi gli unici artefici del nostro domani. La
speranza, al pari del destino, non cammina al posto nostro; essa si limita ad
affiancare i nostri passi lungo i sentieri della vita. Nel caso specifico
dell’attuale pandemia ci sono stati suggeriti dei punti da rispettare onde
evitare il peggio: uso della mascherina, igiene personale, isolamento,
coprifuoco ed altro ancora. Laddove queste regole sono state rispettate abbiamo
dato anche noi un colpo di mano alla speranza per farci intravedere un sereno
futuro all’orizzonte; laddove, invece, queste prescrizioni sono state prese
sotto gamba siamo stati ugualmente noi ad ostacolare il compito della speranza,
liberata dal vaso per prospettarci tempi migliori…ma sempre grazie alla nostra
collaborazione! Anche nel caso di una normale malattia, se il medico curante ci
prescrive delle cure e noi non le
rispettiamo, possiamo mai nutrire la «speranza» di guarire? Ugualmente in
questo tempo di pandemia, se vogliamo realmente far tornare il sereno sul
nostro capo affidiamoci e rispettiamo i suggerimenti di chi si prodiga per la
salute del genere umano. In questo tempo di meditativa covidianità mi è passato
spesso per la testa il pensiero che quando Dio creò il mondo non gli diede una
data di scadenza; gli prescrisse soltanto dei ricostituenti geologici per
potersi rigenerare. E questo covid 19 è appunto una ulteriore «divina ricetta»
medica che permetterà all’uomo di continuare il suo cammino sulla terra!